Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30398 del 19/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 30398 Anno 2017
Presidente: SCHIRO’ STEFANO
Relatore: CIRILLO ETTORE

ORDINANZA
sul ricorso 28152-2016 proposto da:
MONTAPERTO GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati FULVIO DE LUISE e
OLGA PORTA;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (c.f 06363391001), in persona del
Direttore pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope-legis;

resistente

avverso la sentenza n. 4275/17/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di NAPOLI, depositata il 06/05/2016;

Data pubblicazione: 19/12/2017

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’08/11/2017 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO.

Rilevato che:
E’ stato regolarmente costituito il contraddittorio ai sensi
dell’art. 380 bis cod. proc. civ. (come modificato dal d.l. 31 agosto

n. 197).
Con sentenza n. 3099 del 2 aprile 2015 la CTR-Campania, riformando la decisione della CTP-Napoli n. 6528 del 2014, ha disatteso
la domanda avanzata dal Giovanni Montaperto per ottenere il rimborso dell’IRAP versata (2006-2010). Il giudice d’appello ha ritenuto che,
ai fini dei requisiti impostivi, l’istante non potesse essere annoverato
tra i contribuenti minimi per il solo fatto di aver investito in beni strumentali, atteso il reddito ragguardevole prodotto e dichiarato.
Per la revocazione di tale decisione il Montaperto ha proposto
ulteriore ricorso alla CTR-Campania, assumendo che il giudice
d’appello abbia commesso errore di fatto rilevante ai fini dell’art. 395
n. 4) cod. proc. civ.. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con
sentenza n. 4275 del 6 maggio 2016, che ha ritenuto come le critiche
mosse alla decisione di primo grado siano riconducibili al mero apprezzamento delle risultanze processuali e, quindi, ad un errore di giudizio, giammai ad un errore di fatto, da intendersi circoscritto al contrasto tra diverse rappresentazioni dello stesso oggetto emergenti l’una
dalla sentenza, l’altra dagli atti causa.
Per la cassazione di tale decisione il contribuente ha proposto ricorso, affidandosi a tre motivi illustrati anche con memoria; l’Agenzia
delle entrate non spiega alcuna difesa.

Considerato che:
Il ricorso è inammissibile.
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2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016,

Col primo motivo — denunciando “violazione e falsa applicazione

dell’art. 64, co. 1, d.lgs. n. 546/92 in combinato diAposto con l’art. 395 n.4 c.p.c.
e omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio (art. 360 c.p.c.. n. 3 e n.5)” — il
ricorrente sostiene che la CTR-Campania avrebbe trascurato che
l’errore revocatorio consisterebbe nell’affermazione dell’autonoma or-

te, cioè di un fatto la cui verità sarebbe stata invece irrefutabilmente
esclusa o accertata in base al tenore degli atti e dei documenti di causa,
non bastando la proclamazione del concetto astratto di “reddito ragguar-

devole”.
Col terzo motivo – denunciando “violazione e falsa applicazione di

norme di diritto sulla disciplina dei c. d. contribuenti minimi di cui all’articolo 1,
commi da 96 a 117, della legge finanziaria 2008 e per omesso esame della documentazione in atti con contestuale violazione dell’art. 395 n.4 c.p.c. e omesso esame
circa un fatto decisivo del giudizio (art. 360 c.p.c.. n. 3 e n.5)” — il ricorrente
muove analoghe censure e rimanda all’osservanza della circolare n.
45/E del 18 giugno 2008.
Con riferimento a entrambi i suddetti motivi di ricorso, si osserva che il rilievo revocatorio del ricorrente introduce, però, un vero e
proprio error in iudicando per omesso esame, da parte della CTRCampania, di fatti asseritamente decisivi quali le dotazioni strumentali
minime e l’assenza di personale, che lambiscono anche la falsa applicazione della legge d’imposta, laddove M giurisprudenza (Cass., Se U, n.

9451 del 2016) si afferma che il presupposto dell’autonoma organizzazione richiesto dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, non ricorre quando
il contribuente, responsabile dell’organizzazione, impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività
e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive, mentre l’entità dei compensi percepiti dal
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ganizzazione o nella supposizione dell’esistenza di personale dipenden-

contribuente e, cioè, l’ammontare del reddito conseguito è irrilevante
(Cass., Sez. 6 5, n. 22705 del 2016). Dunque, quello dedotto dinanzi alla

CTR-Campania, col ricorso per la revocazione delle sentenza
d’appello, è l’omesso esame di fatti storici, principali o secondari, la cui
esistenza si assume risultare dal testo della sentenza e dagli atti proces-

giuridico- fattuali.
Va, dunque, ribadito che non è idoneo ad integrare errore revocatorio – rilevante ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 395, n. 4), cod.
proc. civ. – l’ipotizzato travisamento, da parte del giudice di merito, di
dati giuridico-fattuali, acquisiti attraverso la mediazione delle parti e
l’interpretazione dei contenuti espositivi dei rispettivi atti del giudizio, e
dunque mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale quand’anche risulti errata – di revocazione (Cass., Se U, n. 13181 del
2013).
L’errore di fatto idoneo a determinare la revocabilità delle sentenze resta circoscritto a un errore di percezione e/o alla mera svista
materiale, che abbia indotto il giudice di merito a supporre l’esistenza o
l’inesistenza di un fatto decisivo, l’insussistenza o la sussistenza del
quale risulti invece in modo incontrovertibile alla stregua degli atti o
dei documenti di causa; mentre non è configurabile l’errore revocatorio
qualora l’erronea percezione si risolva addirittura nella prospettazione
di un vizio giuridico (Cass., Se U, n. 15426 del 2001).
La CTR-Campania, quale giudice della revocazione delle sentenza d’appello, non si è discostata dai superiori principi di diritto e, dunque, il primo e il terzo motivo di ricorso per cassazione vanno disattesi.
Col secondo motivo – denunciando “violazione e falsa applicazione
dell’ari’. 64, co. 1, d.lgs. n. 546192 in combinato disposto con l’art. 395 n.4 cp.c.
e omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio (art. 360 cp.c.. n. 3 e n.5)”— il
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suali; si tratta cioè di un preteso error in iudicando correlato a profili di

ricorrente inammissibilmente lamenta la mancata pronunzia circa la sospensione dei termini per la proposizione del ricorso per cassazione.
Infatti, nel giudizio di revocazione, il mancato accoglimento della domanda di sospensione del termine per ricorrere in cassazione, a
norma dell’art. 398, ultimo comma, cod. proc. civ., costituisce esercizio

la legittimità del giudizio di revocazione, né della sentenza pronunciata
all’esito di questo, non è configurabile come vizio di legittimità (Cass.,

1, n. 10669 del 2006), atteso che l’eventuale provvedimento ha natura discrezionale (Cass., Se L, n. 2845 del 1999).
Dunque, con motivazione semplificata, il ricorso per cassazione
va dichiarato inammissibile, senza alcuna conseguenza in punto di spese, mancando attività difensiva erariale.

P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito

dall’art. 1, comma 17, della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 1

Così deciso in Roma, 1’8 novembre 2017

IL

E

Dott. St a i Schirò

di un potere insindacabile in sede di legittimità; esso, non influenzando

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