Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30379 del 19/12/2017


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 30379 Anno 2017
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

ORDINANZA
sul ricorso 24218-2015 proposto da:
GENERALI ITALIA SPA 00885351007 quale assegnataria
del ramo d’azienda di GENERALI BUSINESS SOLUTIONS
SCPA, in persona del procuratore speciale Dott.
DIGITO GIOVANNI, L’EQUITE’ ASSURANCE GROUPE GENERALI
SOCIETE’ ANONYME in persona del legale rappresentante
nella qualità di direttore giuridico MICHEL BECKER,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE
2017
2138

FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARCO
VINCENTI, che li rappresenta e difende giusta procura
speciale in calce al ricorso;
– ricorrente nonchè contro

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Data pubblicazione: 19/12/2017

DERUDAS ALBERTO MARIO, TILOCCA VIRGINIA;
– intimati –

Nonché da:
TILOCCA VIRGINIA, DERUDAS ALBERTO MARIO, domiciliati
in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

BILOTTA MAURO GIULIO DARIO giusta procura speciale a
margine del controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrenti incidentali contro

GENERALI ITALIA SPA 00885351007 quale assegnataria
del ramo d’azienda di GENERALI BUSINESS SOLUTIONS
SOPA, in persona del procuratore speciale Dott.
DIGITO GIOVANNI, L’EQUITE’ ASSURANCE GROUPE GENERALI
SOCIETE’ ANONYME in persona del legale rappresentante
nella qualità di segretario generale MICHEL BECKER,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE
FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARCO
VINCENTI, che li rappresenta e difende giusta procura
speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti all’incidentale –

avverso la sentenza n. 1548/2014 del TRIBUNALE di
SASSARI, depositata il 01/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 09/11/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA
GRAZIOSI;

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CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

24218/2015

Rilevato che:

Con atto di citazione notificato il 13 aprile 2011 i coniugi Alberto Mario Derudas e Virginia
Tilocca convenivano davanti al Tribunale di Sassari, per il risarcimento dei danni a loro derivati
da sinistro stradale avvenuto in Corsica il 15 agosto 2008 nel quale era deceduto il loro figlio
per responsabilità di Alexandre Sarti, assicurato con L’Equitè; quest’ultima e Generali Business
Solutions si costituivano resistendo. Il Tribunale, con sentenza del 1 dicembre 2014,
condannava le convenute al risarcimento dei danni “nei limiti di cui in motivazione”, detratto

appello incidentale, con ordinanza 10-14 luglio 2015 pronunciata ex articolo 348 ter c.p.c. la
Corte d’appello di Sassari li dichiarava inammissibili.
Le due compagnie assicurative hanno proposto ricorso, articolato in quattro motivi.
Il primo motivo, ex articolo 360, primo comma, n.3, c.p.c., denuncia violazione e/o falsa
applicazione degli articoli 2059 e 1226 c.c. per avere il Tribunale liquidato il danno non
patrimoniale con una duplicazione risarcitoria, assommando il danno parentale e il danno
biologico, benché si trattasse per entrambi i coniugi dello stesso danno, come sarebbe emerso
dalla c.t.u.; liquidando il danno parentale in misura massima con ulteriore aumento del 50%, il
Tribunale, in sostanza, avrebbe liquidato due volte lo stesso danno.
Il secondo motivo, ex articolo 360, primo comma, n.3, c.p.c. lamenta violazione e/o falsa
applicazione degli articoli 2059 e 1226 c.c. per liquidazione di danno non patrimoniale nel
massimo delle tabelle milanesi per il danno parentale, con l’aumento di un ulteriore 50%.
Il terzo motivo, ex articolo 360, primo comma, n.3, c.p.c., denuncia violazione e/o falsa
applicazione dell’articolo 2697 c.c. per indebita personalizzazione del danno parentale sulla
base di una non provata modificazione delle abitudini di vita e dei rapporti interpersonali dei
danneggiati. Lamentano le ricorrenti che il c.t.u. avrebbe argomentato soltanto sulle
dichiarazioni delle parti, “non attenendosi alle emergenze processuali”; e invece il danno non
patrimoniale nella sua componente di danno alla vita di relazione dovrebbe essere provato. Nel
caso in esame, il giudizio peritale si sarebbe retto, al contrario, su presupposti di fatto non
allegati specificamente e comunque non dimostrati, ciò comportando violazione della
ripartizione dell’onere probatorio.
Il quarto motivo, ex articolo 360, primo comma, n.5, c.p.c., lamenta omesso esame di fatto
discusso e decisivo per avere il Tribunale operato una indebita personalizzazione del danno
parentale sempre per la non provata modificazione delle abitudini di vita e dei rapporti
interpersonali. Il fatto della mancata allegazione e della mancata prova da parte degli attori
dello sconvolgimento appunto delle loro abitudini di vita e delle loro relazioni nonché
dell’inammissibile recepimento delle suddette circostanze nelle valutazioni peritali era stato,
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l’acconto versato. Avendo le compagnie assicurative proposto appello principale, e i coniugi

osservano le ricorrenti, posto in discussione nell’atto d’appello (si richiama la pagina 12 di
quest’ultimo); si invoca altresì quanto già addotto nel terzo motivo.
Dal ricorso si sono difesi i coniugi Derudas-Tilocca con controricorso, presentando altresì
ricorso incidentale contenente un unico motivo.
Quest’ultimo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa
applicazione degli articoli 1226, 2056 e 2059 c.c.: avrebbe errato il Tribunale utilizzando come

indicando poi per il danno biologico il 50% del massimo previsto per il danno parentale.
Rilevano i ricorrenti che il giudice di merito può avvalersi di criteri diversi da quelli delle tabelle
milanesi, ma ciò non toglie che nel caso in esame il parametro scelto dal Tribunale – il danno
biologico come 50% del danno parentale – porterebbe ad un importo inferiore a quello che si
raggiungerebbe se fossero state applicate le tabelle del Tribunale di Milano.
Dalla c.t.u. espletata sarebbero emerse per entrambi gli attuali ricorrenti gravi lesioni alla
salute di genere psichico, per cui il consulente avrebbe quantificato un danno biologico
permanente, inclusivo a suo avviso dei danni morali, per patologia psichiatrica del 45% per la
Tilocca e del 50% per il Derudas, escludendo peraltro da tali valutazioni “la stima delle
ripercussioni esistenziali”. Il danno biologico – diverso da quello parentale in quanto attinente a
diverso bene giuridico – nel caso in esame sarebbe stato risarcibile ai sensi dell’articolo 2059
c.c.: ritenutolo pertanto sussistente, il Tribunale avrebbe dovuto liquidarlo applicando gli
articoli 2056 e 1226 c.c. equitativamente secondo le tabelle milanesi, come aveva fatto anche
per il danno parentale. Tali tabelle costituirebbero un criterio preferenziale, secondo la
giurisprudenza di legittimità, sostituibile con un altro parametro se viene offerta una specifica
motivazione al riguardo che evidenzi la presenza di ragioni concrete in tal senso, e ciò qui
sarebbe carente. Il Tribunale avrebbe pure effettuato un’errata percezione degli esiti della
consulenza tecnica.

Considerato che:
1. Il ricorso incidentale, in considerazione del contenuto del suo unico motivo, è chiaramente
opportuno sia esaminato per primo.
Premessa l’infondatezza della eccezione di tardività del controricorso e del ricorso incidentale
per quanto condivisibilmente evidenziato nella memoria Derudas-Tilocca, cui al riguardo si
rimanda, deve constatarsi che il Tribunale ha effettuato la liquidazione del danno non
patrimoniale subito dagli attuali ricorrenti in conseguenza del fatto – in forza dell’articolo 2059
c.c., in quanto qualificato reato di omicidio colposo – argomentando nel senso che tale danno
deve essere risarcito integralmente ma senza duplicazioni né automatismi, e che anche il

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danno esistenziale non deve essere oggetto di duplicazione “liquidando sia il danno morale
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criterio della liquidazione del danno biologico le tabelle milanesi in ordine al danno parentale,

(inteso come sofferenza soggettiva) sia il danno da perdita del rapporto parentale”, e altresì
che se il congiunto ha patito “un danno psichico (come accertato dalla c.t.u….) tale
degenerazione patologica deve essere qualificata come danno biologico…ma devono essere
evitate indebite duplicazioni”. Dopo queste (alquanto ripetitive) premesse, il giudice di prime
cure osserva che la c.t.u. “esplica le voci del danno riconosciute, indicando nei postumi
permanenti dei periziati anche il danno morale conseguente al disturbo depressivo maggiore
come riscontrato”; dopo di che afferma peraltro che lo stesso c.t.u. non avrebbe “fornito
elementi precisi per consentire una precisa comprensione delle voci di danno da lui indicato” e

biologico pari al 45% e 50% come stimato, in assenza di precisi e ulteriori riscontri di prova,
ma consente, equitativamente, la applicazione dell’aumento di 1/2 della misura del danno
parentale come liquidato”, così “evitando la duplicazione delle voci di danni”. E “in tal modo” si
applicherebbero le tabelle del Tribunale di Milano (motivazione, pagine 5-6).
Il ragionamento del giudice confonde palesemente il profilo probatorio – a suo avviso, non
sufficientemente adempiuto dagli attori nonostante gli esiti della c.t.u. – con la distinzione delle
voci di danno che deve essere mantenuta per evitare di risarcire più volte lo stesso danno.
Asserisce, infatti che il c.t.u. non avrebbe “fornito elementi precisi” per identificare le voci di
danno che aveva indicato: eppure, si ripete, aveva appena dato atto che il c.t.u. aveva
riscontrato negli attori un disturbo depressivo maggiore, e poco dopo dà altresì atto che il
c.t.u. aveva quantificato un danno biologico del 45 e del 50%. In luogo allora di stimare idonea
a dimostrare la sussistenza del danno biologico da depressione maggiore la consulenza tecnica
che aveva disposto, il Tribunale, con un’argomentazione rapida quanto non agevolmente
comprensibile, qualifica il danno biologico una “sofferenza ulteriore” che dovrebbe essere
“equitativamente” risarcita mediante l’aumento del 50% della misura del danno parentale.
In ultima analisi, risulta evidente che la liquidazione del danno biologico non è stata effettuata
secondo i criteri tabellari milanesi, e – comunque e soprattutto – è stata espletata mediante
una “intrusione” nel parametro adottato dal giudice di un bene diverso, cioè quello sotteso al
danno parentale (su cui ultimo v. Cass. sez. 3, 20 ottobre 2016 n. 21230, Cass. sez. 3, 19
ottobre 2016 n. 21060 e Cass. sez. 3, 14 giugno 2016 n. 12146) convertito dal Tribunale, a
ben guardare, in una sorta di “chiave” equitativa per la determinazione del

quantum di un

danno del tutto diverso. La fondatezza del motivo è dunque manifesta.
Peraltro, a questo punto, deve constatarsi che il primo motivo del ricorso principale denuncia,
in sostanza, lo stesso error in iudicando del Tribunale, laddove lamenta che sia stato liquidato
due volte lo stesso danno, ovvero il danno parentale, aumentato al 50% sul massimo tabellare
in forza del “cumulo” operato dal giudice di merito con quello che, a ben guardare, solo
formalmente ha considerato danno biologico, in realtà sussunnendolo appunto nel danno
parentale. Per quanto appena osservato, anche questo motivo deve essere quindi accolto, e ciò
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quindi dichiara che “tale sofferenza ulteriore non può liquidarsi nella percentuale del danno

evidentemente assorbe – in considerazione del loro contenuto, sopra sintetizzato – gli ulteriori
motivi del ricorso principale.
La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata in relazione all’accoglimento del ricorso
incidentale e del primo motivo del ricorso principale, con conseguente rinvio alla corte
territoriale in sezione diversa da quella che ha pronunciato l’ordinanza di inammissibilità
dell’appello, l’accoglimento di entrambi i ricorsi nei limiti appena delineati comportando, infine,

P.Q.M.

Accoglie il ricorso incidentale, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri,
cassa in relazione con rinvio alla Corte d’appello di Sassari, compensando le spese del grado.

la compensazione delle spese del grado.

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