Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3036 del 08/02/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 3036 Anno 2018
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: ROSSETTI MARCO

ORDINANZA
sul ricorso 26788-2015 proposto da:
FAVUZZA GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA,

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P.LE CLODIO, 14, presso lo studio dell’avvocato
ANDREA GRAZIANI, rappresentato e difeso dall’avvocato
MAURIZIO NUNZIO SIGNORELLO giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrente contro
2017

SALADINO FRANCESCA MARIA;
– intimata

2324

avverso la sentenza n. 513/2015 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 07/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di

1

Data pubblicazione: 08/02/2018

consiglio del 29/11/2017 dal Consigliere Dott. MARCO

ROSSETTI;

2

R.G.N. 26788/15
Udienza del 29 novembre
2017

FATTI DI CAUSA
1. Giuseppe Favuzza nel 1996, mentre procedeva in bicicletta,
cadde in uno scavo non segnalato realizzato da Francesca Maria
Saladino, e riportò la frattura dei polsi.
Nel 2004 Giuseppe Favuzza convenne Francesca Maria Saladino

del danno patito in conseguenza del fatto sopra descritto.

2. Con sentenza 17.11.2008 il Tribunale accolse la domanda, ma la
sentenza venne appellata dalla parte vittoriosa, la quale si dolse di una
sottostima del danno.

3. La Corte d’appello di Palermo, con sentenza 7 aprile 2015 n. 513,
accolse il gravame e, da un lato, ridusse la percentuale di colpa
addossata alla vittima dal Tribunale; dall’altro lato incrementò il grado
di invalidità permanente patito dalla vittima e, di conseguenza, la stima

dinanzi al Tribunale di Marsala, chiedendone la condanna risarcimento

rt./

del danno biologico.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da
Giuseppe Favuzza, con ricorso fondato su due motivi, subordinati l’uno
all’altro.
L’intimata non si è difesa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta il vizio di
nullità processuale, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c..
Sostiene che la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi
sulla sua domanda di risarcimento del danno patrimoniale da perdita o
riduzione della capacità di lavoro.

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Udienza del 29 novembre
2017

1.2. Il motivo è inammissibile.
Colui il quale si dolga, in sede di legittimità, del mancato esame
d’un motivo d’appello, ha l’onere – imposto dall’art. 366, nn. 3 e 6,
c.p.c., di allegare di avere già proposto, in primo grado, la domanda
che assume non esaminata; di indicare cosa decise al riguardo il primo

riproposta in appello.
Questa corte ha infatti già più volte affermato che quando sia
denunciato in sede di legittimità un error in procedendo, “il ricorso deve
indicare da quali atti del precedente giudizio [tale errore] è desumibile,
e pertanto, nel caso di impugnazione per omessa pronuncia su una sua
domanda, per evitare che la Corte Suprema dichiari inammissibile il
motivo per novità della censura, il ricorrente deve indicare in quali atti,
e con quali specifiche frasi in essi contenute, l’ha proposta dinanzi al
giudice di merito” (così Sez. 3, Sentenza n. 7194 del 30/05/2000; nello
stesso senso, Sez. 3, Sentenza n. 15700 del 08/11/2002; Sez. 3,
Sentenza n. 10410 del 18/07/2002; Sez. 5, Sentenza n. 9458 del
28/06/2002).

1.3. Delle tre suddette allegazioni (con quale atto ed in quali termini
venne proposta la domanda di risarcimento del danno patrimoniale da
riduzione della capacità di lavoro; come venne decisa dal Tribunale;
come venne riproposta in appello), il ricorso oggi in esame contiene e per di più in termini assai generici – solo la terza: si legge, infatti, a
pag. 9, terzo capoverso, del ricorso, che “con l’atto d’appello il Favuzza
lamentava (…) la esclusione della incidenza dei postumi sulla capacità
lavorativa (si legge testualmente ‘lo stesso consulente d’ufficio aveva
inopinatamente escluso che i postumi invalidanti inciderebbe sulla
capacità lavorativa specifica’, vedi pagina 9) richiamandosi, altresì, alle
conclusioni a cui era giunto il proprio consulente tecnico di parte”.

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giudice; e di dedurre infine in che termini quella domanda venne

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Nulla, invece, si dice circa la rituale proposizione della domanda di
risarcimento del danno da incapacità di lavoro in primo grado, né
sull’esito che tale domanda ebbe nella decisione del Tribunale.
Da qui discende l’inammissibilità del motivo di ricorso in esame.

2.1. Con questo motivo, che viene formulato in via subordinata al
rigetto del primo, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe
omesso di esaminare il “fatto decisivo” rappresentato dalla
compromissione della sua capacità lavorativa.

2.2. Il motivo è inammissibile dal punto di vista della logica formale,
prima ancora che dal punto di vista giuridico.
Delle due, infatti, l’una:
(-) se il primo motivo fosse stato fondato, e dunque se la domanda
di risarcimento del danno da incapacità lavorativa fosse stata
effettivamente formulata, la sentenza sarebbe viziata per omessa
pronuncia, ed il secondo motivo resterebbe assorbito;
(-) se il primo motivo fosse – come è – inammissibile, a causa della
mancata allegazione di avere ritualmente e tempestivamente
formulato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, ciò vuol
dire che non è possibile stabilire se la domanda in questione vi fu; e se
domanda non vi fu, non è nemmeno concepibile un vizio di omesso
esame del “fatto decisivo”.

2.3. Aggiungasi, in ogni caso, che anche il vizio di omesso esame
del fatto decisivo, di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. sarebbe inammissibile
per come prospettato.
Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, hanno stabilito che la
deduzione del vizio di omesso esame del fatto decisivo, ai sensi del

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2. Il secondo motivo di ricorso.

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novellato art. 360, n. 5, c.p.c., esige che il ricorrente indichi non solo
quale fatto materiale sia stato trascurato, ma anche quando sia stato
dedotto, e come sia stato provato (Sez. U, Sentenza n. 8053 del
07/04/2014): e né l’una, né l’altra di tali indicazioni sono contenute nel

3. Le spese.
3.1. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio
dell’intimata.

3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà
atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte
ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater,
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma
17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
Per questi motivi
la Corte di cassazione:
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dall’art. 13, comma 1
quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di Giuseppe
Favuzza di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile

ricorso.

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