Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30383 del 19/12/2017


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 30383 Anno 2017
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: POSITANO GABRIELE

ORDINANZA
sul ricorso 26486-2015 proposto da:
CAPIZZANO INNOCENZA, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA FALERIA 17 (TEL E FAX 0984/408643), presso
lo studio dell’avvocato MANFREDO PIAZZA, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLA
DE VINCENTI giusta procura a margine del ricorso;

ricorrente

contro

2017
2142

COMUNE RENDE , in persona del Sindaco p.t. Avv.
MARCELLO MANNA, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA RENZO DE CERI,195, presso lo studio dell’avvocato
ALBERTO

PUGLIESE,

rappresentato

e

difeso

dall’avvocato SANTO SPADAFORA giusta procura in calce

Data pubblicazione: 19/12/2017

al controricorso;
– controricorrente nonchè contro
WINTERTHUR ASSICURAZIONI ;
– intimata la

sentenza n.

1372/2014

della CORTE

D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 29/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del

09/11/2017

dal Consigliere

Dott.

GABRIELE POSITANO;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero,
in persona del Sostituto Procuratore generale TOMMASO
BASILE che ha concluso chiedendo il rigetto del7
ricorso;

2

avverso

Rilevato che:

con atto di citazione in riassunzione del 7 maggio 2003, Innocenza
Capizzano esponeva che in data 29 novembre 2001 l’autovettura Fiat Punto di
proprietà del Comune di Rende, condotta da Fausto Mirabelli, a bordo della
quale la stessa viaggiava, quale dipendente regionale, aveva tamponato altra
autovettura e che a causa dell’incidente, l’attrice aveva riportato lesioni e

e dell’assicuratore del veicolo sul quale viaggiava, Winterthur Assicurazioni.
Costituitisi i convenuti, che contestavano sia la fondatezza della domanda che
la quantificazione del danno, il Tribunale di Cosenza, con sentenza del 17 luglio
2009 dichiarava il Comune proprietario del veicolo, in forza della presunzione
di cui all’articolo 2054 c.c, terzo comma, responsabile del danno subito dalla
trasportata in concorso con quest’ultima nella misura del 50%, per non avere
la stessa indossato la cintura di sicurezza, liquidando il relativo danno
biologico, morale e patrimoniale;
avverso tale sentenza proponeva appello Innocenza Capizzano lamentando
l’erroneo riparto dell’onere della prova riguardo alla esistenza delle cinture di
sicurezza posteriori e la mancata considerazione del comportamento omissivo
del trasportatore, che non avrebbe imposto l’utilizzo delle cinture di sicurezza
al trasportato. Con sentenza del 29 settembre 2014 la Corte d’Appello di
Catanzaro rigettava l’impugnazione condannando la appellante al pagamento
delle spese di lite;
avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Innocenza Capizzano
sulla base di due motivi. Resiste in giudizio il Comune di Rende con
controricorso. Il Procuratore Generale conclude per la declaratoria di rigetto.
Considerato che:

con il primo motivo la ricorrente deduce violazione delle norme in tema di
presunzioni (articoli 2727 e 2729 c.c.) e di valutazione delle prove (articoli 115
e 116 c.p.c.), con riferimento all’articolo 360, n. 3, c.p.c., nonché violazione
dei principi che regolano la responsabilità di chi effettua professionalmente il
trasporto di terzi, l’omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo, in
3

chiedeva il risarcimento dei danni nei confronti della amministrazione comunale

violazione degli articoli 1218, 1227, 1681, 2043, 2054, 2056 e 1227 c.c., con
riferimento all’articolo 360, nn. 3 e 5 c.p.c;
in particolare, la Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato i principi
in materia di presunzione, nel ritenere provata l’esistenza, a bordo del veicolo,
delle cinture di sicurezza posteriori, sulla base del fatto che la casa costruttrice
aveva dotato l’autovettura Fiat Punto, di tali cinture a partire dall’anno

il motivo è inammissibile per difetto di specificità poiché non coglie la ratio
decidendi. La Corte territoriale ha ritenuto infondato il corrispondente motivo di

appello in quanto “non ha formato oggetto di specifica contestazione in primo
grado, ove l’attrice, a fronte delle avverse deduzioni in ordine al mancato uso
delle cinture, ha posto unicamente la questione dell’assenza di prova circa tale
mancato utilizzo, nonché circa la sussistenza del relativo obbligo, ma non
quella dell’assenza di cinture a bordo”. È evidente, pertanto, che la circostanza
è stata ritenuta provata dalla Corte territoriale sulla base del principio di non
contestazione e il rilievo relativo all’errata applicazione dei principi in tema di
presunzione non coglie nel segno;
sotto altro profilo lamenta l’errato utilizzo delle presunzioni previste dal
codice civile con riferimento alla rilevanza del mancato uso delle cinture di
sicurezza in difetto di ulteriori elementi fattuali riguardanti la posizione della
danneggiata all’interno dell’autovettura e alle condizioni del veicolo. Sotto un
terzo profilo deduce la violazione del principio di ripartizione della colpa
omissiva, rilevando che il conducente aveva l’obbligo di garantire il trasporto e
l’adozione di ogni cautela;
i due profili vanno trattati congiuntamente poiché, sotto l’apparente
violazione di legge, la ricorrente deduce sostanzialmente un vizio di
motivazione, censurando la valutazione delle risultanze istruttorie effettuata
dal giudice di merito. In questi termini il motivo è inammissibile, sia perché
tende a una diversa ricostruzione in fatto, investendo la Corte di legittimità
della rivalutazione dell’intero materiale probatorio, sia perché si deduce
sostanzialmente un vizio di motivazione che la nuova formulazione dell’articolo
4

precedente a quello di costruzione del veicolo in questione;

360, n. 5, c.p.c. non consente; in ogni caso la Corte territoriale ha
correttamente e specificamente argomentato in ordine alla presenza delle
cinture di sicurezza e sull’efficienza causale di tale elemento, sulla base di
criteri di legittima ragionevolezza;
con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360, nn. 3 e 5 c.p.c, la
violazione all’articolo 345 c.p.c. e vizio di motivazione nella parte in cui la Corte

costituisse anche implicito rilievo del comportamento contrario ai doveri propri
del vettore che trasporti un terzo, riguardo all’onere di verifica del corretto uso
delle cinture da parte del trasportato;
il motivo è inammissibile poiché quanto alla doglianza ex art. 360 n. 3
c.p.c. poiché l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per
cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che era stata avanzata, tale
statuizione, ancorché in ipotesi erronea, non può essere censurata per
ultrapetizione, atteso che il suddetto difetto non è logicamente verificabile
prima di avere accertato l’erroneità della relativa motivazione, sicché detto
errore può concretizzare solo una carenza nell’interpretazione di un atto
processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il
profilo del vizio motivazionale (Cass. n. 21874 del 27/10/2015 – Rv. 637389 01). Sotto tale profilo, parte ricorrente prospetta sostanzialmente un vizio di
congruità della motivazione che non è consentito ai sensi del nuovo testo
dell’articolo 360, n. 5, c.p.c. applicabile al procedimento in esame. Per il resto
il vizio di omesso esame è insussistente avendo la Corte territoriale
adeguatamente chiarito per quale motivo l’espressione “condotta di guida” non
possa ricomprendere anche il diverso profilo della presunta responsabilità del
conducente dell’autovettura rispetto all’obbligo dell’utilizzo delle cinture di
sicurezza da parte dei trasportati. In particolare, la Corte ha precisato che la
questione ampia il tema di indagine rispetto a quello oggetto della domanda
originaria, tendendo a far valere un profilo di responsabilità omissiva diverso
da quello posto a fondamento della pretesa azionata con citazione, incentrata
solo sulla responsabilità per la condotta di guida. È evidente che tale profil
5

territoriale ha sostenuto che la doglianza relativa alla condotta di guida non

comporta un mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando
l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, in modo da
porre in essere una pretesa sostanzialmente diversa da quella fatta valere in
primo grado;
ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese
del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in

presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater,
introdotto dalla

L.

n. 228 del 2012, art. 1, comma 17: “Quando

l’impugnazione, anche incidentale, e’ respinta integralmente o e’ dichiarata
inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta e’ tenuta a versare un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis.
Il giudice da’ atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al
periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del
deposito dello stesso”.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in
favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in
Euro 4.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15
per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a
norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza ezione della Corte
Suprema di Cassazione in data 9 novembr 2017
Il Pre

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Funzionarìo Gi

dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei

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