Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30376 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2019, (ud. 17/09/2019, dep. 21/11/2019), n.30376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. Di Paola Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4697/2016 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui domicilia ex lege in Roma alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

G.M., rappresentato e difeso dall’avv. Lidia Corallo

del foro di Ragusa, pec. lidia.corallo.avvragusa.legalmail.it;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3177/17/15 della Commissione Tributaria

Regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, emessa in data

2/7/2015, depositata in data 15/7/2015 e non notificata;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 settembre

2019 dal Consigliere Dott.ssa Giudicepietro Andreina;

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. l’Agenzia delle Entrate ricorre con due motivi contro G.M. per la cassazione della sentenza n. 3177/17/15 della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, emessa in data 2/7/2015, depositata in data 15/7/2015 e non notificata, che ha accolto l’appello del contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa del diniego di annullamento, in autotutela, dell’avviso di accertamento del 23/11/2007 e della successiva cartella di pagamento, con cui l’Amministrazione determinava, ai fini dell’imposta di registro, la plusvalenza da cessione di un terreno edificabile;

2. a seguito del ricorso dell’Agenzia delle entrate, il contribuente resiste con controricorso;

3. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 17 settembre 2019, ai sensi dell’art. 375, u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

4. in data 14 giugno 2019 il controricorrente ha depositato istanza, con cui chiede dichiararsi la sospensione del processo fino al 31 dicembre 2020 ed il rinvio a nuovo ruolo, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 10, conv. dalla L. n. 136 del 2018;

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. la fattispecie in esame ha ad oggetto l’impugnativa nei confronti dell’Agenzia delle Entrate del diniego di annullamento dell’avviso di accertamento con cui l’Amministrazione determinava, ai fini dell’imposta di registro, la plusvalenza da cessione di un terreno edificabile;

l’istante ha allegato all’istanza copia del modello di definizione della lite pendente e della ricevuta di presentazione, da cui risulta che la domanda è stata trasmessa il 17 maggio 2019 entro i termini di legge;

risulta, anche, allegata copia della quietanza di pagamento dell’importo dovuto a titolo di definizione della lite per la prima rata;

deve, però, rilevarsi che, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, conv. dalla L. n. 136 del 2018, la controversia oggetto del ricorso non rientra tra quelle “aventi ad oggetto atti impositivi”, per le quali sole è possibile la definizione;

la presente impugnazione, infatti, concerne l’impugnativa del diniego di annullamento dell’atto impositivo, mentre la richiesta di definizione riguarda l’avviso di accertamento, che non è oggetto della presente controversia ed è ormai definitivo per mancata impugnazione, cui ha fatto seguito la cartella di pagamento per Euro 20.986,95, anch’essa non impugnata;

passando al merito, con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

in particolare, la ricorrente deduce che la decisione impugnata non fa corretta applicazione della norma citata, in quanto l’atto di diniego dell’annullamento, in via di autotutela, di un atto impositivo, non rientra tra gli atti impugnabili;

1.2. il secondo motivo di ricorso è fondato, con conseguente assorbimento del primo;

1.3. invero, dalla sentenza si rileva che l’istanza di annullamento è stata presentata a seguito della notifica della cartella di pagamento, per Euro 20.986,00, non impugnata, regolarmente preceduta dalla notifica dell’avviso di accertamento, divenuto a sua volta definitivo per mancata impugnazione;

come è stato detto, “in tema di contenzioso tributario, l’atto con il quale l’Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l’attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perchè, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo” (Sez. Un., Sentenza n. 3698 del 16/02/2009, Rv. 606565; vedi anche Cass., Sez. un., nn. 2870 e 3698 del 2009; Cass., Sez. un., n. 16097 del 2009);

“avverso l’atto con il quale l’Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo non è sicuramente esperibile una autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalità propria, in questo caso, dell’attività di autotutela, sia perchè, diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo” (Cass.SU n. 2870 del 6/2/2009 cit.);

inoltre, anche la Corte Costituzionale, con sentenza n. 181 del 2017, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 564 del 1994, art. 2-quater, comma 1, conv., con modif., nella L. n. 656 del 1994, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, in relazione alla inoppugnabilità in sede giurisdizionale del diniego tacito della Amministrazione finanziaria sulla istanza di annullamento in autotutela dell’atto impositivo, in quanto il principio di buon andamento amministrativo impone al legislatore di tenere conto, nella disciplina dell’annullamento d’ufficio, anche dell’interesse pubblico alla stabilità dei rapporti giuridici già definiti dall’amministrazione;

alla luce di tali principi, deve ritenersi inammissibile il ricorso introduttivo del contribuente, relativo all’impugnazione del diniego di annullamento dell’avviso di accertamento in autotutela;

in realtà, l’impugnativa finirebbe per far valere eventuali vizi dell’atto impositivo, il cui esame deve ritenersi definitivamente precluso per il contribuente;

a tale conclusione si perveniene, a maggior ragione, in assenza di profili di rilevante interesse generale, che giustifichino l’esercizio del potere di annullamento in autotutela, profili neanche dedotti dal contribuente nel caso di specie (non potendosi considerare tali il fatto che l’attuale controricorrente non abbia tempestivamente avanzato ricorso avverso l’atto impositivo, a differenza di altri venditori del suolo, nei confronti dei quali vi è stato un accertamento del tributo pro quota);

ritenuto che ricorre l’ipotesi prevista dall’art. 382 c.p.c., comma 3, in quanto l’atto oggetto di ricorso introduttivo da parte del contribuente non rientra tra gli atti impugnabili a norma del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, la sentenza deve essere cassata senza rinvio;

sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dei gradi di merito;

attesa la soccombenza, il controricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della ricorrente, secondo la liquidazione effettuata in dispositivo;

P.Q.M.

la Corte cassa la sentenza impugnata senza rinvio, dichiarando inammissibile il ricorso introduttivo proposto dal contribuente in quanto la causa non poteva essere proposta;

compensa le spese del doppio grado del giudizio di merito;

condanna il controricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 21 novembre 2019

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