Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30368 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 23/11/2018, (ud. 28/06/2018, dep. 23/11/2018), n.30368

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11734-2014 proposto da:

CEMETAC DI G.A. & C. SRL, elettivamente domiciliato

in ROMA C.SO DI FRANCIA 197, presso lo studio dell’avvocato

ANTONELLA ANSELMO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI COSENZA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 315/2013 della COMM.TRIB.REG. di CATANZARO,

depositata il 13/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/06/2018 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO.

Fatto

RILEVATO

che:

la CE.ME.TAC. srl di G.A. & C. ricorre per la cassazione della sentenza n. 315/04/13, depositata il 13.12.2013 dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria;

riferisce che a seguito della notifica di una cartella di pagamento per accertamento automatizzato del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, era insorto il contenzioso con l’Agenzia. Nella pendenza del suddetto contenzioso era anche comunicato alla contribuente la compensazione delle somme richieste dall’Ufficio (Euro 23.991,58) con crediti d’imposta della società. Anche su questo provvedimento la CE.ME.TAC. proponeva autonomo ricorso. La Commissione Tributaria Provinciale, riuniti i ricorsi, accoglieva le ragioni della contribuente. Il contenzioso proseguiva nel grado superiore ma indipendentemente dalla definitività della decisione assunta dal giudice provinciale sorgeva dal D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 68, comma 2, il diritto della contribuente al rimborso delle imposte già versate (la ricorrente evidenzia che oltre che alla compensazione operata dall’Ufficio impositore, l’agente per la riscossione aveva provveduto ad incassare le somme mediante pignoramento presso terzi).

In assenza di adempimento spontaneo da parte della Agenzia la società adiva per il rimborso lo stesso giudice provinciale, che però rigettava il ricorso con sentenza n. 26/03/11. La pronuncia era appellata dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Calabria, che con la sentenza ora impugnata confermava il rigetto, assumendo che sarebbe stato onere della contribuente inoltrare istanza di rimborso del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21, comma 2, e, all’eventuale rifiuto tacito formatosi sulla istanza, avrebbe potuto far seguire un ricorso ex art. 19 della predetta disciplina processuale.

La società censura con due motivi la sentenza:

con il primo per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 2, art. 21, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente affermato la necessità della preventiva istanza di rimborso, cui far seguire l’introduzione di un giudizio contenzioso;

con il secondo per nullità della sentenza per omessa pronuncia su un capo della domanda, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in ordine alla responsabilità di Equitalia sull’omesso rimborso.

Ha dunque chiesto la cassazione della sentenza, con ogni consequenziale statuizione.

L’Agenzia si è costituita chiedendo il rigetto del ricorso avendo già provveduto allo sgravio della cartella ed essendo pertanto dovuto il rimborso dal concessionario.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo di ricorso è infondato.

Questa Corte, esaminando analoga controversia, nella vigenza della disciplina anteriore alla applicabilità del giudizio di ottemperanza anche a fattispecie come quella oggetto di causa – introdotto con D.Lgs. n. 156 del 2015 -, ha affermato il principio secondo cui in materia di processo tributario, posto che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 2, prevede il rimborso d’ufficio del tributo corrisposto in eccedenza entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza che ha accolto il ricorso del contribuente, quest’ultimo, qualora non riceva detto rimborso, non può adire direttamente il giudice tributario, ma deve prima sollecitare detto rimborso in sede amministrativa, e solo successivamente può impugnare il diniego, anche tacito, ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. g) del citato decreto (Cass., sent. 20616/2008). Si è a tal fine specificato che nello stabilire il rimborso d’ufficio del tributo corrisposto in eccedenza dal contribuente entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza che ne ha accolto il ricorso, la norma, determinando la nascita di un’obbligazione “ex lege” da indebito, escludeva l’assoggettabilità dell’istanza ai termini di decadenza previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, ritenuta comunque necessaria – prima della novella del 2015 – per poter adire l’autorità giudiziaria in caso di inadempimento dell’Amministrazione (Cass., sent. n. 18027 del 2016).

Si è infatti sostenuto che, nel vigore della norma qui applicabile, dovendo identificarsi lo strumento sollecitatorio nella disponibilità del contribuente per l’ipotesi in cui l’Amministrazione, pur obbligata alla restituzione, a ciò non provveda, la parte vittoriosa – anche se in via non definitiva – dovesse far pervenire alla Amministrazione medesima una formale richiesta di procedere al rimborso delle somme indebitamente trattenute. Ciò per superare la preclusione discendente dall’elenco tendenzialmente tassativo degli atti impugnabili avanti al giudice tributario, in ragione del carattere impugnatorio del processo tributario e della conseguente sussistenza di necessari meccanismi di instaurazione del processo, come previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, compreso il diniego tacito di rimborso.

Ne consegue che il ricorso introdotto nel presente giudizio, senza la necessaria preventiva istanza prevista dall’art. 21, comma 2 cit., – benchè senza vincoli di decadenza biennale -, era inammissibile.

Infondato quando non inammissibile è il secondo motivo del ricorso, con cui la contribuente si duole della omessa pronuncia del giudice regionale sul profilo della responsabilità del concessionario in ordine al mancato rimborso.

Qui è appena il caso di evidenziare che non vi è mai stata una domanda articolata in tal senso dalla contribuente. Vero era invece che nella difesa della Agenzia, per quanto emerge dagli stessi passaggi riportati nel ricorso della società, questa aveva invocato la responsabilità di Equitalia nella riscossione di somme, cui la contribuente aveva risposto che trattavasi di questioni relative a rapporti interni tra l’Amministrazione finanziaria ed il concessionario, sicchè avrebbe potuto essa stessa chiamare Equitalia in giudizio. La contribuente aveva mantenuto anche in appello questa posizione difensiva (cioè l’invitare l’Amministrazione a chiamare in giudizio la concessionaria). Nessuna domanda pertanto emerge dai riscontri richiamati dalla odierna ricorrente, nel rispetto del principio dell’autosufficienza, così che nessuna omessa decisione può essere addebitata al giudice regionale.

Considerato che

Il ricorso va rigettato e alla soccombenza della ricorrente segue la liquidazione delle spese nella misura specificata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione in favore della Agenzia delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, condanna inoltre la ricorrente al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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