Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30375 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 23/11/2018, (ud. 03/07/2018, dep. 23/11/2018), n.30375

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA E. L. – Presidente –

Dott. NONNO G.M. – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. G. – rel. Consigliere –

Dott. GORI P. – Consigliere –

Dott. SAIJA S. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 26473 del ruolo generale dell’anno

2011, proposto da:

AB MOTO DUE s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore

Cappella Piergiacomo, rappresentata e difesa, giusta procura

speciale a margine al ricorso, dall’avv.to Fausto Ciapparoni,

elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, alla Via

della Mercede n. 11;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, n. 253/04/2010, depositata in data 16 settembre

2010, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3

luglio 2018 dal Relatore Cons. Dott.ssa Putaturo Donati Viscido di

Nocera Maria Giulia.

Fatto

RILEVATO

che

-con sentenza n. 253/04/2010, depositata in data 16 settembre 2010, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio, rigettava l’appello proposto da AB MOTO DUE s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti della Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 167/51/2009 della Commissione tributaria provinciale di Roma, dichiarando, in conferma di quest’ultima, la legittimità dell’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio aveva contestato nei confronti della detta società, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d)-bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, ai fini Irpeg, Irap e Iva, per l’anno di imposta 2003, un maggiore reddito di impresa ricostruito induttivamente applicando una percentuale di ricarico (del 23%) sul costo del venduto, individuata in base ai valori percentuali medi di settore, maggiore rispetto a quella dichiarata (13%) dalla contribuente, non avendo quest’ultima risposto al questionario inviatole dall’Amministrazione a fronte di constatate incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dall’attività svolta dalla predetta società;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) la notifica del questionario era stata regolarmente effettuata; 2) la contabilità formale della società contribuente era inattendibile, quanto a fronte di una perdita di esercizio o di un utile pari all’1% del fatturato, il volume di affari dell’azienda era cresciuto da Euro 740.078 annui nel 2002 a Euro 9.315.968 nel 2005, con un aumento dei dipendenti da n. 6 a n. 25 nell’arco di tre anni; 3)a seguito del silenzio della società all’invio del questionario e al rifiuto dell’accertamento con adesione, l’Ufficio aveva applicato un maggiore margine di ricarico sul costo del venduto; 4)sulle censure già esaminate dalla CTP si era formato il giudicato; 5) ogni altra motivazione sollevata dalle parti doveva ritenersi assorbita;

– avverso la sentenza della CTR, AB MOTO DUE s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate, con controricorso;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la carente, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere la CTR argomentato in ordine al motivo di appello concernente la omessa prova da parte dell’Ufficio delle fonti (dei “dati” e dello “studio”) dalle quali era stata ricavata e applicata, nella ricostruzione induttiva del maggior reddito a carico della società contribuente, una percentuale di ricarico – nella misura del 23% – maggiore rispetto a quella da quest’ultima dichiarata (13 %) sul costo del venduto, in assenza di un preciso collegamento tra il contenuto dell’accertamento e la sua riferibilità alla realtà economica della società e alle sue peculiarità operative di tipo commerciale, con conseguente inattendibilità della verifica fiscale effettuata;

– il motivo è infondato;

– nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente, perchè basata su contabilità complessivamente inattendibile, in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, in tali ipotesi, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale è tenuto a dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità delle stesse (Cass. n. 11599 del 2007; n. 14941 del 2013);

– in particolare, questa Corte ha precisato che “In tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa ai fini IRPEG ed ILOR, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo”;

– l’Ufficio può procedere all’accertamento induttivo puro – disciplinato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2 lett. d-bis) – allorquando il contribuente non abbia dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’art. 32, comma 1, nn. 3) e 4), del presente decreto o del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, nn. 3) e 4);

– peraltro, è giurisprudenza pacifica della Suprema Corte che: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, il comportamento del contribuente che ometta di rispondere ai questionari previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 4, e non ottemperi alla richiesta di esibizione di documenti e libri contabili relativi all’impresa esercitata, impedendo in tal modo, o comunque ostacolando, la verifica dei redditi prodotti da parte dell’Ufficio, vale di per sè solo ad ingenerare un sospetto sull’attendibilità di dette scritture, rendendo grave la presunzione di attività non dichiarate desumibile dal raffronto tra le percentuali di ricarico applicate e quelle medie del settore, e, conseguentemente, legittimo l’accertamento induttivo emesso su quella base dall’Ufficio D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d)” (Cass. n. 19014 del 2005, n. 12262 del 2007; sez. 5, n. 17968 del 2013; sez. 6 – 5, n. 26150 del 2013; n. 16150 del 2016);

– quanto al dedotto vizio motivazionale, si osserva che il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. 30822 del 2017; Cass. n. 19547 del 2017; n. 15489 del 2007);

– nella specie, la CTR, in applicazione dei suddetti principi, nel rigettare l’appello della contribuente facendo proprie le prospettazioni dell’ufficio come analiticamente descritte nella parte in fatto della decisione, con una motivazione congrua e scevra di vizi-logici giuridici

– a fronte della mancata risposta da parte della contribuente al questionario, la regolarità della cui notifica veniva accertata in via preliminare, e della inattendibilità della contabilità della società dalla quale risultava un utile quasi zero, nonostante la crescita di volume d’affari (da Euro 740.078 nel 2002 a Euro 9.315.968 nel 2005), con aumento dei dipendenti da n. 6 a n. 25 nell’arco di tre anni – ha correttamente ritenuto legittima la ricostruzione induttiva – per la quale, in applicazione dell’art. 39, lett. d-bis), comma 2, cit., sarebbero, in ogni caso, risultate sufficienti le presunzioni c.d. supersemplici – dei maggiori ricavi per il 2003 della società contribuente, con applicazione di una percentuale di ricarico (del 23%) desunta da quelle medie di settore (tra il 22% e il 23%); ciò senza che il contribuente avesse offerto, al riguardo, idonea prova contraria;

– quanto alle doglianze concernenti il contestato grado di attendibilità della percentuale di maggior ricarico applicata dall’Ufficio, trattasi di un inammissibile tentativo di revisione del ragionamento decisorio del giudice, non potendo mai la Corte di cassazione procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91 del 2014; Cass., sez. un., n. 24148 del 2013; Cass. n. 5024 del 2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 11511 del 2014; Cass. n. 25608 del 2013; Cass. n. 6288 del 2011; Cass. n. 6694 del 2009; Cass. n. 15489 del 2007; Cass. n. 4766 del 2006). Pertanto, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sè degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 1414 del 2015; Cass. n. 13960 del 2014);

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo, per avere la CTR omesso o errato di valutare le prove contrarie offerte dalla società contribuente circa la congruità della percentuale di ricarico dalla stessa dichiarata sul costo del venduto, in relazione al proprio settore di appartenenza e alla propria realtà economica, connotata da peculiarità di tipo operativo-commerciale;

– al riguardo, la ricorrente deduce la mancata ovvero erronea valutazione da parte della CTR della documentazione allegata al ricorso e alla memoria di primo grado e richiamata nell’atto di appello;

– quale lo Studio di settore SMO9B approvato per la tipologia di attività svolta dalla società – (codice attività 50401- Commercio all’ingrosso e al dettaglio di motocicli e ciclomotori), prospetti elaborati su dati contabili ed extracontabili, contratti di concessione di vendita con i fornitori, il risultato della ricerca estratta dalla Banca Dati Van Dijke – denotante la correttezza della misura della percentuale di ricarico applicata dalla contribuente del 13,9% sul costo del venduto;

– la censura è inammissibile e, comunque, nel merito, infondato;

– il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass. n. 22767 del 2016; Cass. n. 26174 del 2014, sez. un. n. 28547 del 2008, sez. un. 23019 del 2007, sez. un. ord. n. 7161 del 2010);

– il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 2, al fine di equiparare la disciplina relativa alle imposte dirette a quella in materia di IVA, stabilisce che le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa – salvo che il contribuente non dichiari contestualmente alla produzione di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile – (Cass., sez. 5, Ordinanza n. 21665 del 2010);

– premessa la non utilizzabilità in sede contenziosa dei documenti non esibiti in risposta al questionario – la regolarità della cui notifica è stata preliminarmente accertata dalla CTR – in violazione del principio di autosufficienza, la società contribuente non ha nel ricorso trascritto ovvero riassunto negli esatti termini la documentazione di cui ha assunto la mancata o erronea valutazione da parte della CTR, nè tantomeno ha precisato quale di quest’ultima fosse stata prodotta in aggiunta al questionario;

– in ogni caso, la motivazione della CTR risulta congrua e sufficiente essendo stato l’accertamento fiscale espletato dall’Ufficio di tipo induttivo puro, basato, pertanto, su presunzioni c.d. supersemplici, a fronte delle quali la società contribuente non risultava avere prodotto idonea documentazione contraria;

– in conclusione il ricorso va rigettato; le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte:

rigetta il ricorso; condanna AB MOTO DUE s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare, in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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