Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30361 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 23/11/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 23/11/2018), n.30361

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. BILLI Stefania – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8594-2013 proposto da:

NEWCO DUC BOLOGNA SPA in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 180, presso

lo studio dell’avvocato MARIO SANINO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DOMENICO FATA giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BOLOGNA in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA MONTE ZEBIO 37, presso lo studio

dell’avvocato MARCELLO FURITANO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARCO ZANASI giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 46/2012 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 09/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/09/2018 dal Consigliere Dott. STEFANIA BILLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi per il ricorrente gli Avvocati SANINO e FATA che hanno chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato ZANASI che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Newco Duc Bologna s.p.a. propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 46/07/12 con la quale la Commissione tributaria regionale di Bologna, confermando la decisione di primo grado, ha respinto la domanda proposta avverso il diniego di rimborso Ici per gli anni dal 2005 al 2009 del Comune di Bologna. In particolare, quest’ultimo aveva dato alla contribuente in concessione un’area per la progettazione, la costruzione e la gestione tecnica, economica e funzionale di un complesso immobiliare destinato ad uffici, sede unica comunale. La società asseriva di non essere titolare del diritto di superficie sulla predetta area e chiedeva, pertanto, la restituzione di quanto versato a titolo di Ici.

La commissione tributaria regionale ha fondato la decisione sulle seguenti osservazioni:

– la convezione stipulata tra le parti del giudizio prevede la sottoscrizione di un “contratto costitutivo del diritto di superficie” che la società ha accettato e acquistato con un’apposita convenzione;

– con riguardo al concessionario di area demaniale cui il provvedimento amministrativo attribuisca un diritto reale di edificare e mantenere manufatti sull’area oggetto di concessione, l’edificazione del manufatto rende applicabile, ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, artt. 1 e 3, (anche nella formulazione in vigore prima delle modificazioni introdotte a decorrere dal 1 gennaio 1998 con D.Lgs. 15 dicembre 1997, n.446, art. 58), l’ICI a carico del concessionario stesso in veste di proprietario del manufatto;

– il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità e della Corte Cost. ha trovato, poi, conferma legislativa, come previsto dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 66, come modificato dal D.Lgs. n. 137 del 1998.

Resiste con controricorso il Comune di Bologna.

Entrambe le parti presentano memoria.

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, in relazione al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, art. 952 c.c., art. 1362 c.c. e ss., al principio di tipicità dei diritti reali, al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 7 (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

1.1. Sotto il profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si lamenta il vizio di insufficiente motivazione in relazione al nomen iuris dato dalle parti al contratto e all’omessa indagine sulla natura e sugli effetti del rapporto.

1.2. Il motivo è inammissibile.

1.3. Nel processo tributario, il giudizio di legittimità è integralmente regolato dalle disposizioni dettate dal c.p.c., atteso il generale richiamo delle stesse da parte del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 2, e la mancanza, in detto decreto, di specifiche previsioni sul relativo procedimento, anche in ordine alle modalità di proposizione del ricorso. In questo senso è pacifica la giurisprudenza di legittimità, secondo cui: “Le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3-bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546″, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito.” (Cass. 13126 del 2018, Cass. S.u. n. 8053 del 2014). In applicazione del principio ora riportato, integralmente condiviso da questo Collegio, dunque, il motivo di ricorso avrebbe dovuto attenersi a quanto previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato.

Sulla base della formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato, infatti, la sentenza impugnata ha dato conto dell’esistenza del contratto ed ha fornito un’interpretazione della volontà delle parti. Va escluso, dunque, il lamentato vizio.

1 4. Per le medesime ragioni non possono trovare accoglimento gli ulteriori profili di censura relativi al vizio di motivazione, indicati nello stesso motivo, relativi: alla mancata indagine circa l’effettiva corrispondenza tra la volontà dichiarata dalle parti di attribuire un diritto reale di superficie e l’effettiva portata del diritto attribuito.

1.5. Inammissibili sono, poi, le ulteriori doglianze contenute nel medesimo motivo, relative: alla mancata indagine se la fonte dei poteri del concessionario sia la concessione di lavori pubblici e non il diritto di superficie; al difetto di accertamento circa l’esistenza o meno del diritto di disporre in capo alla contribuente del permesso di costruire.

1.6. Attraverso tali censure la contribuente sollecita, infatti, un accertamento di fatto ed un’indagine nel merito, preclusa al Giudice di legittimità.

1.7. In relazione al profilo della contrarietà alla legge, la contribuente lamenta l’errata qualificazione attribuita dalla sentenza impugnata del diritto in capo alla contribuente in termini di diritto di superficie. In particolare, si nega che possa essere costituito in capo al concessionario un diritto di superficie ad aedificandum. Si rivendica la necessità di un accertamento sulla natura reale od obbligatoria del diritto attribuito alla contribuente.

1.8. Il motivo sotto altro profilo è infondato.

1.9. E’ pacifico nella giurisprudenza della S.C. che “In tema di ICI, della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 18, comma 3, nel modificare

il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 3, comma 2, prevedendo che “nel caso di concessione su aree demaniali soggetto passivo è il concessionario”, ha reso quest’ultimo, a partire dalla data di applicabilità della nuova disciplina (annualità 2001), obbligato non solo sostanziale (in sede di rivalsa del concedente), ma anche formale, facendo venir meno la necessità di accertare se la concessione che gli attribuiva il diritto di costruire immobili sul demanio avesse effetti reali (con la conseguenza della tassabilità degli immobili ai fini ICI in capo al concessionario) od obbligatori (con la diversa conseguenza della intassabilità”) (Cass. n. 24969 del 2010).

Nel caso di specie è pacifico che la contribuente sia concessionaria di area demaniale. Ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 1992, art. 3, comma 2, dunque, il concessionario è soggetto passivo dell’Ici. Tale rilievo di fatto far ritenere assorbita la questione circa la sussistenza in capo alla contribuente di un vero e proprio diritto di superficie. In ogni caso sotto tale ultimo profilo si condivide quanto di recente espresso dalla S.C., secondo cui: “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), la concessione all’ATER di aree espropriate dai comuni per la realizzazione di programmi di edilizia residenziale pubblica, ai sensi della L. n. 167 del 1962, art. 10, come sostituito dalla L. n. 865 del 1971, art. 35, attribuisce al concessionario il diritto di superficie sulle aree, ovvero le facoltà proprie di tale diritto, con la conseguenza che quest’ultimo, una volta realizzati gli immobili, in applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, diviene soggetto passivo dell’imposta, non occorrendo, a tal fine, un ulteriore atto costitutivo del diritto di superficie, in quanto l’incontro delle volontà dei due soggetti rileva su un diverso piano.” (Cass. n.21222 nel 2017, ma anche Cass. n. 15447 del 2010).

2. Con il secondo motivo si lamenta l’omessa motivazione di un fatto controverso decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al D.Lgs. n. 504 del 1900, art. 3, alla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 907, 908, 912 e 913 e art. 160 bis del codice dei contratti pubblici.

2.1. Il motivo è inammissibile per le ragioni esposte al punto 1.3, sia sotto il profilo dell’applicabilità al presente procedimento del regime cui all’art. 360 c.p.c., comma 2, n. 5, come modificato, sia per i limiti di impugnazione della “doppia conforme”, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c..

2.2. Non risultano in particolar modo indicati i fatti, oggetto di discussione tra le parti, con la trascrizione, o diversamente la sintesi, dei relativi passaggi negli atti di gradi precedenti, la cui omissione ha pregiudicato l’intero processo motivazionale della sentenza impugnata.

2.3. Sotto altro profilo la pronuncia della commissione tributaria provinciale, nonchè quella impugnata risultano fondate sulle medesime ragioni: la contribuente è soggetto passivo dell’Ici, in quanto titolare del diritto di superficie in forza della stipula della convenzione e contratto costitutivo del diritto stesso. Ne consegue, pertanto, la preclusione della proposizione di censure in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3. Da quanto sopra esposto consegue il rigetto del ricorso.

3.1. L’assenza, prima della proposizione del ricorso, di un consolidato orientamento di questa Corte sulla questione esaminata nel presente giudizio, giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti, per il versamento, da parte dei contribuenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. Il Collegio aderisce, infatti, al principio consolidato della S.C. secondo cui: “In tema di impugnazioni, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame”. (Cass. n. 10306 del 2014).

PQM

Rigetta il ricorso e compensa le spese di giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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