Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3040 del 08/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 08/02/2011, (ud. 10/11/2010, dep. 08/02/2011), n.3040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20157/2007 proposto da:

DMT TOWERTEL S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ 20,

presso lo studio dell’avvocato CAROLEO Francesco, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ALBE’ GIORGIO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

C.A.;

– intimato –

e sul ricorso 22347/2007 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CREMERA’

11, presso lo studio dell’avvocato ALBANESE ANGIOLINO, rappresentato

e difeso dall’avvocato MORACHIELLO ROBERTO, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

DMT TOWERTEL S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ 20,

presso lo studio dell’avvocato CAROLEO FRANCESCO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ALBE’ GIORGIO, giusta delega in

atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza DEFINITIVA n. 228/2 006 della CORTE D’APPELLO di

VENEZIA, depositata il 10/07/2006 R.G.N. 393/04 E la sentenza non

definitiva n. 1002/05, depositata il 10/2/2006 della Corte di Appello

di Venezia;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/11/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato ALBE’ GIORGIO;

udito l’Avvocato MORACHIELLO ROBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso,

inammissibilità o rigetto dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 19 gennaio 2000, C.A. si rivolgeva al Tribunale di Padova per sentir dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimatogli in data 29 dicembre 1997 per giustificato motivo oggettivo e, conseguentemente, per sentir condannare il datore di lavoro, Società Elettronica Industriale Giorgio Pinton S.p.a. (poi DMT Network-S.p.a. con sede – in (OMISSIS) – incorporante la prima) alla sua reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno nei termini previsti dall’art. 18 della legge 300/1970 (o in subordine L. n. 604 del 1966, ex art. 8).

Il ricorrente chiedeva altresì la condanna della società al pagamento del lavoro straordinario svolto dal 4 dicembre 1995 al 14 gennaio 1998 per il complessivo importo di L. 30.017.925.

Costituitosi il datore di lavoro per resistere alle domande, il Giudice, assunte le testimonianze dedotte, con sentenza in data 17 settembre 2003, accertata e dichiarata l’illegittimità del licenziamento sotto il profilo del mancato assolvimento dell’onere probatorio, gravante sul datore di lavoro, di dimostrare l’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse nell’ambito dell’azienda, ordinava alla società di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e di risarcirgli il danno in misura pari alle retribuzioni perdute dalla data del licenziamento all’effettiva reintegra (con gli accessori di legge) nonchè di versare i contributi previdenziali ed assistenziali. Il Giudice respingeva invece la domanda del ricorrente relativa al pagamento del lavoro straordinario.

Parte datoriale dava esecuzione alla sentenza versando la somma di Euro 280.864,05, oltre spese legali.

Con ricorso depositato in data 18 giugno 2004 DMT Network s.p.a.

appellava la decisione; resisteva l’appellato.

Con sentenza non definitiva del 13 dicembre 2005-10 febbraio 2006, l’adita Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della impugnata decisione, che confermava nel resto, riduceva “l’indennnità risarcitoria (già erogata) di importo pari alle retribuzioni percepite dall’appellante relativamente alle supplenze documentate nel certificato di servizio in atti e delle altre retribuzioni sino al 30 settembre 2003”, rimettendo “il procedimento in istruttoria per la loro quantificazione, come da separata ordinanza”.

Con sentenza dell’11 aprile-10 luglio 2006 la Corte di Venezia, decidendo in via definitiva, confermava l’illegittimità del licenziamento, riducendo l’indennità risarcitoria riconosciuta allo stesso L. n. 300 del 1970, ex art. 18 per l’importo di Euro 21.939,09.

Per la cassazione di tali pronunce ricorre la DMT Towertel S.p.a.

(già DMT Network S.p.a.) con tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste C.A. con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato affidato ed un unico motivo, cui resiste la società con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

Va ancora preliminarmente osservato che il proposto ricorso principale risulta ammissibile perchè -contrariamente all’assunto del C. – non concerne una rivisitazione del materiale probatorio acquisito, bensì violazioni di legge, avallate dai dedotti vizi di motivazione.

Tanto puntualizzato, va osservato che, con il primo motivo di ricorso la DMT Towertel spa, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5, art. 2103 c.c. e L. n 300 del 1970, art. 13, insiste nel sostenere la legittimità del licenziamento in controversia per giustificato motivo oggettivo e l’impossibilità di adibire il lavoratore licenziato a mansioni equivalenti.

In particolare, lamenta che la Corte di Appello di Venezia, pur riconoscendo che il settore radiomobile, – ove il C. ricopriva la qualifica di responsabile commerciale, al momento del licenziamento presentava un consistente calo di commesse, abbia ritenuto fondata la pretesa del lavoratore stante la mancata dimostrazione – gravante sul datore di lavoro – dell’impossibilità di recuperare il lavoratore (che oltre al settore commerciale curava anche la parte più prettamente tecnica) nell’organizzazione produttiva aziendale come evolutasi.

Con il secondo motivo, la ricorrente, denunciando violazioni della medesima normativa sopra richiamata, evidenzia che – secondo la giurisprudenza di legittimità – in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, pur gravando sul datore di lavoro l’onere di provare sia la sussistenza delle ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al suo regolare svolgimento, che hanno indotto alla cessazione del rapporto, sia l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni equivalenti all’interno dell’azienda, occorre che il lavoratore alleghi circostanze – nella specie, non allegate – che facciano almeno presumere resistenza in seno all’azienda di posti di lavoro confacenti alle mansioni svolte, cui egli possa essere adibito.

Con il terzo motivo, infine, si denuncia omessa e/o insufficiente motivazione circa la possibilità di adibizione del lavoratore a mansioni equivalenti.

I tre motivi, da trattarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, meritano accoglimento.

La L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3, definisce il licenziamento per giustificato motivo oggettivo quello determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

L’art. 5 della medesima legge stabilisce che l’onere della prova della sussistenza del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro.

Sul punto in giurisprudenza è ormai consolidato il principio secondo cui in capo al datore di lavoro che intende intimare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, incombe altresì l’onere di provare l’impossibilità di adibire lo stesso lavoratore da licenziare ad altre mansioni nell’ambito dell’organizzazione aziendale.

Tale impossibilità deve, però, essere circoscritta alle mansioni equivalenti a quelle svolte dal lavoratore all’interno dell’azienda (ex plurimis, Cass. n. 21282/06; Cass. n. 12514/04).

Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni tecniche, organizzative produttive è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost..

Pertanto, spetta al giudice il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, e l’onere probatorio grava per intero sul datore di lavoro, che deve dare prova anche dell’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, onere che può essere assolto anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva ed indiziaria, mentre il lavoratore ha comunque un onere di deduzione e di allegazione di tale possibilità di reimpiego (Cass. n. 6559/2010).

Si è, infatti, specificato nella giurisprudenza di legittimità, che la prova suindicata non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore, che impugni il licenziamento, una collaborazione nell’accertamento di un possibile repechage, mediante l’allegazione della esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato; a tale allegazione, poi, corrisponde l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti, da intendersi assolto anche mediante la dimostrazione di circostanze indiziarie, come l’assenza di altre assunzioni in relazione alle mansioni del dipendente da licenziare (cfr. Cass. n. 9369 del 1996; n. 13134 del 2000).

A tali principi non si è attenuta la sentenza impugnata, che, nel dichiarare la illegittimità dell’intimato licenziamento, ha affermato che la società non aveva valutato la possibilità di reimpiegare l’ing. C. così come aveva fatto, invece, per i sigg.ri P. e R., ed aveva provveduto all’immediato licenziamento del C. senza alcuna consultazione con lo stesso; inoltre – ha soggiunto – considerate le argomentazioni delle parti, appariva attendibile l’asserzione dell’ing. C. secondo cui il vero motivo del licenziamento era che “costava troppo”.

Ciò posto, la Corte di Appello di Venezia fonda la propria decisione sulla circostanza che per l’ing. C., diversamente che per i sigg.ri P. e R., la società non ha studiato ed attuato le iniziative più opportune alla ricollocazione.

La Corte, tuttavia, ha omesso di esaminare la natura delle mansioni svolte dai lavoratori presi a confronto e le funzioni effettivamente non ancora attribuite all’interno dell’azienda, nonchè di valutare che l’unico incarico comportante mansioni equivalenti a quelle svolte dal C. al momento del licenziamento, era già ricoperta da altro dipendente della società.

La Corte d’Appello di Venezia appare generica in riferimento alla altrettanto generica allegazione da parte del C. di circostanze di fatto che dimostrassero o facessero almeno presumere l’esistenza in seno all’azienda di posti di lavoro confacenti alle mansioni dallo stesso svolte, al quale egli potesse essere adibito.

Tali omissioni ed insufficienze, oltre a porsi in contrasto con i principi di diritto sopra espressi in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, rendono la motivazione adottata dal Giudice di appello inidonea a giustificare la impugnata decisione.

Il ricorso principale va, pertanto, accolto.

Inammissibile è, invece, il ricorso incidentale, con cui si censura il decisum della Corte territoriale nella parte in cui avrebbe omesso di motivare ed esporre il passaggio logico giuridico circa la dimostrazione della crisi del settore radiomobile dando per scontato che tale settore fosse in crisi, avendo omesso di ricercare sul punto elementi oggettivi a suffragio di mere affermazioni relative a “dicerie” di cui i testi non avevano conoscenza diretta nè in termini di bilanci e dati economici nè in termini tecnici.

Invero, la Corte territoriale ha tenuto a richiamare, sin dall’inizio della svolta motivazione, gli essenziali elementi fattuali della vicenda, da cui emergeva che il settore radiomobile, al quale era addetto il C., aveva perso di interesse e di utilità con l’avvento della telefonia cellulare, per cui nel dicembre 1997, con decorrenza 1 gennaio 1998, il Consiglio di Amministrazione ne aveva deliberato la soppressione.

Tale decisione, rientrante nei poteri imprenditoriali, unitamente al dato oggettivo dell’affermarsi della telefonia mobile, incidente negativamente sul settore radiomobile, ed alla mancanza di contestazione dell’autenticità della scelta, ha costituito la base argomentativa dell’assunto, sul punto, del Giudice a quo.

Assunto, che ora, inammissibilmente, il C. contesta senza fornire alcun argomento a sostegno della opposta tesi.

La sentenza va perciò cassata in relazione al solo ricorso principale accolto, con rinvio ad altra Corte d’ appello, come indicata in dispositivo.

Lo stesso Giudice di rinvio deve provvedere altresì sulle spese del giudizio di cassazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

Va ancora preliminarmente osservato che il proposto ricorso principale risulta ammissibile perchè -contrariamente all’assunto del C. – non concerne una rivisitazione del materiale probatorio acquisito, bensì violazioni di legge, avallate dai dedotti vizi di motivazione.

Tanto puntualizzato, va osservato che, con il primo motivo di ricorso la DMT Towertel spa, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5, art. 2103 c.c. e L. n 300 del 1970, art. 13, insiste nel sostenere la legittimità del licenziamento in controversia per giustificato motivo oggettivo e l’impossibilità di adibire il lavoratore licenziato a mansioni equivalenti.

In particolare, lamenta che la Corte di Appello di Venezia, pur riconoscendo che il settore radiomobile, – ove il C. ricopriva la qualifica di responsabile commerciale, al momento del licenziamento presentava un consistente calo di commesse, abbia ritenuto fondata la pretesa del lavoratore stante la mancata dimostrazione – gravante sul datore di lavoro – dell’impossibilità di recuperare il lavoratore (che oltre al settore commerciale curava anche la parte più prettamente tecnica) nell’organizzazione produttiva aziendale come evolutasi.

Con il secondo motivo, la ricorrente, denunciando violazioni della medesima normativa sopra richiamata, evidenzia che – secondo la giurisprudenza di legittimità – in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, pur gravando sul datore di lavoro l’onere di provare sia la sussistenza delle ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al suo regolare svolgimento, che hanno indotto alla cessazione del rapporto, sia l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni equivalenti all’interno dell’azienda, occorre che il lavoratore alleghi circostanze – nella specie, non allegate – che facciano almeno presumere resistenza in seno all’azienda di posti di lavoro confacenti alle mansioni svolte, cui egli possa essere adibito.

Con il terzo motivo, infine, si denuncia omessa e/o insufficiente motivazione circa la possibilità di adibizione del lavoratore a mansioni equivalenti.

I tre motivi, da trattarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, meritano accoglimento.

La L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3, definisce il licenziamento per giustificato motivo oggettivo quello determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

L’art. 5 della medesima legge stabilisce che l’onere della prova della sussistenza del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro.

Sul punto in giurisprudenza è ormai consolidato il principio secondo cui in capo al datore di lavoro che intende intimare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, incombe altresì l’onere di provare l’impossibilità di adibire lo stesso lavoratore da licenziare ad altre mansioni nell’ambito dell’organizzazione aziendale.

Tale impossibilità deve, però, essere circoscritta alle mansioni equivalenti a quelle svolte dal lavoratore all’interno dell’azienda (ex plurimis, Cass. n. 21282/06; Cass. n. 12514/04).

Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni tecniche, organizzative produttive è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost..

Pertanto, spetta al giudice il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, e l’onere probatorio grava per intero sul datore di lavoro, che deve dare prova anche dell’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, onere che può essere assolto anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva ed indiziaria, mentre il lavoratore ha comunque un onere di deduzione e di allegazione di tale possibilità di reimpiego (Cass. n. 6559/2010).

Si è, infatti, specificato nella giurisprudenza di legittimità, che la prova suindicata non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore, che impugni il licenziamento, una collaborazione nell’accertamento di un possibile repechage, mediante l’allegazione della esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato; a tale allegazione, poi, corrisponde l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti, da intendersi assolto anche mediante la dimostrazione di circostanze indiziarie, come l’assenza di altre assunzioni in relazione alle mansioni del dipendente da licenziare (cfr. Cass. n. 9369 del 1996; n. 13134 del 2000).

A tali principi non si è attenuta la sentenza impugnata, che, nel dichiarare la illegittimità dell’intimato licenziamento, ha affermato che la società non aveva valutato la possibilità di reimpiegare l’ing. C. così come aveva fatto, invece, per i sigg.ri P. e R., ed aveva provveduto all’immediato licenziamento del C. senza alcuna consultazione con lo stesso; inoltre – ha soggiunto – considerate le argomentazioni delle parti, appariva attendibile l’asserzione dell’ing. C. secondo cui il vero motivo del licenziamento era che “costava troppo”.

Ciò posto, la Corte di Appello di Venezia fonda la propria decisione sulla circostanza che per l’ing. C., diversamente che per i sigg.ri P. e R., la società non ha studiato ed attuato le iniziative più opportune alla ricollocazione.

La Corte, tuttavia, ha omesso di esaminare la natura delle mansioni svolte dai lavoratori presi a confronto e le funzioni effettivamente non ancora attribuite all’interno dell’azienda, nonchè di valutare che l’unico incarico comportante mansioni equivalenti a quelle svolte dal C. al momento del licenziamento, era già ricoperta da altro dipendente della società.

La Corte d’Appello di Venezia appare generica in riferimento alla altrettanto generica allegazione da parte del C. di circostanze di fatto che dimostrassero o facessero almeno presumere l’esistenza in seno all’azienda di posti di lavoro confacenti alle mansioni dallo stesso svolte, al quale egli potesse essere adibito.

Tali omissioni ed insufficienze, oltre a porsi in contrasto con i principi di diritto sopra espressi in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, rendono la motivazione adottata dal Giudice di appello inidonea a giustificare la impugnata decisione.

Il ricorso principale va, pertanto, accolto.

Inammissibile è, invece, il ricorso incidentale, con cui si censura il decisum della Corte territoriale nella parte in cui avrebbe omesso di motivare ed esporre il passaggio logico giuridico circa la dimostrazione della crisi del settore radiomobile dando per scontato che tale settore fosse in crisi, avendo omesso di ricercare sul punto elementi oggettivi a suffragio di mere affermazioni relative a “dicerie” di cui i testi non avevano conoscenza diretta nè in termini di bilanci e dati economici nè in termini tecnici.

Invero, la Corte territoriale ha tenuto a richiamare, sin dall’inizio della svolta motivazione, gli essenziali elementi fattuali della vicenda, da cui emergeva che il settore radiomobile, al quale era addetto il C., aveva perso di interesse e di utilità con l’avvento della telefonia cellulare, per cui nel dicembre 1997, con decorrenza 1 gennaio 1998, il Consiglio di Amministrazione ne aveva deliberato la soppressione.

Tale decisione, rientrante nei poteri imprenditoriali, unitamente al dato oggettivo dell’affermarsi della telefonia mobile, incidente negativamente sul settore radiomobile, ed alla mancanza di contestazione dell’autenticità della scelta, ha costituito la base argomentativa dell’assunto, sul punto, del Giudice a quo.

Assunto, che ora, inammissibilmente, il C. contesta senza fornire alcun argomento a sostegno della opposta tesi.

La sentenza va perciò cassata in relazione al solo ricorso principale accolto, con rinvio ad altra Corte d’ appello, come indicata in dispositivo.

Lo stesso Giudice di rinvio deve provvedere altresì sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Trento.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2011

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