Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3038 del 06/02/2017

Cassazione civile, sez. VI, 06/02/2017, (ud. 06/12/2016, dep.06/02/2017),  n. 3038

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina L. – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22285-2015 proposto da:

MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.M.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1534/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE del

10/07/2014, depositata il 23/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

stata depositata la seguente relazione.

“1. C.M.A. convenne in giudizio il Ministero della salute, davanti al Tribunale di Firenze, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti al contagio col virus HCV conseguente ad alcune trasfusioni di sangue da lei ricevute nel 1986 presso l’ospedale (OMISSIS).

Si costituì in giudizio il Ministero convenuto, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale accolse la domanda e riconobbe all’attrice il risarcimento del danno nella misura di Euro 100.000.

2. Impugnata la pronuncia dal Ministero della salute, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 23 settembre 2014, in parziale accoglimento del gravame ha limitato la condanna in favore della C. alla differenza rispetto alla rendita a lei riconosciuta ai sensi della L. 25 febbraio 1992, n. 210, confermando quanto al resto la sentenza di primo grado e ponendo a carico del Ministero i due terzi delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

3. Contro la sentenza d’appello ricorre il Ministero della salute con atto affidato ad un solo motivo.

C.M.A. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

4. Osserva il relatore che il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., in quanto appare destinato ad essere rigettato.

5. Con il primo ed unico motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 2043 e 2059 cod. civ., rilevando da un lato che la responsabilità del Ministero non sussisterebbe in relazione a trasfusioni avvenute nel 1986, in quanto il virus HCV fu individuato solo nel 1989; e, dall’altro, che la Corte di merito non avrebbe adeguatamente considerato come l’insorgenza della malattia fosse da ricondurre, secondo la regola del più probabile che non, ad altri eventi (nella specie, taglio cesareo subito dalla C. nel 1995).

5.1. Il motivo non è fondato.

La prima censura si scontra con una giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte la quale – sulla scia della sentenza 11 gennaio 2008, n. 576, delle Sezioni Unite – ha più volte affermato che in tema di patologie conseguenti ad infezione con i virus HBV (epatite B), HI1V (AIDS) e HCV (epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, non sussistono tre eventi lesivi, bensì un unico evento lesivo, cioè la lesione dell’integrità fisica; per cui, già a partire dalla data di conoscenza del rischio del contagio dell’epatite B (1978) è configurabile la responsabilità del Ministero della salute, sia pure con il limite dei danni prevedibili, anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo (sentenze 20 maggio 2015, n. 10291, e 16 ottobre 2015, n. 20933). Nè a diversa conclusione può giungersi alla luce della sentenza 22 gennaio 2015, n. 1136, citata in ricorso, posto che nella vicenda oggetto) di quella pronuncia le trasfusioni erano state compiute nel 1971 e non, come nel caso odierno, nel 1986.

La seconda parte della censura attiene, evidentemente, al merito. La Corte d’appello ha valutato anche la circostanza del parto cesareo avvenuto) nel 1995 e, sulla base di un accertamento di fatto insindacabile in questa sede, ha affermato che il contagio era da ricondurre, in termini di maggiore probabilità, alle trasfusioni di sangue.

6. Si ritiene, pertanto, che il ricorso vada trattato in camera di consiglio per essere rigettato”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Non sono state depositate memorie alla trascritta relazione.

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione medesima e di doverne fare proprie le conclusioni.

2. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

Pur sussistendo le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, tale obbligo va escluso, trattandosi di parte pubblica esente per legge.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2017

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