Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30387 del 19/12/2017


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 30387 Anno 2017
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso 6906-2016 proposto da:
CREDEMLEASING SPA, in persona del direttore e legale
rappresentante pro tempore dott. MAURIZIO GIGLIOLI,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO POMA 4,
presso lo studio dell’avvocato MARCO BALIVA, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO
LASAGNI giusta procura in calce al ricorso;

ricorrente

contro

AVIVA ITALIA SPA, in persona del procuratore speciale
pro

tempore,

Dott.

BENOIT

MICHEL

VERBRIGGHE,

Data pubblicazione: 19/12/2017

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ROMEO ROMEI 27,
presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO ROMAGNOLI, che
la rappresenta e difende giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente –

SOLE FABIO, KOBAN ALEXANDER, IMAGIC SRL;
– intimati –

Nonché da:
SOLE FABIO, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA
VESCOVI° 21, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO
MANFEROCE, che lo rappresenta e difende giusta procura
a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente incidentale contro

CREDEMLEASING SPA, AVIVA ITALIA SPA, ALEXANDER KOBAN,
‘MAGIC SRL;
– intimati –

avverso il provvedimento n. 758/2016 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 25/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/11/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA
GRAZIOSI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CARDINO che ha concluso per
l’accoglimento parziale del l ° motivo del ricorso

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non chè contro

principale e del 4 ° motivo, accoglimento del ricorso
incidentale;
udito l’Avvocato MARCO SALIVA;
udito l’Avvocato FRANCESCA GIANSANTE per delega;

udito l’Avvocato TOMMASO MANFEROCE;

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6906/2016

FATTI DI CAUSA

1. Avendo Fabio Sole convenuto davanti al Tribunale di Milano Alexander Koban (quale
conducente), Credemleasing S.p.A. (quale proprietaria) e RCA Commerciai Union Italia S.p.A.,
ora AVIVA Italia S.p.A. (quale compagnia assicuratrice di quest’ultima) per il risarcimento dei
danni derivatigli da un sinistro avvenuto il 24 gennaio 1993, che aveva coinvolto lui alla guida

Credemleasing S.p.A., e avendo quest’ultima poi ottenuto l’autorizzazione di chiamare in causa
l’utilizzatrice della vettura, Imagic Srl, il Tribunale, con sentenza del 18 aprile 2001, dichiarava
improponibile l’azione. A seguito di appello proposto quindi dal Sole, la Corte d’appello di
Milano, con sentenza non definitiva – passata in giudicato – n. 452/2005 dichiarava proponibile
l’azione e accertava la responsabilità solidale dei convenuti e della società chiamata nei
confronti del Sole nella misura del 25%; con sentenza definitiva n. 591/2009 la Corte d’appello
condannava poi i suddetti a corrispondere all’appellante un risarcimento di C 608.772,32, oltre
accessori. A seguito di ricorso ancora del Sole, questa Suprema Corte, in accoglimento del suo
secondo e del suo quarto motivo, con sentenza n. 9230/2013 cassava la sentenza definitiva
d’appello con rinvio alla corte territoriale. Quest’ultima, con sentenza n. 758/2016, condannava
solidalmente i convenuti e la società chiamata, detratto quanto già versato, a corrispondere al
Sole la somma di C 981.046,98, oltre accessori (per la compagnia assicuratrice nei limiti di C
575.849,75) e respingeva la domanda di Credemleasing S.p.A. nei confronti di Imagic Srl.
2. Ha presentato ricorso Credemleasing S.p.A. sulla base di quattro motivi. Si è difesa con
controricorso AVIVA Italia S.p.A.; ha presentato altresì controricorso, con ricorso incidentale
denunciante un unico motivo, Fabio Sole.
La ricorrente principale e il ricorrente incidentale hanno successivamente depositato memoria
ex articolo 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3. Deve anzitutto esaminarsi il ricorso principale.
3.1.1 D primo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., una
pluralità di norme sostanziali e processuali (articoli 1223, 1224, 2043, 2054 c.c., 112, 113,
115, 116, 345, 384, secondo comma, e 394 c.p.c., 4 I. 39/1977, 137 Codice assicurazioni)
nonché violazione del principio di diritto espresso dalla precedente pronuncia di questa
Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza d’appello.
A proposito della liquidazione del danno da lucro cessante per riduzione della capacità
lavorativa, secondo la ricorrente il Sole non aveva “articolato con precisione” la richiesta del
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della sua auto Mercedes e un’auto Volvo condotta appunto dal Koban e di proprietà della

risarcimento di tale danno come poi liquidato, e a detto asserto fa ampiamente seguire
l’estrapolazione di passi da vari atti (ricorso, pagine 7-12).
Secondo la ricorrente, poi, la sentenza impugnata avrebbe sommato i redditi netti (del 1992) a
quelli lordi (del 1993 e del 1994), laddove l’articolo 4, primo comma, I. 39/1977 identifica il
reddito rilevante in quello netto, cioè dichiarato per l’applicazione dell’imposta dei redditi.
Inoltre il giudice di rinvio avrebbe violato l’articolo 345 c.p.c., accogliendo domande proposte
per la prima volta nell’atto conclusivo del secondo grado, che avrebbe dovuto dichiarare

Ancora, il giudice del rinvio avrebbe violato il principio di diritto espresso nella sentenza n.
9230/2013 di questa Suprema Corte, che avrebbe accertato l’esistenza in atti dei “dati
aritmetici necessari al riesame della questione”, i quali, secondo la ricorrente, sarebbero le
dichiarazioni dei redditi del Sole: su di essi soltanto il giudice del rinvio avrebbe dovuto
decidere; sarebbero stati pertanto violati l’articolo 115 c.p.c. e il principio di acquisizione della
prova.
Il giudice del rinvio, inoltre, in ordine alla correttezza della scomputazione dei costi e alla
ricomprensione nella somma dei redditi lordi anziché dei redditi netti, avrebbe violato gli
articoli 4 I. 39/1977 e 115 c.p.c.; e per di più negli anni 1993 e 1994 il Sole avrebbe dovuto
corrispondere varie spese (che il ricorso indica a pagina 16) che non sarebbero qualificabili
costi “improduttivi”.
Prosegue ulteriormente il motivo sostenendo che il Sole avrebbe proposto un’alternativa
(sommatoria dei redditi netti del 1993 e del 1994 a quelli del 1992 oppure sommatoria dei
redditi netti del 1993 e del 1994 ai redditi netti complessivamente dichiarati nel triennio 19901992) che la sentenza di questa Suprema Corte n. 9230/2013 – che aveva cassato con rinvio non avrebbe risolto. L’articolo 4 I. 39/1977, oggi articolo 137 Codice assicurazioni, stabilendo
che il reddito si determina per il lavoro autonomo in base al reddito netto più elevato fra i
redditi dichiarati ai fini dell’Irpef per l’ultimo triennio, fornirebbe una presunzione probatoria

inammissibili in quanto nuove.

che il Sole non avrebbe superato, perché non avrebbe provato la riferibilità esclusiva dei redditi
netti dichiarati per il 1993 e il 1994 all’attività da lui svolta nel 1992; pertanto i redditi netti
dichiarati dal Sole nel 1993 e nel 1994 dovrebbero essere sommati al 33,33% a ciascuno dei
redditi del 1990, del 1991 e del 1992.
3.1.2 Dalla sintesi appena tracciata emerge ictu ocu/i che il primo motivo del ricorso (come già
segnala la più che mai plurale ed eterogenea invocazione di norme conformante la sua rubrica)
consiste in una congerie di argomentazioni varie, che oscillano tra le censure di diritto – sia
sostanziale, sia processuale – e quelle di fatto, inclusi aspetti meramente aritmetici. Si
percorre, infatti, un accidentato iter che sciorina argomentazioni di piena eterogeneità, dalla
asseritamente erronea determinazione dei redditi rilevanti, alla pretesa introduzione di
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domanda nuova con correlata violazione dell’articolo 345 c.p.c., alla individuazione dei dati su
cui la corte territoriale avrebbe dovuto decidere attraverso calcoli aritmetici, alla natura
attribuibile alle spese sostenute da Fabio Sole negli anni 1993-1994, al difetto di prova da
parte di quest’ultimo ecc. Non può non ricordarsi un recente intervento delle Sezioni Unite di
questa Suprema Corte dal contenuto conservativo in caso di commistione di più profili di
doglianza (S.U. 6 maggio 2015 n. 9100), per cui, qualora nel ricorso per cassazione un singolo
motivo sia appunto articolato in più censure, ciascuna delle quali avrebbe potuto essere
denunciata come motivo autonomo, detta pluralità non giustifica di per sé l’inammissibilità del
“la sua formulazione

permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario,
l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse
fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati”. Peraltro è ineludibile che la
specificità, che il sistema logicamente impone connoti le censure in tutte le impugnazioni,
significa chiarezza e completezza, per cui non può varcare la soglia dell’ammissibilità un
motivo di ricorso per cassazione che prospetti una pluralità di questioni senza rispettare detti
requisiti, ovvero proponendo un grumo eterogeneo di doglianze che esiga un vero e proprio
intervento integrativo di discernente chiarificazione da parte del giudice, cui pertanto verrebbe
in ultima analisi affidata la compiuta formulazione del motivo (cfr., tra gli arresti recenti, Cass.
sez. 5, 14 settembre 2016 n. 18021 e Cass. sez. 1, 20 settembre 2013 n. 21611). Non è dato,
invero, alle parti di fruire di una sorta di ausilio officioso quanto alla conformazione dei motivi,
che non possono essere veicolati nel ricorso come un’entità omnicomprensiva in relazione a un
elemento della decisione (nel caso in esame, la determinazione del danno da lucro cessante),
riversando in essi, con produzione pure d’inevitabile intreccio reciproco, qualsivoglia
argomentazione che potrebbe avere pertinenza con l’elemento suddetto.
Il motivo in esame, pertanto, non supera la soglia dell’ammissibilità.
Meramente ad abundantiam, infine, si rileva che la pur plurale congerie di doglianze intrecciate
appena evidenziata come confusa sostanza del primo motivo non giunge ad includere la
confutazione di quella che potrebbe definirsi l’effettiva ratio decidendi sul tema, rinvenibile a
pagina 10 della motivazione della sentenza impugnata

(“Rispetto alle contestazioni

formulate.. in ordine al computo, ai fini del calcolo come sopra recepito, da parte del
danneggiato, del relativo reddito lordo, è decisiva e assorbente l’osservazione che trattasi di
deduzioni… nuove rispetto ai precedenti gradi…”).
3.2.1 II secondo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., per violazione e
falsa applicazione degli articoli 1223, 1224, 1226, 2056, 2697 c.c., 112, 113, 115, 116, 345,
384, secondo comma, 394 c.p.c. nonché violazione del principio di diritto della sentenza di
cassazione con rinvio relativo alla liquidazione equitativa dei danni.

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ricorso, in quanto, perché questo sia ammissibile, è sufficiente che

A proposito della liquidazione del danno emergente, si afferma che il giudice del rinvio avrebbe
determinato equitativamente l’entità del danno avvalendosi delle dichiarazioni sostitutive dei
CUD e dei cedolini Inps allegati all’atto di riassunzione del giudizio del 7 aprile 2014. Nella
relativa comparsa di risposta del 22 settembre 2014 l’attuale ricorrente avrebbe contestato tali
produzioni ma il giudice del rinvio non si sarebbe poi pronunciato sulla loro ammissibilità, pur
utilizzandoli. Ai sensi dell’articolo 394, secondo comma, c.p.c., il giudizio conseguente alla
cassazione con rinvio deve ritenersi “chiuso”, per cui è impossibile la produzione di nuovi
documenti, salvo l’ipotesi in cui il giudice di legittimità abbia ritenuto necessaria una ulteriore

istruttoria. La liquidazione equitativa, d’altronde, non significa consentire negligenza del
danneggiato nell’adempiere il suo onere probatorio, rimanendo applicabile l’articolo 2697 c.c. Il
danno emergente anteriore al 2014 avrebbe dovuto essere documentalnnente provato, e non
comunque mediante le inammissibili produzioni allegate all’atto di riassunzione.
Inoltre la liquidazione dovrebbe avvenire ai valori attuali dell’epoca del deposito della
sentenza: quindi il giudice del rinvio avrebbe dovuto quantificare gli esborsi anno per anno, e
per ogni periodo determinare la decorrenza temporale di rivalutazione e interessi fino al
deposito della sentenza, creando altrimenti un indebito arricchimento del danneggiato.
3.2.2 II motivo deve essere evidentemente scomposto in due distinte censure.
3.2.2.1 A proposito della prima, riguardante l’utilizzazione della documentazione prodotta con
l’atto di riassunzione dal Sole dopo la sentenza di questa Suprema Corte, in primo luogo va
rilevato che il processo in esame si è protratto in tempi lunghissimi, ampiamente oltrepassando
la norma (il sinistro avvenne il 24 gennaio 1993, la sentenza definitiva del secondo grado
sedici anni dopo e la sentenza di cassazione con rinvio vent’anni dopo), per cui non era certo
possibile, materialmente, produrre documenti su tutti i danni progressivamente patiti prima del
2014, onde la produzione con l’atto di riassunzione, secondo una lettura conservativa e di
buona fede – principi applicabili anche agli atti processuali in quanto generali parametri di
identificazione della volontà manifestata da chi pone in essere un atto -, non poteva non
essere intesa come richiesta di rimessione in termini. Richiesta che, menzionando la
documentazione, implicitamente la corte territoriale ha accolto, non potendosi escludere che
ne avesse il potere, il diritto alla rinnessione nei termini per tardività oggettivamente non
imputabile discendendo direttamente dai principi costituzionali di tutela mediante il processo;
né d’altronde essendo configurabile al riguardo un confine al suddetto potere perché esercitato
dal giudice del rinvio considerata l’origine della tardività, rappresentata nel caso in esame da
una palese violazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo,
violazione che, altrimenti, per di più si sarebbe riverberata in modo svantaggioso
esclusivamente su chi agiva in quanto danneggiato.
Peraltro, in ciò non risiede il punto dirimente. La sentenza n. 9230/2013 di questa Suprema
Corte (come si evince dalla pagina 13 della sua motivazione) vincolò il giudice del rinvio ad una
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C

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liquidazione equitativa del danno. In tale ottica, il giudice del rinvio non ha ritenuto la
documentazione oggetto della censura come vere e proprie prove documentali, bensì le ha
soltanto richiamate “a titolo orientativo” (motivazione della sentenza qui impugnata, pagina
13), d’altronde esternando inequivocamente di essersi fondato sugli esiti della c.t.u., come
l’aveva indirizzato, a ben guardare, sempre la sentenza di questa Suprema Corte che, a pagina
13 della sua motivazione, aveva fatto riferimento, non a caso, proprio alle “puntuali e
documentate affermazioni del c.t.u.”, come espressamente rimarca il giudice del rinvio.

scomporre il quantum, ai fini della applicazione degli accessori, di anno in anno. è evidente la
sua infondatezza, dal momento che si tratta di quantificazione ottenuta equitativamente, onde
il giudice non è tenuto a procedere secondo siffatte rigide modalità.
3.3.1 II terzo motivo denuncia violazione di norme e principi di diritto dettati dalla sentenza di
cassazione con rinvio in ordine alla responsabilità dell’assicuratore oltre i limiti del massimale
per mala gestio impropria, riferendosi all’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c. in rapporto agli
articoli 1224, secondo comma, 2043, 2054 c.c., 394 e 345 c.p.c.; denuncia altresì, ai sensi
dell’articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., omesso esame di fatto decisivo.
A proposito della condanna della compagnia assicuratrice nei limiti del massimale, la ricorrente
adduce di non avere proposto domanda risarcitoria per mala gestio propria, bensì di avere
soltanto sostenuto la fondatezza della domanda risarcitoria proposta nei confronti della
compagnia dal Sole mediante l’istituto della mala gestio impropria. Vengono richiamati stralci
di atti, si rammenta che il giudizio di rinvio è un giudizio “chiuso” e si afferma che la domanda
avanzata dal Sole gli avrebbe comportato il risarcimento di interessi e rivalutazione oltre il
massimale assicurativo.
3.3.2 II motivo non si rapporta correttamente con l’effettivo contenuto della sentenza
impugnata, che non si è spesa per qualificare né propria né impropria la questione di mala
gestio neppure della domanda del Sole – essendo insufficienti a dimostrare che il giudice del

3.2.2.2 La seconda doglianza censura il giudice del rinvio per avere liquidato i danni senza

rinvio abbia trattato tale questione di diritto i due passi, nel motivo (a pagina 22s. del ricorso)
estrapolati dalla pagina 14 e dalla pagina 17 della sentenza stessa, per la mera enunciazione in
essi presente di condanna entro il massimale di polizza – bensì ha semplicemente affermato
l’esistenza di una domanda nuova dell’attuale ricorrente, deducendone una conseguente
inammissibilità (motivazione della sentenza impugnata, pagina 16, sub 5.2.2). Su questo
aspetto, poi, il motivo non è neppure adeguatamente specifico, poiché si limita ad affermare
che l’attuale ricorrente “non ha proposto in questa causa una domanda risarcitoria per

mala

gesti° c.d.propria, ma si è limitata a sostenere la sussistenza e la fondatezza della domanda
risarcitoria” del Sole verso la compagnia assicuratrice “per mala gestio c.d. impropria” (ricorso,
pagina 23). Questo asserto, tuttavia, non è fornito adeguato supporto, poichè la ricorrente si
limita (ricorso, pagina 25) a trascrivere due passi estrapolati dalla comparsa di risposta nel (/’
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giudizio di rinvio, palesemente insufficienti a confutare quanto affermato dalla corte territoriale
in ordine alla esistenza di una vera e propria domanda nuova da parte della ricorrente stessa.
Si deve pertanto concludere l’inammissibilità del motivo.
3.4 II quarto motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa
applicazione degli articoli 1223, 1224, secondo comma, 2043, 2054 c.c., 112, 113, 115, 116 e
384, secondo comma, c.p.c.

lavorativa, lamenta la ricorrente che il giudice del rinvio avrebbe sottratto C 461.029,21,
somma incamerata da Fabio Sole in forza della precedente sentenza d’appello, senza operarvi
la rivalutazione al 25 gennaio 2016, data della sentenza impugnata.
A tacer d’altro, è sufficiente constatare che il motivo si fonda sull’asserito incasso da parte del
Sole di una determinata somma, ma non apporta neppure la data specifica di quando questo
sarebbe avvenuto – limitandosi ad un generico “gennaio 2009” -, il che lo rende inammissibile
per carenza di autosufficienza, anche a prescindere dai tratti meramente fattuali in cui poi si
dispiega con una tabella (la cui fonte non è indicata) di calcolo aritmetico.
Pertanto, il ricorso principale deve essere rigettato.
4. Il ricorso incidentale di Fabio Sole si fonda su un unico motivo, denunciante violazione e
falsa applicazione degli articoli 1218, 1223, 1224, 2043 e 2056 c.c., nonché violazione dei
principi relativi al debito di valore e al integrale risarcimento del danno, in relazione all’articolo
360, primo comma, n.3 c.p.c.
Osserva il ricorrente che la liquidazione del danno extracontrattuale deve essere effettuata in
riferimento alla data della decisione, onde, per il risarcimento del danno da lucro cessante che
sia già stato subito, occorre tenere conto degli anni intercorsi tra l’evento dannoso e la
decisione stessa. La corte territoriale invece ha arrestato i suoi calcoli alla data della notifica
dell’atto di riassunzione a seguito della cassazione con rinvio, avvenuta l’8-11 aprile 2014,
anziché alla data della sua decisione, cioè al 25 gennaio 2016. Il ricorrente al riguardo chiede
la decisione in merito ex articolo 384, secondo comma, c.p.c.
Il motivo è fondato, dal momento che il giudice del rinvio, pur formalmente non contestandolo,
ha applicato il principio di diritto che il motivo invoca – e che ictu ocu/i non è discutibile – in
modo solo parziale, determinando come dies ad quem non quello, realmente conclusivo, della
decisione, bensì – non essendo altrimenti spiegabile l’espresso riferimento agli “anni, nel
frattempo divenuti 21 dal sinistro”, presente nella motivazione della sentenza impugnata (a
pagina 9) – la data della riassunzione, intesa come atto recettizio, del giudizio di rinvio. Invero,
tra il sinistro, avvenuto il 24 gennaio 1993, e il perfezionamento nell’aprile 2014 della notifica
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Incentrandosi sulla liquidazione del danno da lucro cessante per riduzione della capacità

dell’atto di riassunzione suddetto erano intercorsi 21 anni. Confermando, pertanto, il principio
di diritto fatto valere dalla doglianza, nella sua integralità – come si è appena rilevato non
rispettata dal giudice del rinvio -, si deve dichiarare che ai fini della liquidazione del danno da
lucro cessante maturato dopo il sinistro occorre rapportarsi come dies ad quem alla data della
pronuncia che tale liquidazione effettua; e, decidendo nel merito, emergendo i dati in
conformità con l’articolo 384, secondo comma, c.p.c., deve dichiararsi che nel caso in esame,
come richiesto, in riferimento alla data della decisione in questa sede impugnata – del 25
gennaio-25 febbraio 2016 – devono essere tenuti in conto 23 anni come lasso di tempo

In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato e il ricorso incidentale accolto, con
conseguente cassazione in relazione dell’impugnata sentenza e, decidendo nel merito,
condanna solidale – per la compagnia assicuratrice nei limiti del massimale di polizza -di
Credemleasing S.p.A., Alexander Koban, Imagic S.r.l. e AVIVA Italia S.p.A. a risarcire a Fabio
Sole il danno da lucro cessante tenendo in conto per la liquidazione i 23 anni trascorsi tra il
sinistro e la pronuncia impugnata; all’esito suddetto consegue altresì la condanna di
Credemleasing S.p.A. a rifondere le spese di lite a Fabio Sole – in relazione anche al ricorso
incidentale – e alla controricorrente compagnia assicuratrice, compensando invece le spese di
lite per il ricorso incidentale tra il Sole, l’altra controricorrente e gli intimati, sussistendone,
vista la peculiare configurazione della vicenda processuale, i giusti motivi. Sussistono invece ex
articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012 i presupposti per il versamento da parte del
ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa in relazione e, decidendo nel
merito, condanna solidalmente – la compagnia assicuratrice nei limiti del massimale di polizza Credemleasing S.p.A., Alexander Koban, Imagic S.r.l. e AVIVA Italia S.p.A. a risarcire a Fabio
Sole il danno da lucro cessante tenendo in conto per la liquidazione i 23 anni trascorsi tra il
sinistro e la pronuncia impugnata.
Condanna altresì Credernleasing S.p.A. a rifondere a Fabio Sole le spese processuali, liquidate
in un totale di C 6000, oltre a C 200 per esborsi e agli accessori di legge, e a rifondere ad
AVIVA Italia S.p.A. le spese processuali, liquidate in un totale di C 5000, oltre a C 200 per
esborsi e agli accessori di legge. Compensa le ulteriori spese processuali.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo
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intercorso dal sinistro.

di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis
dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma il 21 novembre 2017

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