Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30389 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 21/11/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 21/11/2019), n.30389

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22656-2017 proposto da:

A.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ADIGE 43,

presso lo studio dell’avvocato LUCIANO DI PASQUALE, rappresentato e

difeso dall’avvocato A.F. giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

VILLA DEL PARCO SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO

LEOPOLDO FREGOLI 8, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO SALONIA,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO TOGNINI

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 838/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 31/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/06/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate da entrambe le parti.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Villa del Parco S.r.l. otteneva dal Tribunale di Bologna un decreto ingiuntivo nei confronti dell’avv. A.F. dell’importo di Euro 10.841,43, pari alla somma che la stessa società aveva versato all’ingiunto per effetto di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo emesso a suo tempo in favore dell’Arnone, e successivamente revocato con sentenza del Tribunale di Bologna, a sua volta appellata.

Nel ricorso monitorio la società deduceva che, non avendo il Tribunale, nella sentenza con la quale aveva revocato il decreto ingiuntivo, statuito in merito alle obbligazioni restitutorie, era possibile ottenere quanto a suo tempo versato anche con il ricorso ad un’autonoma procedura monitoria.

Proponeva opposizione A.F. e lamentava che il radicamento della procedura monitoria in pendenza del giudizio di appello avverso la sentenza che aveva revocato il decreto ingiuntivo a suo tempo emesso, costituiva una violazione del principio del ne bis in idem e pertanto chiedeva la revoca del provvedimento opposto.

Nella resistenza della società, il Tribunale di Bologna con la sentenza n. 20213/2016 rigettava l’opposizione e tale decisione era confermata dalla Corte d’Appello di Bologna con la sentenza n. 838 del 3 aprile 2017.

Rilevavano i giudici di appello che doveva darsi seguito a quanto affermato da Cass. n. 19296/2015 che aveva appunto riconosciuto il diritto di agire a colui che aveva pagato delle somme per effetto di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, e poi revocato, analogamente a quanto previsto per il caso di chi che avesse adempiuto le obbligazioni derivanti da una sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva e poi riformata, diritto che poteva essere fatto valere tanto dianzi allo stesso giudice dell’opposizione, quanto in via autonoma ed anche con il ricorso ad una procedura monitoria.

A voler diversamente opinare, come invece dedotto dall’appellante, l’opponente che ha adempiuto, nonostante l’accoglimento dell’opposizione e la revoca del decreto per la carenza del diritto di credito azionato, non avrebbe alcuna forma di tutela.

Nè poteva invocarsi la necessità di attendere gli esiti del giudizio di appello promosso dall’ A. avverso la sentenza che aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso ab origine a suo favore, avendo la giurisprudenza di legittimità escluso che ricorra un’ipotesi di litispendenza ovvero di sospensione necessaria, non potendosi accedere alla tesi pur sostenuta da alcuni precedenti, secondo cui la condanna alla restituzione di quanto pagato per effetto del provvedimento giurisdizionale provvisoriamente esecutivo, sarebbe implicita nella decisione che riformi tale provvedimento.

Avverso tale sentenza propone ricorso A.F. sulla base di tre motivi.

La Villa del Parco S.r.l. ha resistito con controricorso.

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 336 e 633 c.p.c..

Assume il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe ignorato i numerosi precedenti richiamati alle pagg. 22 e ss. dell’atto di appello, facendo richiamo unicamente a quanto affermato in Cass. n. 19296/2005, precedente che però è stato male interpretato dai giudici di appello.

In realtà l’ipotesi contemplata dal precedente del 2005, a differenza di quanto invece accaduto nella vicenda in esame, prevedeva una sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, così che deve ritenersi che nel caso in precedenza deciso da questa Corte vi fosse stata una condanna alla restituzione disposta con la sentenza di primo grado.

Assume l’ A. che la corretta lettura dell’art. 336 c.p.c. presuppone che la restituzione delle somme versate per effetto di un titolo giudiziale venuto meno, faccia seguito alla riforma o cassazione parziale della sentenza precedente, situazione questa che non ricorre nel caso di specie.

Le erronee conclusioni dei giudici di appello appaiono poi indotte anche dall’erronea redazione in una banca dati privata della massima tratta da Cass. n. 19262/2005, in quanto non vi è cenno del requisito della provvisoria esecutorietà della sentenza, requisito questo che si attaglia alle sole sentenze che revocando il decreto ingiuntivo, abbiano anche espressamente disposto la condanna alla restituzione di quanto pagato.

In assenza di tale indicazione, il diritto alla restituzione presuppone la riforma della sentenza di primo grado.

Tale argomentazione è poi ulteriormente sviluppata nel secondo motivo di ricorso che denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 282 c.p.c. nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., con la conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c..

Infatti, l’assenza di un capo di condanna nella sentenza che aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso a favore dell’ A., impedisce di invocare gli effetti dell’art. 282 c.p.c. e quindi non consente alla società di intraprendere un’autonoma procedura monitoria per il recupero di quanto a suo tempo pagato.

La sentenza appare del tutto carente sul punto e conseguentemente la sua motivazione è da ritenersi inesistente con la nullità della decisione, il che ha consentito anche di pervenire ad una violazione delle norme in tema di ripetizione dell’indebito.

Infine il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 295 c.p.c. in quanto è ancora pendente l’appello proposto dal ricorrente avverso la sentenza che aveva revocato il decreto ingiuntivo a suo tempo emesso in suo favore, sicchè la causa in esame andava sospesa sino all’esito del giudizio preesistente.

I primi due motivi che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione sono infondati.

Appare al Collegio che i principi affermati da Cass. n. 19296/2005, su cui si fonda la decisione oggi gravata, siano stati rettamente intesi ed interpretati dai giudici di appello, palesando invece le censure di parte ricorrente il tentativo non meritevole di seguito, di offrirne una diversa lettura, peraltro restrittiva, e fondata sulla stretta esegesi dell’art. 336 c.p.c., che nel caso di specie non è direttamente applicato, ma piuttosto richiamato in via analogica.

La massima ufficiale di Cass. n. 19296/2005, la quale trova pieno riscontro nella lettura della motivazione per esteso dell’ordinanza, recita che: “Il principio secondo cui il diritto alla restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza provvisoriamente esecutiva, successivamente riformata in appello, sorge, ai sensi dell’art. 336 c.p.c., per il solo fatto della riforma della sentenza e può essere fatto valere immediatamente, se del caso anche con procedimento monitorio, trova applicazione anche in riferimento alla revoca del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. In tal caso, la domanda di restituzione può essere proposta dinanzi allo stesso giudice dell’opposizione, ovvero anche separatamente, ed in quest’ultima ipotesi il relativo giudizio non dev’essere sospeso in attesa della definizione di quello di opposizione al decreto ingiuntivo, non essendo la restituzione subordinata al passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento dell’opposizione”.

Appare evidente che il riferimento alla sentenza provvisoriamente esecutiva debba intendersi limitato alle sole ipotesi in cui la restituzione concerna somme che siano state pagate per effetto di una sentenza munita di tali caratteristiche, sicchè laddove, come nel caso in esame, l’adempimento sia conseguenza di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo interessato da un provvedimento di revoca, è vero che la sentenza stessa potrebbe espressamente disporre le restituzioni (avendo tale capo ex se provvisoria esecutività), ma ove taccia, come avvenuto nella vicenda in esame, si è appunto precisato da questa Corte che alla parte è data in ogni caso la possibilità di attivarsi immediatamente per il recupero di quanto indebitamente versato e ciò, o reiterando la richiesta di restituzione (sebbene non manchino precedenti di questa Corte – Cass. n. 26926/2018 – ai quali fa richiamo la memoria di parte controricorrente, che ritengano implicita nella richiesta di revoca del decreto ingiuntivo, anche quella di ripetizione delle somme versate per effetto della provvisoria esecutività del decreto opposto) dinanzi allo stesso giudice dell’opposizione (a questo punto in sede di gravame), ovvero con il ricorso ad un’autonoma procedura monitoria (soprattutto laddove, come nel caso in esame il giudice dell’opposizione nel disporre la revoca del decreto, nulla abbia statuito in merito alle restituzioni, e ciò sebbene parte della giurisprudenza reputi che non sia necessaria un’esplicita richiesta, cfr. Cass. n. 3706/2018; Cass. n. 2946/2017).

I precedenti richiamati da parte ricorrente non appaiono in grado di confutare i principi ora esposti essendo nell’assoluta prevalenza riferibili alla diversa ipotesi in cui l’adempimento da parte del debitore derivi da una sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, poi riformata in appello (per le quali risulta pienamente applicabile la previsione di cui all’art. 336 c.p.c.) ma non contemplano la fattispecie ora in esame in cui la provvisoria esecutorietà abbia riguardato il decreto ingiuntivo, poi revocato con la sentenza di primo grado nella quale la sentenza di revoca, in assenza di un’esplicita statuizione in punto di restituzioni, si sia limitata ad un accertamento negativo della pretesa creditoria, provvedendo alla sola revoca del provvedimento monitorio (nè maggiormente attinenti alla fattispecie risultano i precedenti richiamati dal ricorrente in calce alla memoria depositata in prossimità dell’udienza camerale).

Peraltro i principi espressi da Cass. n. 19296/2005 non possono ritenersi frutto di un’isolata presa di posizione della Corte, trovando riscontro anche in altre pronunce, quale ad esempio Cass. n. 9296/2004, che ha affermato che l’accertamento immediatamente esecutivo della pretesa sostanziale fatta valere nel procedimento d’ingiunzione, se pure perdura nel corso del giudizio di opposizione, può essere superato dalla sentenza che decide la stessa opposizione, ove questa sia accolta, dato che la sentenza di accertamento negativo si sostituisce completamente al decreto ingiuntivo (il quale viene eliminato dalla realtà giuridica), con la conseguenza che gli atti di esecuzione già compiuti restano caducati, analogamente a quanto accade nei casi di riforma o cassazione di sentenza impugnata (art. 336,353,354 c.p.c.) e di revoca di provvedimento cautelare a seguito di reclamo (art. 669 – terdecies c.p.c.), a prescindere dal passaggio in giudicato della medesima sentenza di accoglimento dell’opposizione; tale conclusione trova conferma anche nella disposizione dell’art. 653 c.p.c., comma 2, per cui, se l’opposizione è accolta solo in parte, il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza, ma gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto conservano i loro effetti “nei limiti della somma o della quantità ridotta”, conseguendone che se la somma o la quantità è azzerata, come avviene nel caso di accoglimento totale dell’opposizione, non può materialmente verificarsi alcuna conservazione, neanche ridotta, degli atti esecutivi già compiuti, con la conseguenza che l’opponente può immediatamente chiedere la restituzione dell’intera somma (o quantità) già versata (oppure la restituzione della cosa mobile già consegnata).

Reputa il Collegio che debba darsi continuità ai suddetti principi, che sono il frutto di un’applicazione non già in via diretta ma in via analogica della regola posta dall’art. 336 c.p.c., che non può essere quindi completamente trasposta nella fattispecie in esame, con la necessità che la domanda restitutoria sia preceduta da una riforma della sentenza di primo grado, come invece è coerente nella previsione legislativa de qua, essendo la conclusione in esame supportata anche dal richiamo alle specifiche norme dettate in tema di decreto ingiuntivo (art. 653 c.p.c.), dovendosi per l’appunto assicurare, in alternativa alla reiterazione della domanda di ripetizione rivolta al giudice di appello da parte dell’ingiunto, un diverso strumento processuale che effettivamente assicuri l’immediato riequilibrio delle posizioni delle parti, una volta venuto meno il titolo giudiziale che aveva legittimato uno spostamento patrimoniale, ormai non più giustificato.

Va altresì escluso che la sentenza, che ha adeguatamente esaminato la vicenda sottoposta al suo esame, pervenendo alla decisione sulla base di pertinenti richiami giurisprudenziali, sia affetta da nullità per assenza di motivazione, dovendosi altresì ricordare che le pretese restitutorie derivanti da revoca o riforma di provvedimento di condanna sono assoggettate a regole proprie che non consentono di invocare in toto le norme che il legislatore detta in tema di ripetizione dell’indebito (si vedano in tal senso i precedenti riportati nell’atto di appello dell’ A.) ma senza che ciò precluda in ogni caso la possibilità per la parte che abbia effettuato dei pagamenti privi di giustificazione, di poter immediatamente agire per il recupero di quanto versato, anche se del caso in via monitoria. Infine del pari infondato è il terzo motivo di ricorso, dovendosi nel negare la necessità della sospensione, far richiamo oltre che a Cass. n. 19296/2005 che appunto esamina tale questione risolvendola conformemente a quanto deciso dai giudici di appello, anche alla più recente giurisprudenza che ha ribadito che (cfr. Cass. n. 12773/2017) il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto la restituzione di somme versate a seguito di una sentenza di condanna in primo grado, poi riformata in appello, non può essere sospeso ex art. 337 c.p.c., comma 2, in attesa della decisione sul ricorso per cassazione proposto avverso la stessa sentenza di riforma, atteso che tra i due procedimenti non ricorre un rapporto di pregiudizialità logico – giuridica tale da giustificare la sospensione dell’opposizione suddetta, e costituente presupposto comune alle ipotesi di sospensione sia necessaria, ex art. 295 c.p.c., che facoltativa, ex art. 337 c.p.c., comma 2, in quest’ultima occorrendo, peraltro, anche una valutazione del giudice della causa dipendente sulla controvertibilità effettiva della decisione impugnata (conf. Cass. n. 28167/2013).

Ribadita l’applicabilità in via analogica dei principi posti dall’art. 336 c.p.c. anche al caso in esame (per l’affermazione che 10’immediato diritto alla restituzione delle somme versate per effetto della revoca del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ai sensi dell’art. 336 c.p.c., si veda anche Cass. n. 2946/2017, cit.), deve ritenersi che sussistendo la medesima ratio, sia da escludere la necessità della sospensione ex art. 295 ovvero 337 c.p.c., anche nel caso in cui la sentenza che abbia revocato il decreto ingiuntivo sia ancora sub iudice.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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