Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30366 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2011, (ud. 06/12/2011, dep. 30/12/2011), n.30366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

G.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DI PORTA PINCIANA 4, presso lo studio dell’avvocato DE MATTEIS

FERDINANDO MARIA, che lo rappresenta e difende, giusta delega a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 114/20/2007 della Commissione Tributaria

Regionale di ROMA del 20.4.07, depositata il 27/09/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2011 dal ConsigUere Relatore Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito per la ricorrente l’Avvocato A. Maddalo che si riporta agli

scritti;

udito per il contro ricorrente l’Avvocato Ferdinando Maria De Matteis

che insiste per il rigetto del ricorso;

E’ presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO

IANNELLI che ha concluso per l’accoglimento e cassazione con rinvio.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. Con sentenza n. 114/20/07, depositata il 27.9.07 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Roma (OMISSIS), avverso la sentenza di primo grado con la quale era stato accolto il ricorso proposto da G.M. nei confronti del silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso dell’IRPEF indebitamente trattenuta – a suo dire – dal datore di lavoro (ENEL) quale sostituto di imposta, sull’indennità di natura assicurativa corrisposta nell’anno 2000.

2. La CTR riteneva, infatti, che – essendosi il G. iscritto alla forma pensionistica complementare, rappresentata dal fondo di previdenza esterno denominato P.I.A., in epoca precedente al 28.4.93, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993 – l’aliquota del 35,73% applicata dall’Ufficio a titolo di tassazione separata D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex artt. 16 e 17 (testo all’epoca vigente) fosse stata erroneamente applicata dall’amministrazione.

Per contro, avrebbe dovuto trovare applicazione nel caso concreto – a parere del giudice di appello – la minore aliquota del 12,50, ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6.

3. Avverso la sentenza n. 114/20/07 ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate articolando quattro motivi, ai quali l’intimato ha replicato con controricorso.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 42, comma 4 (testo all’epoca vigente), della L. n. 482 del 1985, art. 6, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 16 e 17 e del D.L. n. 669 del 1996, art. 1, comma 5 convertito in L. n. 30 del 1997, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

1.1. Assume l’amministrazione finanziaria che la CTR avrebbe errato nel ritenere che la prestazione di capitale erogata – in forza di accordo individuale intercorso tra le parti – dall’ENEL al G. nell’anno 2000, in luogo della prestazione pensionistica aziendale di cui agli artt. 1 e 4 dell’accordo ENEL – Fndai del 16.4.1986, e costituita, in parte mediante disponibilità dell’ENEL ed in parte mediante contribuzione a carico dei dipendenti, fosse assoggettabile a ritenuta di imposta pari al 12,50% di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6.

Tale più favorevole regime sarebbe, infatti, applicabile – a parere della ricorrente – solo alle prestazioni erogate in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione, al contrario di quanto avrebbe sostenuto la CTR nell’impugnata sentenza.

Siffatta erogazione di capitale avrebbe dovuto essere, pertanto, soggetta – ad avviso dell’Agenzia delle Entrate – a tassazione separata in forza del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a e art. 17.

2. Con il secondo motivo di ricorso, l’amministrazione deduce la violazione degli artt. 1362, 1363, 1369, 1919 c.c. e del D.P.R. n. 449 del 1959, art. 33 e segg. nonchè la falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 42, comma 4, e della L. n. 482 del 1985, art. 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

2.1. La CTR avrebbe, infatti, erroneamente ritenuto, ad avviso della ricorrente, che la prestazione di capitale erogata nell’anno 2000 dall’ENEL al suo dipendente, in forma di capitale, in forza di un accordo individuale intercorso tra il medesimo e l’ente datore di lavoro, fosse stata corrisposta in dipendenza di un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione.

3. Con il terzo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce, poi, l’insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

3.1. La CTR, invero, non avrebbe adeguatamente valutato ed analizzato la documentazione versata in atti dall’amministrazione, e dalla quale si sarebbe potuto inferire, ad avviso della ricorrente, che l’erogazione ritenuta tassabile con aliquota del 12,50% non poteva essere qualificata – come, invece, ha fatto il giudice di appello – come prestazione in forma di capitale, corrisposta in dipendenza di contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione.

4. Con il quarto motivo, l’amministrazione deduce, infine, la violazione o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 47, lett. h bis, nonchè del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 16 e 17, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

5. I quattro motivi di ricorso – che, attesa la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – si palesano fondati, per quanto di ragione.

5.1. Deve, invero, rilevarsi al riguardo che G.M., ex dirigente ENEL s.p.a., iscritto alla forma pensionistica complementare, rappresentata dal fondo di previdenza esterno denominato P.I.A. (Previdenza Integrativa Aziendale), presentava istanza di rimborso dell’IRPEF indebitamente trattenuta – a suo dire – sull’indennità di natura assicurativa, erogatagli sotto forma di prestazione di capitale, nell’anno 2000.

5.1.1. Assumeva, invero, il G., che – in seguito ad accordo aziendale ENEL – Fndai del 16.4.1986 – il rapporto assicurativo derivante da una polizza vita stipulata dall’azienda a favore dei propri dirigenti in forza del c.c.n.l. del 16.5.85, ed avente ad oggetto il rischio di morte e di invalidità permanente non dipendente da infortuni, era stato convertito in un rapporto previdenziale. Successivamente, esso istante aveva, peraltro, optato per la corresponsione anticipata di un capitale, in luogo della prestazione pensionistica aziendale, di cui agli artt. 1 e 4 del suddetto accordo ENEL – Fndai. Nel proporre la predetta istanza di rimborso, il G. sosteneva, quindi, in via principale, la non assoggettabilità a tassazione della suindicata erogazione previdenziale, in quanto di natura non reddituale, ma patrimoniale;

in via subordinata, che tale forma di reddito dovesse essere determinata ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 42, comma 4 (nel testo applicabile ratione temporis), ed assoggettato alla ritenuta di imposta nella misura del 12,50%, della L. n. 482 del 1985, ex art. 6.

5.1.2. Avverso il silenzio rifiuto formatosi a seguito di detta istanza, il G. proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Roma, con il quale ribadiva le ragioni poste a fondamento della richiesta di rimborso.

Il giudice di primo grado accoglieva, quindi, la domanda subordinata del contribuente, applicando il regime di tassabilità della forma pensionistica complementare in questione nella misura indicata dal medesimo, non potendo equipararsi – a parere dei giudici di prime cure – la capitalizzazione del trattamento pensionistico integrativo de quo ai redditi da lavoro dipendenti, soggetti a tassazione separata ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 16 e 17.

La tesi in parola veniva, poi, condivisa anche dalla CTR del Lazio, avverso la cui decisione l’Agenzia delle Entrate ha proposto, pertanto, ricorso per cassazione, affidato ai due motivi suesposti.

5.2. Premesso quanto precede, deve ritenersi, a parere di questa Corte, che la sentenza di appello sia erronea, palesandosi la decisione in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, che si ritiene più condivisibile, e che ha ricevuto recentemente l’avallo anche delle Sezioni Unite (cfr. Cass. S.U., 22.6.2011 n. 13642). Va rilevato, infatti, – al riguardo – che, in ordine alla normativa applicabile in tema tassazione di fondi previdenziali integrativi, si sono formati, nella giurisprudenza di questa Corte, due distinti indirizzi interpretativi: il primo, che – seguendo l’evoluzione normativa in materia – individua un duplice criterio di tassazione (Cass. 27928/09, 22974/10); il secondo, che individua, invece, un unico criterio di tassazione, costituito dal regime fiscale dei redditi di lavoro dipendente, e in particolare dall’imposizione corrispondente a quella del trattamento di fine rapporto (Cass. 11156/10, 18056/10). Ebbene, le Sezioni Unite di questa Corte hanno operato un approfondito chiarimento della questione, al fine di evitare “soluzioni possibilmente contrastanti”, soprattutto in ragione della “concatenazione temporale di discipline diverse in qualche misura intersecantesi”, ed hanno – in sostanza – aderito al primo dei filoni interpretativi summenzionati.

Il quadro giurisprudenziale di riferimento che ne deriva, in ordine al regime di tassazione della forma pensionistica complementare in esame, può essere, pertanto, sintetizzato come segue.

5.2.1. Va anzitutto osservato, al riguardo, che la disciplina positiva dei fondi complementari integrativi – come rilevato da S.U. n. 13642/11 – è passata, nel tempo, dalla “tutela assicurativa” – rispondente al principio del risparmio finanziario” (che trova la sua tutela nell’art. 47 Cost.), e nella quale l’investimento concerne una somma che è già patrimonio del soggetto – alla “tutela previdenziale”, rispondente al principio del “risparmio previdenziale” (tutelato, invece, dall’art. 38 Cost.)- In tale ultima ipotesi, a differenza della precedente, l’investimento concerne una somma che origina da redditi da lavoro, e come tale è – di conseguenza – tassabile secondo il regime cui sono soggetti i redditi da cui l’investimento medesimo è composto e determinato. Nel regime precedente il D.Lgs. n. 124 del 1993, invero, si distingueva, in relazione alle somme liquidate al dipendente all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, in virtù del contratto di assicurazione stipulato dal datore di lavoro, tra una posta (cosiddetta “capitale”) rappresentata dai premi versati dal datore di lavoro in corrispondenza dell’ammontare dell’indennità di anzianità via via maturata dal dipendente, ed un ammontare ulteriore (cosiddetto “rendimento di polizza”), costituente il risultato dell’operazione assicurativa propriamente detta, implicante un’eccedenza rispetto ai premi medesimi, ed, in effetti, rispetto a quanto attribuito al dipendente in forza di legge. Mentre le somme liquidate a titolo di capitale erano considerate soggette, per loro natura di TFR, al trattamento fiscale proprio di tale forma di reddito da lavoro, le somme corrispondenti al c.d. rendimento di polizza, traendo origine dalla forma (contratto di assicurazione sulla vita) prescelta dal datore di lavoro per attuare gli accantonamenti obbligatori, erano considerate, invece, esenti da imposizione, ai sensi del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 34, u.c., se liquidate prima dell’entrata in vigore della L. n. 482 del 1985, ed assoggettate a ritenuta del 12,50% se liquidate sotto il vigore di quest’ultima (cfr. Cass. 5506/07).

Ebbene, la decisa opzione dell’ordinamento per un regime di tassazione della previdenza complementare secondo una disciplina analoga a quella applicata ai redditi di lavoro, avviene – in subiecta materia – solo a seguito dell’entrata in vigore della disciplina impositiva di cui al D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 13 che opera un rinvio al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 (nel testo applicabile ratione temporis), ed al relativo regime di tassazione separata dei redditi da lavoro.

5.2.2. E tuttavia – secondo il primo dei menzionati orientamenti giurisprudenziali, formatosi con specifico riferimento alla stessa forma di previdenza complementare in considerazione nel caso di specie, costituita dal PIA (Previdenza Integrativa Aziendale) – in tema di fondi previdenziali integrativi, la suindicata disciplina impositiva di cui al D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 13, comma 9, si riferisce, secondo l’interpretazione fornita dal D.L. n. 669 del 1996, art. 1, comma 5, (convertito nella L. n. 30 del 1997), esclusivamente ai lavoratori iscritti alle forme pensionistiche complementari successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 cit. Il predetto regime di tassazione separata non è, pertanto, applicabile ai lavoratori già iscritti – come nel caso di specie – a forme pensionistiche complementari, in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.L. n. 124 del 1993.

Ne discende che, se a tali lavoratori, al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, siano corrisposte somme costituite in parte da capitale riveniente dai contributi versati e per il residuo dai rendimenti netti realizzati attraverso la gestione della “sorte capitale”, il predetto regime di tassazione separata si applica alla sola attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, in quanto disciplina riguardante tutti i redditi comunque dipendenti da quel rapporto. Per converso, alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento – costituenti mero reddito di capitale non legato al rapporto di lavoro – si applica la ritenuta del 12,50% prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6.

5.2.3. Il menzionato indirizzo giurisprudenziale ha, poi, ulteriormente chiarito che l’individuazione di tale duplice criterio di tassazione non è impedita, nel caso di specie, nè – per quanto concerne il ed. rendimento di polizza – dalla particolare forma di rapporto assicurativo posto in essere nel caso in considerazione (sulla quale, nel caso concreto, insiste particolarmente l’Agenzia delle Entrate), nè – per quel che riguarda la “sorte capitale” – dal fatto che l’ente gestore del rapporto previdenziale (il fondo P.I.A.) sia un soggetto diverso dal datore di lavoro.

Ed invero, si è rilevato in proposito, per un verso, che le polizze P.I.A. – come quella ricorrente nel caso concreto – non corrispondono a contratti assicurativi tipici, posti in essere da soggetti istituzionalmente abilitati, ma danno luogo ad una figura contrattuale atipica, avente prevalente causa previdenziale, sebbene modulata come un contratto di capitalizzazione di versamenti da gestire.

Per altro verso, si è affermato che la qualifica del fondo P.I.A. quale ente terzo rispetto al datore di lavoro è inidonea ad elidere il nesso genetico – che, pertanto,, va considerato comunque sussistente – con il rapporto di lavoro, che ha determinato la nascita del rapporto previdenziale rappresentato dalla predetta polizza, ed in relazione al quale la tassazione – limitatamente alla “sorte capitale”, essendo il “rendimento di polizza” soggetto, come detto, alla predetta ritenuta al 12,50% – va operata in misura analoga a quella dell’indennità di fine rapporto, trattandosi di somme integrative del reddito da lavoro dipendente (cfr., in tal senso, Cass. 22974/10). Il regime derogatorio in questione, tuttavia, deve ritenersi applicabile solo ai capitali percepiti fino al 31.12.2000, essendo stata tale disciplina abrogata, con decorrenza dalla data suindicata, dal D.Lgs. n. 47 del 2000, art. 3 mentre, per gli importi percepiti a decorrere dall’1.1.2001, trova integrale applicazione il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 16 e 17.

5.2.4. Tutto ciò premesso, va rilevato che l’indirizzo giurisprudenziale ora menzionato è stato, poi, recepito e confermato dalle Sezioni unite di questa Corte, le quali – prendendo in esame proprio la vicenda del fondo P.I.A. costituito dall’ENEL – hanno ribadito che, in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti ed a causa previdenziale prevalente, come è da ritenersi il fondo P.I.A., sono soggette ad un trattamento tributario diversificato, in ragione del periodo di tempo nel quale gli importi spettanti al dipendente sono dovuti. E precisamente: a) per gli importi maturati fino al 31.12.2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17 solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6;

b) per gli importi maturati a decorrere dall’1.1.2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 (cfr.

Cass. S.U. 22.6.2011 n. 13642).

5.2.5. Ebbene, non può revocarsi in dubbio che nel caso di specie – nel quale viene in considerazione la domanda ; di rimborso proposta da un soggetto iscritto ad un fondo di previdenza complementare (derivante dalla conversione di una polizza assicurativa sulla vita), prima dell’entrata in vigore della L. n. 124 del 1993, e per somme maturate fino al 31.12.2000 – tali principi non siano stati correttamente applicati dall’impugnata sentenza. La CTR ha, invero, del tutto erroneamente ritenuto di dover applicare tout court, senza distinzioni di sorta, la ritenuta a titolo di imposta del 12,50%, di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6 all’intero importo corrisposto al dipendente a titolo di TFR. 6. Di conseguenza, in accoglimento del ricorso, la sentenza n. 194/5/07 va cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che – verificata preliminarmente la sussistenza dei relativi presupposti di fatto – dovrà attenersi al seguente principio di diritto: “in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, derivante dalla conversione di un precedente rapporto assicurativo, sono soggette, per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento (per tale dovendosi intendere, in base al citato arresto delle Sezioni Unite, il c.d. rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato) si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6″.

7. Il giudice di rinvio provvederà, altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che provvederà alla liquidazione anche delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 6 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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