Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3037 del 11/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 3037 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 453-2011 proposto da:
COMPAGNIA VALDOSTANA DELLE ACQUE – COMPAGNIE VALDOTAINE
DES EAUX S.P.A. C.F. e P. IVA 01013130073, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 58, presso lo
studio dell’avvocato COSSU BRUNO, che la rappresenta e
2013
3772

difende unitamente all’avvocato BIN MARINO, giusta
delega in atti;
– ricorrente contro

I.N.P.S.

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA

Data pubblicazione: 11/02/2014

SOCIALE C.F. 80078750587 in persona del suo Presidente
e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale
mandatario

della

S.C.C.I.

S.P.A.

Società

di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., C.F.
05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati
SGROI ANTONINO, MARITATO LELIO, CALIULO LUIGI, giusta
delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1180/2009 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 11/01/2010 R.G.N. 307/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/12/2013 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO
BANDINI;
udito l’Avvocato COSSU BRUNO;
udito l’Avvocato SGROI ANTONINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso, in subordine per il
rigetto.

CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Compagnia Valdostana delle Acque – Compagnie Valdótaine des
Eaux spa (qui di seguito, per brevità, indicata anche come CVA), con

ricorso depositato il 25.10.2007, convenne in giudizio l’Inps,
chiedendo venisse accertata l’insussistenza del suo obbligo di
versamento dei contributi relativi alla Cassa Integrazione Guadagni
ordinaria e straordinaria, con conseguente condanna dell’Istituto alla
restituzione dei contributi già versati, invocando l’esonero previsto al
riguardo dall’art. 3 dl.vo cps n. 869/47 e la propria natura di “impresa
pubblica”, anche ai sensi del dl.vo n. 163/06 e del dl.vo n. 333/03,
atteso che il suo capitale era interamente posseduto dalla Finaosta
spa, a sua volta partecipata al 75% dalla Regione Autonoma Valle
d’Aosta.
Sulla resistenza dell’Inps, in proprio e quale mandatario della SCCI
spa, il Giudice adito respinse il ricorso.
La Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 12.11.200911.1.2010, rigettò il gravame proposto dalla CVA, rilevando
l’inapplicabilità delle discipline normative dettate in ambiti
assolutamente settoriali e destinate ad avere valore solo in tali
ambiti, la circostanza che comunque la Regione Autonoma Valle
d’Aosta non era proprietaria della CVA e neppure vi aveva una
partecipazione finanziaria, la non ricorrenza nella fattispecie delle
ipotesi contemplate dal dl.vo n. 267/00.
Avverso tale sentenza della Corte territoriale, la Compagnia
Valdostana delle Acque – Compagnie Valdótaine des Eaux spa ha

3

c

proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi e illustrato
con memoria.

controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, denunciando violazione di plurime norme di
legge, nonché vizio di motivazione, la ricorrente si duole che la Corte
territoriale non abbia considerato che, con delibera del 2.4.2001, la
Giunta Regionale aveva deciso di conferire alla Finaosta spa, ai
sensi dell’art. 5 legge regionale n. 16/82, mandato senza
rappresentanza, ai sensi dell’art. 1703 e ss cc, per l’acquisizione
delle quote di partecipazione, anche totalitaria, nelle società Geval
spa (ora CVA) e Deval spa, con la conseguenza che, stante il
disposto dell’art. 1706, comma 1, cc, doveva ritenersi che la Regione
mandante avesse acquistato direttamente i beni mobili (nella specie
le azioni societarie) acquistati dalla mandataria in nome proprio.
Con il secondo motivo, denunciando violazione di plurime norme di
diritto, la ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia
ritenuto che l’esonero dall’obbligo di versamento dei contributi de
quibus sia stato mutuato dai dl.vo nn. 163/06, 333/03 e 36/06, tutti

attuativi di direttive comunitarie, rinvenendosi in tali testi legislativi
una definizione di impresa pubblica espressa in forma stereotipa,
come tale confermativa della sua portata generale, anche in via di
applicazione analogica.

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L’Inps, in proprio e quale mandatario della SCCI spa, ha resistito con

Con il terzo motivo, denunciando violazione di plurime norme di
diritto, la ricorrente premesso che avrebbe dovuto ritenersi acclarata

nelle norme di settore richiamate” e, pertanto, la validità di tale
nozione anche ai fini dell’interpretazione dell’art. 3 dl.vo cps n.
869/47, deduce che la Corte territoriale avrebbe dovuto riconoscere,
nel caso di specie, la natura pubblica di essa opponente, invocando
altresì il giudicato interno asseritamente formatosi sulla ricorrenza
delle condizioni per ritenere la qualificazione di impresa pubblica ai
sensi dell’art. 3 dl.vo n. 163/06.
Con il quarto motivo, denunciando violazione di norma di legge,
nonché

vizio

di

motivazione,

la

ricorrente

si

duole,

subordinatamente, che la Corte territoriale abbia reso
un’interpretazione formalista, piuttosto che sostanzialista, dell’art. 3
dl.vo cps n. 869/47, deducendo che dovrebbe ritenersi impresa
pubblica non solo l’impresa gestita direttamente dallo Stato o da un
ente pubblico, ma anche quella gestita da una società il cui capitale
sia in mano pubblica.

2. In ordine al primo motivo deve rilevarsi che la Corte territoriale ha
affermato in punto di fatto che la CVA è una società per azioni il cui
capitale è interamente detenuto da altra società per azioni, la
Finaosta spa, la quale, a sua volta, è partecipata al 75% dalla
Regione Autonoma Valle d’Aosta.

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“la portata generale della definizione di “impresa pubblica” contenuta

Tali circostanze fattuali, che la Corte territoriale definisce pacifiche, si
riferiscono ovviamente al contesto esistente al momento della

Da ciò la Corte territoriale ha tratto il rilievo che la Regione
Autonoma Valle d’Aosta non è proprietaria della CVA e non vi ha
neppure una partecipazione finanziaria, appartenendo il 100% delle
sue azioni alla Finaosta spa.
2.1 L’assunto della ricorrente, che fa leva sul disposto dell’art. 1706,
comma 1, cc al fine di inferirne la proprietà delle proprie azioni in
capo alla Regione Autonoma Valle d’Aosta, involge una questione
fattuale che, per quanto emerge dalla sentenza impugnata, non
risulta conforme alle allegazioni svolte.
2.2 In ogni caso gli effetti che si vogliono trarre dalla norma
codicistica anzidetta non possono trovare applicazione ai fini del
decidere nel caso che ne occupa, dovendo venire coordinati con le
disposizioni che concernono le società per azioni con unico socio, in
base alle quali “Quando le azioni risultano appartenere ad una sola
persona o muta la persona dell’unico socio, gli amministratori devono
depositare per l’iscrizione del registro delle imprese una
dichiarazione contenente l’indicazione del cognome e nome o della
denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di
costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell’unico
socio” (art. 2362, comma 1,cc), con conseguente applicabilità del

disposto dell’art. 2448, comma 1, cc, secondo cui “Gli atti per i quali

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proposizione della domanda.

il codice prescrive l’iscrizione o il deposito nel registro delle imprese
sono opponibili ai terzi soltanto dopo tale pubblicazione, a meno che

che l’asserita proprietà della totalità delle azioni in capo alla Regione
Autonoma della Valle d’Aosta, ove pure sussistente, non sarebbe
opponibile al terzo lnps, non essendo stato neppure allegato – né
tanto meno provato – che l’Inps ne fosse a conoscenza (il che,
ovviamente, involge un accertamento di fatto neppure prospettabile
in questa sede di legittimità).
2.3 Per completezza di motivazione deve comunque rilevarsi (oltre a
quanto sarà esposto in prosieguo) che la censura all’esame,
quand’anche fosse astrattamente accoglibile, non sarebbe
conducente ai fini della questione agitata in causa, giusta
l’orientamento espresso (ancorché ad altri fini) dalla giurisprudenza
delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr, Cass., SU, n. 7799/2005,
nonché le altre pronunce ivi richiamate); è stato infatti rilevato che,
seppure anche un ente a struttura societaria possa assumere natura
pubblicistica, qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge
(come, ad esempio, nel caso di cui all’art. 18 legge 22.12.1984 n.
887 per l’AGE Control spa) ovvero ricorrano determinate condizioni
(comportanti una consistente alterazione del modello societario
tipico, come, ad esempio, per la Poste Italiane spa), normalmente la
società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua
natura di soggetto di diritto privato solo perché lo Stato o gli enti

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la società provi che i terzi ne erano a conoscenza”; dal che discende

pubblici ne posseggano le azioni, in tutto o in parte, non assumendo
rilievo alcuno, per le vicende della medesima, la persona

opera nell’esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun
collegamento con l’ente pubblico, tanto che il rapporto tra la società
e l’ente locale è di assoluta autonomia, sicché non è consentito al
Comune incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto
medesimo e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio
di poteri autoritativi o discrezionali; infatti, come è stato ulteriormente
precisato, la legge non prevede alcuna apprezzabile deviazione,
rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali,
per le società miste incaricate della gestione di servizi pubblici istituiti
dall’ente locale e la posizione dell’ente pubblico all’interno della
società è unicamente quella di socio di maggioranza, derivante dalla
“prevalenza” del capitale da esso conferito, e soltanto in tale veste
l’ente pubblico potrà influire sul funzionamento della società,
awalendosi non già dei poteri pubblicistici che non gli spettano, ma
dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo
dei membri di nomina pubblica presenti negli organi societari.

2.4 II motivo all’esame va pertanto disatteso.
3. I restanti motivi, fra loro connessi, possono essere esaminati
congiuntamente.

3.1 La questione all’esame, inerente la debenza dei contributi per la
cassa integrazione guadagni da parte delle società per azioni a

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dell’azionista, dato che tale società, quale persona giuridica privata,

prevalente capitale pubblico, è già stata affrontata dalla
giurisprudenza di questa Corte (cfr, ex

plurimis,

Cass., nn.

che ne sono state tratte – e da cui il Collegio non ravvisa ragioni per
discostarsi – valgono a fortiori nel caso che ne occupa, ove per le
ragioni già spiegate, neppure può parlarsi di una partecipazione
azionaria da parte dell’Ente pubblico territoriale, stante la titolarità
delle azioni in capo ad un soggetto, la Finaosta spa, a sua volta
costituita in forma societaria privatistica.
3.2 La giurisprudenza di questa Corte ha in particolare osservato che
la previsione secondo cui il perseguimento di interessi della
collettività possa avvenire anche mediante la partecipazione
pubblica a società di capitali, trova precisi riscontri nella disciplina
comunitaria, e che, anzi, in relazione alle finalità diversamente
perseguite, ben può verificarsi che una società per azioni, con
pacchetto azionario pubblico, possa definirsi “impresa pubblica”,
mentre la nozione di organismo di diritto pubblico può non essere
riconosciuta, a determinati fini, ad un ente pubblico economico
esercente attività industriale o commerciale, come avviene per la
materia degli appalti pubblici di servizi in relazione alla direttiva
92/50/CEE; restando così confermato che le conseguenze giuridiche
derivanti da tale relazione dipendono, di volta in volta, dalle
specifiche discipline normative (cfr, Cass., n. 5816/2010, cit.).

9

14847/2009; 5816/2010; 11417/2013; 19087/2013) e le conclusioni

Appare dunque condivisibile il rilievo della sentenza impugnata
secondo cui la nozione di “impresa pubblica” non può essere fatta

disposizioni settoriali che di volta in volta la definiscono, non
essendo conducente il rilievo che tali definizioni, nei casi per cui
sono state legislativamente previste, si atteggino in termini
sostanzialmente analoghi.
Né ha fondamento l’assunto secondo cui una tale ricomprensione
delle norme settoriali nell’ambito di una definizione di carattere
generale dovrebbe essere attuata attraverso il ricorso all’analogia,
essendo ravvisabile nell’ordinamento un complesso di disposizioni
normative che, con riferimento alla questione che qui ne occupa,
consentono di escludere la natura di impresa pubblica (salvo, si
ripete, le diverse eventuali disposizioni di settore) in riferimento alle
società a partecipazione pubblica.
3.3 Ed invero la giurisprudenza di questa Corte (cfr, Cass., n.
14847/2009, cit., richiamata dalla decisione impugnata) ha avuto
modo di puntualizzare che:
– l’art. 3, comma 1, dl.vo n. 869/47, come sostituito dall’art. 4,
comma 1, legge n. 270/88, prevede, per quanto qui specificamente
rileva, che

“Sono escluse dall’applicazione delle norme sulla

integrazione dei guadagni degli operai dell’industria: … le imprese
industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato”;

derivare, quale nozione di carattere generale, dalle specifiche

- non trova alcun riferimento testuale nella norma testé esaminata
l’assunto secondo cui la locuzione “imprese industriali degli enti

effettivo dell’impresa”, laddove, piuttosto, l’equiparazione (soltanto)
delle imprese “municipalizzate” (che enti pubblici non sono) a quelle
“degli enti pubblici” sta ad indicare che il legislatore ha invece fatto
riferimento alla natura pubblica dell’impresa industriale (siccome)
svolta dall’ente pubblico;
– dalle disposizioni di cui all’art. 23 legge n. 142/90 (poi riprodotte
dall’art. 114 dl.vo n. 267/00), che riconosce all’azienda speciale (di
cui all’art. 22, comma 3, lett. c)) natura di “ente strumentale dell’ente
locale” e alla istituzione (di cui all’art. 22, comma 3, lett. d)) natura di
“organismo strumentale dell’ente locale”,

nulla al contrario

prevedendo con riferimento alla società per azioni a prevalente
capitale pubblico locale (di cui all’art. 22, comma 3, lett. e)), discende
che la gestione dei servizi pubblici da parte degli enti pubblici
territoriali non è di per sé determinativa della natura pubblica
dell’organismo attraverso il quale tale gestione viene attuata.
Sulla scorta di tali assorbenti considerazioni deve dunque escludersi
la fondatezza dei motivi all’esame, nei distinti profili in cui si
articolano.
3.4Per completezza di motivazione deve essere altresì rilevata
l’infondatezza dell’assunto secondo cui, nel caso di specie, sarebbe
ravvisabile un giudicato interno in ordine alla ricorrenza delle

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pubblici” farebbe riferimento a “un potere di controllo totale ed

condizioni per ritenere la qualificazione di impresa pubblica ai sensi
dell’art. 3 dl.vo n. 163/06.

comunque privo di decisività, una volta esclusa, per le ragioni già
espresse, la ravvisabilità di una nozione generale di impresa
pubblica desumibile da particolari disposizioni settoriali (quali
appunto quelle di cui all’art. 3 dl.vo n. 163/06), deve negarsi che, al
riguardo, si sia formato il dedotto giudicato interno, posto che
l’affermazione della sentenza di prime cure, asseritamente coperta
dal giudicato, non ha costituito antecedente logico giuridico del
decisum, atteggiatosi infatti con il rigetto della domanda della odierna

ricorrente (ciò in applicazione del noto principio secondo il quale il
giudicato, formatosi con la sentenza intervenuta tra le parti, copre
non solo il dedotto ma anche il deducibile in relazione al medesimo
oggetto, e cioè non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto fatte valere
in giudizio, cioè il giudicato esplicito, ma anche tutte quelle che,
sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici
essenziali e necessari della pronuncia, cosiddetto giudicato implicito:
cfr, ex plurimis, Cass., n. 9544/2008).
4. In definitiva il ricorso deve essere rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle
spese, che liquida in euro 25.100,00 (venticinquemilacento), di cui

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Infatti, anche a prescindere dal considerare che tale rilievo sarebbe

euro 25.000,00 (venticinquemila) per compenso, oltre accessori
come per legge.

Così deciso in Roma 11 19 dicembre 2013.

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