Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3036 del 10/02/2010

Cassazione civile sez. I, 10/02/2010, (ud. 15/10/2009, dep. 10/02/2010), n.3036

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3064/2007 proposto da:

B.R.C. (c.f. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA OTTAVIANO 66, presso l’avvocato BARILE

ANTONIO, rappresentata e difesa dall’avvocato ROMANO Francesco,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

06/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/10/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LUIGI RIELLO che chiede che la Corte di Cassazione, in Camera di

consiglio, rigetti il ricorso per manifesta infondatezza.

Fatto

FATTO E MOTIVI

Ritenuto che la Corte di appello di Napoli, con decreto del 6 dicembre 2005, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei ministri a corrispondere a B.R.C., dipendente della USL (OMISSIS) della Campania, un’indennità di Euro 4000,00 oltre agli interessi legali per l’irragionevole durata di un procedimento in materia di indennizzo sostitutivo della fruizione dei buoni pasto iniziato davanti al TAR Campania con ricorso del 19 ottobre 1992, e concluso con sentenza del 19 febbraio 2003; osservando: a) che il giudizio avrebbe dovuto avere durata complessiva di 3 anni, laddove si era protratto per un periodo di oltre 10 anni; b) che tale durata eccedeva di circa 8 anni quella, di anni 3 ritenuta ragionevole dalla CEDU; per cui doveva essere liquidato il danno non patrimoniale in misura equitativa corrispondente a Euro 4000,00 oltre agli interessi.

Che la B. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso affidato a 2 motivi, con i quali, deducendo violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 6 e 13 della Convenzione CEDU, degli artt. 1223 e 1226 cod. civ., nonchè insufficienza e contraddittorietà della motivazione, ha censurato la decisione in relazione alla liquidazione del quantum nell’importo di soli Euro 500,00 per anno di ritardo;

Che il P.G. ne ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza; A) Che il collegio ritiene manifestamente fondato il ricorso, in quanto questa Corte ha ripetutamente affermato anche a sezioni unite: 1) che detta legge, con specifico riferimento alla riparazione del danno non patrimoniale, richiama attraverso l’art. 2056 c.c., l’art. 1226 c.c., che prevede una valutazione con criteri equitativi, i quali possono essere commisurati, in linea generale, all’equa soddisfazione prevista dall’art. 41 CEDU; e che tale regola di applicazione della L. n. 89 del 2001, per quanto attiene alla riparazione del danno non patrimoniale, ha natura giuridica, perchè inerisce ai rapporti tra la detta legge e la CEDU, onde il mancato rispetto di essa da parte del giudice del merito concretizza il vizio di violazione di legge denunziabile a questa Corte di legittimità; 2) che conseguentemente spetta al giudice della CEDU individuare tutti gli elementi di tale fatto giuridico, che pertanto finisce con l’essere “conformato” dalla Corte di Strasburgo, la cui giurisprudenza si impone per quanto attiene all’applicazione della L. n. 89 del 2001, ai giudici italiani: come del resto confermato dalla stessa Corte europea, secondo la quale “deriva dal principio di sussidiarietà che le giurisdizioni nazionali devono, per quanto possibile, interpretare ed applicare il diritto nazionale conformemente alla Convenzione” 3)che il giudice nazionale “può allontanarsi da un’applicazione rigorosa e formale dei criteri adottati dalla Corte”, ma pure conservando un margine di valutazione, non può liquidare somme che non siano in “relazioni ragionevoli con la somma accordata dalla Corte negli affari simili”, restando quindi fermo il suo dovere di “conformarsi alla giurisprudenza della Corte, così accordando somme conseguenti”;

4) che i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono, in conclusione, essere ignorati dal giudice nazionale anche se questi può discostarsi in misura ragionevole dalle liquidazioni effettuate a Strasburgo in casi simili: con conseguente dovere di ufficio del giudice di merito di accertare i casi simili e le eque riparazioni del danno non patrimoniale in essi operate dalla Corte di Strasburgo, avvalendosi al riguardo della collaborazione delle parti, ed in particolare dell’attore, che ha interesse a fornirgli ogni elemento utile alla determinazione del danno nella misura da lui richiesta (come del resto in altra materia consente la L. n. 218 del 1995, nell’accertamento della legge straniera).

Ritenuto che nel caso concreto il provvedimento impugnato non si è attenuto a questi principi avendo liquidato come danno non patrimoniale causato da un giudizio durato circa 11 anni, in cui ha ravvisato, per quanto interessa il ricorrente, un ritardo di circa 8 anni, un indennizzo di Euro 4.000,00, per l’entità dell’oggetto, e sostanzialmente per la modestia della posta in gioco costituita da compensi residuali rispetto a quelli mensilmente goduti dalla B., quale dipendente della USL (OMISSIS) della Campania. Questa Corte, infatti, considera che la modestia della posta in giuoco giustifichi uno scostamento rispetto al parametro di mille Euro per anno di non ragionevole durata del processo, ma non al di sotto della soglia di 750,00 Euro, che appare invece alla Corte generalmente adeguato nei casi in cui la domanda di giustizia risulti accolta in modo definitivo in un ulteriore periodo che non superi quello di altri tre anni; oltre il quale è invece giustificato ritenere che l’irragionevole durata del processo abbia comunque provocato un pregiudizio risarcibile come danno non patrimoniale nella misura di almeno mille per ogni anno di ulteriore irragionevole protrazione del processo.

D) Infondata è infine anche la censura che verte sul punto del mancato riconoscimento del c.d. bonus, in quanto nella determinazione del risarcimento dovuto, mentre la durata della ingiustificata protrazione del processo è un elemento obiettivo che si presta a misurare e riparare un pregiudizio non patrimoniale tendenzialmente sempre presente ed eguale, l’attribuzione di una somma ulteriore postula che nel caso concreto quel pregiudizio, a causa di particolari circostanze specifiche, sia stato maggiore.

Sicchè, quando il giudice non attribuisce il c.d. bonus e perciò nega che quello specifico pregiudizio ulteriore sia stato sopportato, la critica del punto della decisione non può essere affidata alla sola contraria postulazione che il bonus spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere specifico riguardo alle concrete allegazioni e se del caso alle prove delle allegazioni addotte nel giudizio di merito.

Il decreto impugnato va,pertanto, cassato in relazione alle censure accolte; e poichè non necessitano ulteriori accertamenti il Collegio deve decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., liquidando alla B. un indennizzo che tuttavia data la modestia della posta in gioco, già evidenziata dalla Corte di appello, viene determinato in misura inferiore allo standard minimo indicato dalla Corte Edu di Euro 1000 per anno in base al parametro minimo di Euro 750,00, per i primi 3 anni di ritardo; ed in Euro 1000,00 per ciascuno di quelli residui: e perciò nella misura complessiva di Euro 7.250,00, con gli interessi legali dalla data della domanda giudiziale; nonchè a rifondere alla ricorrente le spese processuali che si liquidano come da dispositivo: da distrarre a favore dell’avvocato Francesco Romano, che ha dichiarato d’aver anticipato le spese e non percepito gli onorari.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e,decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri a corrispondere a B.R.C. la somma di Euro 7.250,00 con gli interessi dalla data della domanda; la condanna inoltre al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito in complessivi Euro 1235,00, di cui Euro 385,00 per diritti e 800,00 per onorari, e delle spese del giudizio di cassazione liquidate nell’intero in Euro 700,00, di cui Euro 600,00 per onorari, unitamente al rimborso forfetario delle spese generali ed agli accessori di legge. Ne dispone la distrazione a favore dell’avvocato Francesco Romano.

Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2010

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