Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30380 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 21/11/2019), n.30380

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso n. 21406/2012 R.G. proposto da:

Immobiliare Turistico Alberghiera Monte Altura Residence S.r.l. –

ITALMAR in liquidazione, rappresentata e difesa dall’avv. Beatrice

Fimiani e dall’avv. Carlo Romano entrambi del Foro di Roma, con

domicilio eletto in Roma, Via Agostino Depretis n. 86, presso lo

Studio Legale e Tributario CMS Adonnino Ascoli & Cavasola

Scamoni;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata ope legis in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sardegna -Sezione staccata di Sassari, n. 7/8/12 pronunciata il

27.1.2012 e depositata il 10.2.2012

Udita la relazione svolta in Camera di Consiglio del 24.9.2019 dal

consigliere Dott. DOtt. Saieva Giuseppe.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con ricorso in data 21.3.2008 la Società Immobiliare Turistico Alberghiera Monte Altura Residence s.r.l. – ITALMAR in liquidazione, impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Sassari l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate di Sassari, con riferimento all’anno d’imposta 2002 aveva contestato l’omessa contabilizzazione di ricavi pari ad Euro 1.920.000,00, nonchè l’omessa registrazione di operazioni imponibili ai fini IVA, rideterminando una maggiore imposta IRPEG in Euro 691.200,00 ed IRAP in Euro 54.662,00, nonchè maggiori imposte per Euro 384.000,16, oltre sanzioni ed interessi.

2. Con sentenza in data 16.12.2009, depositata il 13.1.2011, la C.T.P. di Sassari respingeva il ricorso, confermando in toto l’accertamento nei valori rideterminati dall’Ufficio.

3. Avverso l’anzidetta sentenza la Società proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale competente contestando la valutazione della C.T.P. in fatto e in diritto, riproponendo tutte le eccezioni sollevate in primo grado ed evidenziando che, a seguito dell’approvazione della Legge Comunitaria 2008, con L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24 erano state soppresse le disposizioni di cui agli del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, nella parte in cui prevedevano che il cosiddetto valore normale del bene immobile potesse considerarsi elemento presuntivo qualificato, talchè lo scostamento dei corrispettivi dichiarati per le cessioni di beni immobili, rispetto al valore normale, tornava a costituire elemento presuntivo semplice, potendo l’amministrazione sostenere l’infedeltà del corrispettivo, oltre che dal mero riferimento allo scostamento dello stesso rispetto al prezzo mediamente praticato per immobili della stessa specie o similari, anche da ulteriori elementi presuntivi idonei ad integrare la prova della pretesa. Detto principio era stato disatteso dalla C.T.P. che viceversa aveva unicamente fatto uso di una presunta differenza fra valore di mercato e prezzo dichiarato in atti.

4. L’Agenzia delle Entrate di Sassari, contestava tutte le eccezioni della Società, in quanto l’accertamento non era basato esclusivamente sull’automatica applicazione del valore di mercato dei terreni ceduti, desunti dai dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia del Territorio (OMI), essendo la rettifica fondata su molteplici elementi, quali il raffronto dei corrispettivi indicati nei due atti di compravendita degli immobili, dal raffronto tra il prezzo di cessione e i valori desumibili dai dati del predetto Osservatorio (OMI) e dall’analisi dei dati di bilancio al 31.12.2002; dati da cui appariva oltremodo evidente la non economicità dell’operazione, nonchè dalla relazione estimativa depositata dall’Agenzia del Territorio, Direzione Regionale di Cagliari, che confermava la sottovalutazione delle aree cedute dalla società nell’atto di compravendita del novembre 2002.

5. La Commissione Tributaria Regionale accoglieva parzialmente il ricorso della società della Società ITALMAR, fissando in Euro 1.574.000,00 i ricavi non dichiarati e non contabilizzati, e in Euro 37.229,00 il riconoscimento dei debiti pregressi, dando mandato all’Ufficio di ricalcolare l’esatto importo delle imposte dovute, gli interessi e le sanzioni, queste ultime secondo il minimo edittale.

6. Avverso tale decisione la società ITALMAR ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico motivo.

7. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

8. Il ricorso è stato fissato nella camera di consiglio del 24.9.2019, ai sensi degli art. 375 c.p.c., u.c, e 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con un unico motivo, articolato in più punti, la società deduce “omessa, insufficiente e irrazionale motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.”.

1.1. Lamenta in primo luogo la ricorrente che nella sentenza impugnata non vi sarebbe alcun riferimento alle numerose argomentazioni addotte nell’atto di appello, sia in punto di fatto che di diritto, essendosi la C.T.R. adita limitata a riscontrare i dati e gli elementi contenuti nel certificato di destinazione urbanistica e ad avallare, peraltro apoditticamente, le conclusioni rassegnate nella perizia dell’Agenzia del Territorio.

1.2. In particolare nella sentenza non vi sarebbe alcuna menzione della questione relativa alla non comparabilità delle aree oggetto della cessione (la prima del 29 marzo 2002 e la seconda del 27 novembre 2002) aventi diversa destinazione urbanistica. Inoltre i giudici di appello non avevano preso in considerazione le eccezioni relative alla valutazione OMI posta dall’Ufficio a base dell’asserito maggior valore, benchè le stesse si riferissero a zone aventi caratteristiche paesaggistiche diverse da quelle oggetto di controllo. Ugualmente ignorata risultava la questione relativa all’irrilevanza della valutazione elaborata ai fini ICI dal Comune di Palau, pure richiamata nell’avviso di accertamento a riprova del maggior valore accertato, in quanto riferita al 2007 e, quindi, ad un momento in cui le vicende urbanistiche della Sardegna erano totalmente mutate rispetto a quelle del 2002. Nessuna considerazione risulterebbe poi svolta in ordine all’erronea e strumentale interpretazione da parte dell’Ufficio dei dati di bilancio assunti quali elementi fondanti della pretesa impositiva; e neppure in ordine al mancato riscontro da parte dell’Ufficio di irregolarità o anomalie nelle movimentazioni bancarie; nè in ordine alla considerazione che l’operazione, se effettuata nei termini economi assunti dall’Ufficio, avrebbe dovuto lasciare traccia nei conti della società e/o dell’acquirente; argomentazioni tutte astrattamente idonee a suscitare ragionevoli dubbi circa la valenza del quadro probatorio, fondato su elementi indiziari, sui quali si basava l’accertamento. La società lamenta inoltre di avere evidenziato una serie di errori in cui l’Ufficio sarebbe incorso nella determinazione del valore di cessione delle aree oggetto della transazione immobiliare del 29 marzo 2002 (precedente a quello oggetto di verifica), denunciando peraltro l’ingiustificata applicazione a tale valore di un incremento del 30%. Sulle eccezioni attinenti alla determinazione, in termini tecnico-matematici, del maggior valore delle aree cedute con l’atto del 29 novembre 2002 sulla base del valore delle aree cedute con l’atto del 29 marzo 2002, i giudici di appello non avevano speso alcuna considerazione.

1.3. Quanto, invece, alle questioni in punto di diritto assume la ricorrente che i giudici del gravame avevano omesso di esaminare la questione relativa alla legittimità dell’avviso di accertamento in relazione alle previsioni normative contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, applicabili ratione temporis al caso di specie, pervenendo a conclusioni irrazionali.

1.4 I giudici di appello avevano inoltre totalmente ignorato le specifiche censure formulate dall’appellante circa il difetto di motivazione della sentenza di primo grado. Nulla veniva detto nella sentenza circa l’eccepita nullità dell’avviso di accertamento per mancata allegazione degli elementi probatori (risultanze OMI e valutazioni effettuate ai fini ICI dal Comune di Palau) posti a base della pretesa impositiva e che costituiscono parte essenziale della motivazione dell’avviso di accertamento e ciò nonostante nel giudizio di appello avesse sottolineato la rilevanza di tali elementi e svolto una ampia rassegna della giurisprudenza in materia, cercando altresì di dimostrare, mediante un’apposita consulenza tecnica l’incongruità del valore delle aree determinato nella perizia dell’Agenzia del Territorio. 2. Il ricorso non appare meritevole di accoglimento.

2.1. Ed invero, premesso che la società ricorrente sotto forma di denuncia di numerosi vizi motivazionali tende a conseguire una nuova valutazione del materiale probatorio, rispetto a quella operata nella fase di merito, non consentita nel giudizio di legittimità, deve escludersi che nella specie il giudice del gravame non abbia fornito un’adeguata motivazione in ordine alla ritenuta congruità del “valore normale” dei beni per cui è causa, evidenziando, peraltro, che l’appellante non aveva fornito elementi specifici idonei a contrastare la valutazione effettuata dall’Ufficio impositore.

2.2. Come affermato da questa Corte, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. 7.4.2017, n. 9105). Nel caso di specie non appare ravvisabile il vizio di motivazione dedotto in quanto la C.T.R. ha spiegato le ragioni del proprio convincimento in ordine alla legittimità dell’avviso che desumeva la plusvalenza delle cessioni immobiliari (concluse nel marzo e nel novembre 2002), ai fini della maggiore imposizione diretta e indiretta, dal disallineamento tra corrispettivo dichiarato e “valore normale” dei beni.

2.3. Le molteplici doglianze dedotte dalla società ricorrente appaiono peraltro inammissibilmente invocate, non avendo la ricorrente medesima specificamente chiarito in che modo gli elementi e la documentazione trascurata avrebbero potuto indurre il giudice di merito a modificare in suo favore le valutazioni contestate.

2.4. Invero, qualora nel ricorso per cassazione sia dedotto il difetto di motivazione vanno specificamente indicati quali siano i fatti storici che la sentenza della C.T.R., decidendo sull’impugnazione, abbia omesso di esaminare, evidenziando i dati necessari all’individuazione della collocazione, nei gradi del giudizio di merito, degli atti e dei documenti dai quali gli stessi fatti sarebbero emersi; e comunque va puntualmente illustrata la natura decisiva di ciascuno di essi, non essendo a tal fine sufficiente la loro generale e generica qualificazione apodittica come “dettagli di grande importanza”.

2.5. Al riguardo questa Corte, già prima della novella dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha avuto modo di chiarire che “E’ inammissibile, alla stregua della seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., il motivo di ricorso per cassazione con cui, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la parte si limiti a censurare l’apoditticità e carenza di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento alla valutazione d’inadeguatezza delle prove documentali da parte del giudice del merito, in quanto la norma processuale impone la precisazione delle ragioni che rendono la motivazione inidonea a giustificare la decisione mediante lo specifico riferimento ai fatti rilevanti, alla documentazione prodotta, alla sua provenienza e all’incidenza rispetto alla decisione.” (cfr. ex plurimis Cass. 26.2.2009, n. 4589).

2.6. Nel caso di specie la C.T.R., disattendendo implicitamente le molteplici eccezioni della ricorrente, ha espressamente evidenziato che l’accertamento dell’Ufficio “non appare basato esclusivamente sull’automatica applicazione del valore di mercato, desunto dai dati OMI, ma su molteplici elementi che, nel loro insieme, rivestono il requisito della gravità, della precisione e della concordanza”. Tra questi i “dati abnormemente stridenti” relativamente al prezzo di vendita delle aree edificabili al lordo degli oneri di urbanizzazione e in particolare della irrisorietà del prezzo di vendita del terreno venduto nel novembre 2002 rispetto a quello ceduto nel marzo dello stesso anno, nonchè la certificazione rilasciata dal Comune di Palau e prodotta in giudizio, attestante la destinazione urbanistica dei terreni oggetto della controversia.

2.7. La C.T.R. invero lungi dal trascurare le singole doglianze della ricorrente ne ha perfino evidenziato le contraddizioni contenute nell’atto di appello con specifico riferimento alla destinazione urbanistica e alla edificabilità del terreno venduto in data 27.11.2002.

2.8. Palesemente inammissibile appare poi la denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 5 dell’asserito omesso esame della “questione relativa alla legittimità dell’avviso del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, applicabili ratione temporis al caso di specie”, trattandosi semmai di doglianza deducibile come omessa pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 4, ovvero come violazione delle menzionate norme sull’accertamento e la rettifica ex art. 360 c.p.c., n. 3.

2.9. Considerato infine che la C.T.R. sulla base della relazione estimativa dell’Agenzia del Territorio, Direzione Regionale di Cagliari, in data 12.03.2009, in esecuzione di quanto disposto dalla C.T.P. adita, ha confermato la sottovalutazione delle aree cedute operata dalla Società nell’atto del 27.11.2002, quantificando in complessivi Euro 1.677.000,00 il valore della transazione dell’intero compendio e nella considerazione che la parte ricorrente non ha prodotto alcuna prova contraria idonea a documentare la pretesa differenza delle aree comparate, che non avrebbe consentito di dedurre il corrispettivo di vendita della seconda da quello della prima, le valutazioni della C.T.R. circa l’attendibilità delle presunzioni dell’Ufficio si appalesano del tutto ragionevoli e comunque nel merito insindacabili.

3. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Non sussistono ratione temporis i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate che liquida in 8.000,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, in Camera di Consiglio, il 24 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 21 novembre 2019

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