Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3036 del 08/02/2013


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Civile Sent. Sez. U Num. 3036 Anno 2013
Presidente: PREDEN ROBERTO
Relatore: PICCIALLI LUIGI

Data pubblicazione: 08/02/2013

SENTENZA
sul ricorso 850-2011 proposto da:
CONDIDORIO BIAGIO, elettivamente domiciliato in ROMA,
2012

PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio

602

dell’avvocato PELLICANO’ ANTONINO, che lo rappresenta e
difende, per delega a margine del ricorso;
– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in
persona del Presidente pro-tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso
l’Ufficio legale dell’istituto stesso, rappresentato e

EMANUELE, TRIOLO VINCENZO, der delega in calce alla
copia notificata del ricorso;

resistente con procura

avverso la sentenza n. 1282/2009 della CORTE D’APPELLO
di REGGIO CALABRIA, depos , ata il 15/12/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/12/2012 dal Consigliere Dott. LUIGI
/

PICCIALLI;
uditi

gli avvocati Antonino PELLICANO’,

Vincenzo

TRIOLO;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott.
RAFFAELE CENICCOLA, che ha concluso per l’accoglimento
del ricorso.

(b
//

difeso dagli avvocati CORETTI ANTONIETTA, DE ROSE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel 1997 Biagio Condidorio adLnei confronti dell’Istituto Nazionale per la Previdenza
Sociale,i1 Pretore di Palmi,in funzioni di Giudice del Lavoro,a1 fine di sentirsi riconoscere,
con conseguente condanna dell’istituto ai relativi pagamenti, i diritti alla corresponsione

disoccupazione agricola,a decorrere dal 121^ giorno dal termine di presentazione delle
relative domande,precisamente dal 30 luglio di ciascun anno fino all’effettiva liquidazione,
nonché alla rivalutazione dell’indennità di disoccupazione ordinaria.nella misura giornaliera
di £ 800 con l’applicazione del meccanismo di adeguamento del valore monetario previsto
dai coefficienti indicati nelle tabelle 1STAT e secondo l’orientamento della Corte
Costituzionale.
Costituitosi l’INPS eccepì l’intervenuta liquidazione delle spettanze pretese,chiedendo la
conseguente declaratoria di cessazione della materia del contendere,a1 riguardo producendo
prospetto tratto dai propri archivi informatici da cui avrebbe dovuto evincersi l’avvenuto
soddisfacimento delle richieste,prova la cui idoneità la ricorrente contestava.
Con sentenza del 12.5.2003 il Giudice del Lavoro del Tribunale di Palmi,subentrato al
soppresso ufficio pretorile,dichiarò cessata la materia del contendere,condannando l’INPS al
pagamento di 1/3 delle spese del giudizio,per il resto compensandole .
A seguito di appello del lavoratore,cui aveva resistito l’INPS, senza tuttavia depositare
nuovamente la documentazione prodotta in primo grado,la Corte d’Appello di Catanzaro.sez.
Lavoro,con sentenza n. 1282 del 15.12.2009,rigettava il gravame.con compensazione
integrale delle spese, considerando che “avendo il primo giudice affermato che dalla
documentazione prodotta dall 7. ,V.P.S nel corso del precedente grado del giudizio risulta
l’avvenuto pagamento del preteso adeguamento, sarehhe stato onere di parte appellante
fornire, in sede di gravame. la prova della Jimdatezza della propria deduzione relativa al /atto
che detta documentazione non fosse idonea a provare l’avvenuto effettivo incasso degli

degli interessi e alla rivalutazione monetaria sulle somme già percepite a titolo di indennità di

importi pretesi. Parte (menante avrebbe dovuto,quindi.produrre,a prescindere dalla
posizione difensiva assunta in questo secondo grado del giudizio dall UV. P..S”..copia della
documentazione già prodotta in prime cure dal medesimo istituto previdenziale e ci() in
applicazione di quanto in maniera del tutto condivisihile osservalo dalla Corte di
Cassazione,a Sezioni Unite,con la sentenza n. 28498/2005 ….”

motivi,rispettivamente deducenti illegittimità per violazione e/o falsa applicazione dell’art.
436 c.p.e…del principio del contraddittorio e del giusto processo ex art. 111 Cost. motivazione illogica e contraddittoria – e “illegittimità per difetto assoluto di motivazione – .
censure poi ulteriormente illustrate con successiva memoria.
L’INPS si é costituito con procura ai di lensori,per la partecipazione alla discussione
All’esito della pubblica udienza del 7.2.2012.con ordinanza interlocutoria depositata il
26.3.2012, la sezione lavoro di questa Corte,ravvisando ragioni di dissenso rispetto al
principio enunciato nella sentenza richiamata dalla corte di merito, ha rimesso il processo al
Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite,che poi ò stata disposta in
considerazione della particolare importanza della questione.
Ulteriore memoria illustrativa è stata.intine, depositata da parte ricorrente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
§1. La questione sulla quale queste Sezioni Unite sono chiamate a pronunziarsi attiene alla
sussistenza o meno,a carico della parte soccombente in primo grado,dell’onere.in grado di
appello.di produrre copia dei documenti prodotti dalla controparte in quello precedente e non
anche nel secondo,sui quali il primo giudice ha fondato la propria decisione.
La Corte d’Appello di Catanzaro ha ritenuto che,a tal riguardo.trovasse applicazione il
principio,già aftèrmato da queste Sezioni Unite nella sentenza n. 24898 del 23.12.2005 ed
espresso nella seguente massima:”L ‘appella/A, è tenuto a .tornire la dimostrazione delle
singole censure,afieso che l’appello, non è più, nella configurazione datagli dal codice

Contro la suddetta sentenza il Condidorio ha proposto ricorso per cassazione affidato a due

vigente, il mezzo per passare da uno all’altro esame della causa ma una “revisio” . fondata
sulla denunzia di specifici – vizi – di ingiustizia o nullità della sentenza impugnata. Ne
consegue che è onere dellappellante,quale che sia stata la posizione da lui assunta nella
precedente ,faxe processuale,produnr.o ripristinare in appello ,se già prodotti in primo
grado,i documenti sui quali egli basa il proprio gravame o comunque anivarsi,anche

copia degli ani del fascicolo delle altre parti,perché questi documenti possano essere
sottoposti all’esame del giudice di appellaper cui egli subisce le conseguenze della mancata
restituzione del fascicolo dell’altra parte (nella specie rimasta conntmace),quando questo
contenga documenti a lui ,favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il
giudice di appello non ha quindi avuto la possibilità di esaminare”,
Il ricorrente ha sostenuto, con il primo,già citato, motivo del proprio ricorso per cassazione
che,avendo ella contestato nel corso del giudizio di merito l’avvenuto pagamento e
gravando, anche in grado di appello, sull’Istituto convenuto l’onere della prova del fatto
estintivo della propria obbligazione, sarebbe stato onere di quest’ ultimo.e non della
deducente, produrre nuovamente,anche in considerazione del dovere di lealtà processuale, al
riguardo pure affermato nella citata pronunzia di legittimità,la relativa documentazione.
La Sezione Lavoro di questa Corte,pur ritenendo pertinente alla fattispecie il sopra riportato
principio di diritto, in concreto applicato dal giudice di secondo grado, ha tuttavia ravvisato
ragioni di dissenso rispetto allo stesso,sulla base due essenziali considerazioni, secondo cui:
a) la facoltà, riconosciuta a ciascuna delle parti dall’art. 76 disp. att. c.p.c.,di estrarre copia
dei documenti contenuti nel fascicolo dell’altra,non comporterebbe un deroga alle regole
generali di riparto probatorio contenute nell’art. 2697 c.c..sicche la circostanza che non se
ne sia avvalsa l’appellante non esonererebbe l’appellato dall’onere della prova, ove su di lui
ancora ricadente secondo i principi generali; h) conseguentementein virtù del medesimo
principio, l’onere del convenuto. ancorchè vittorioso in primo grado,di provare il fatto
3

“.

avvalendosi della facoltà,ex art. 76 disp. alt. cod. proc.civ. ,ditarsi rilasciare dal cancelliere

dedotto con l’eccezione accolta, permarrebbe anche in grado di appello.non venendo meno
per il solo fatto che l’appellante non abbia prodotto i documenti sui quali si siano fondate le
avverse eccezioni.
§ 2. La prima questione che si pone è se il principio enunciato nella citata pronuncia di queste
Sezioni Unite si attagli,come ritenuto sia dalla corte di merito,sia dalla sezione rimettente,alla

Il caso esaminato nella sentenza n. 28498/05 riguardava una questione.se non perfettamente
sovrapponibile,in gran parte analoga a quella oggetto della presente causa, riferendosi ad
un giudizio in cui il giudice di primo grado aveva accolto una domanda revocatoria proposta
da una curatela fallimentare,con sentenza che era stata impugnata dalla parte soccombente.
deducendo che i documenti prodotti da quella attrice, sui quali il primo giudice aveva fondato
la propria decisione, non dimostrassero la scientia decoctioni.s’ da parte del terzo. Il giudice
d’appello, poiché la curatela,non costituitasi in secondo grado e rimasta contumace,non
aveva depositato il proprio fascicolo,accolse il gravame rigettando la domanda revocatoria,
decisione quest’ultima che fu cassata con rinvio da queste Sezioni Unite, enunciando il
principio in precedenza riportato,sulla scorta delle motivazioni di cui si dirà oltre.
Le differenze tra quella vicenda processuale e la presente.costituite dal ruolo inverso
rivestito dalle parti in primo grado ( nella precedente, attrice quella vincitrice,convenuta
quella soccombente,viceversa nella presente ) e dallo stato di contumacia della parte
appellata in quel giudizio (mentre nel presente tale parte risulta costituita),non si ritengono
significative e di rilevanza tale da escludere la conferenza del principio in discussione alla
controversia in esame, considerato che anche in questa si pone la questione del riparto
dell’onere probatorio, in un contesto nel quale la mancata disponibilità da parte del giudice di
secondo grado dei documenti prodotti da una delle parti, ritenuti decisivi da quello di primo.
è comunque dovuta ad una scelta processuale della parte appellata, in virtù della qualc‘,s,-ia nel
caso in cui sia rimasta contumace,sia in quello in cui,pur costituita,abbia ritenuto di non
4

fattispecie in esame.

(ri)produrli, il materiale probatorio sottoposto al giudice di appello è risultato diverso,per
di fetto,rispetto a quello esaminato dal primo giudice.
§ 2. Stabilita,dunque,fattinenza alla fattispecie del principio di diritto rimesso in discussione
dalla sezione rimettente,ne vanno riesaminate le motivazioni,a1 fine di stabilire se le stesse
siano tali da mantenerlo fermo.oppure rivederlo.alla luce delle obiezioni sollevate

Il ragionamento seguito nella citata sentenza del 2005 (il cui principio era stato chiaramente
affirmato,in precedenza da una sola pronunzia di legittimità.la n. 5627 del 1998, sulla base
tuttavia di iter logico — giuridico parzialmente diverso),si fonda sui seguenti essenziali
passaggi argomentativi :
a) nella vigenza del codice di procedura civile del 1865 l’ “appellazione’ dava luogo ad
un novum iudicium,nell’ambito del quale i criteri di riparto dell’onere probatorio
rimanevano immutati rispetto a quelli regolanti il giudizio di primo grado ,.
b)

detto connotato,già notevolmente attenuato nel nuovo codice del 1940 dalle
disposizioni contenute negli artt. 342,345 e 346 c.p.c,a seguito delle profonde
modifiche apportate dalla legge n.353 del 1990,non è più riscontrabile nell’attuale
processo civile, nel cui ambito il giudizio di appello costituisce ormai una revisto
prioris instantiae, incanalata negli stretti limiti devoluti con i motivi di gravame:

e) tale processo evolutivo ha comportato riflessi anche sul riparto dell’onere della
prova, con l’effetto che,potendo il giudice di appello conoscere soltanto degli
specifici “vizi di ingiustizia o nullità” della sentenza di primo grado.dedotti
dall’appellante, questi è conseguentemente gravato dall’onere di provare le censure
mosse alla decisione impugnata e,pertanto,di mettere a disposizione del secondo
giudice quello stesso materiale probatorio sulla base del quale è stata assunta la
pronunzia gravata.

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nell’ordinanza interlocutoria o di altre eventuali ragioni ravvisabili da queste S.U.

§ 3. Alla citata sentenza di queste SAI che.accolta con riserve nei primi commenti,ha
successivamente suscitato,sul fronte dottrinario,pochi consensi e molte voci dissenzienti (in
linea di massima attestate sulla necessità di applicazione, anche in appello, dell’art. 2697
cod. eiv sotto la tradizionale ottica sostanziale),si sono adeguate la maggior parte delle
successive pronunzie sezionali di legittimità (non sempre,tuttavia, traendo dal pur richiamato

Del tutto difformi dall’indirizzo suddetto risultano,invece,la sentenza n. 78 dell’8.1.2007
della seconda sezione (relativa ad un caso pressocchè in termini rispetto a quello esaminato
dalle Sezioni Unite nel 2005, costituito da un’azione revocatoria accolta in primo grado_che
tuttavia era stata respinta in secondo, per la mancata disponibilità del fascicolo della
contumace appellata e,dunque,dei documenti, sulla base dei quali il primo giudice era
pervenuto all’accoglimento) e quella n. 8528 del 12.4.2006 della sezione lavoro ( relativa ad
un caso di rigetto in appello, per ritenuta insussistenza della prova della dedotta cessione di
credito,di una domanda,che in primo grado era stata accolta sulla scorta della
documentazione prodotta dal cessionario attore. rimasto tuttavia contumace in secondo).in
ambo le quali la conferma della sentenza di appello,reiettiva della domanda già accolta dal
primo giudice,è stata giustificata con la ritenuta insussistenza della prova, ancora incombente
sulla parte attrice appellata, ancorchè contumace,in ordine ai fatti costitutivi della pretesa
azionata. Comune a tali decisioni (nelle cui motivazioni,peraltro,non compare alcun cenno
alla sentenza n. 28498 del 2005) è la negazione dell’esistenza nell’attuale sistema
processuale di un “principio di immanenza – della prova documentale,tale da comportare
l’acquisizione irreversibile di quelle prodotte in primo grado dalla parte risultata
vittoriosa,ritenendosi che invece anche il giudice di appello debba decidere la controversia
juxia alligata ci probala, procedendo ad un autonomo e diretto riesame del materiale
probatorio posto a sua disposizione,con la conseguenza che la parte risultata vittoriosa in
primo grado, rimanendo contumace in appello, così da non consentire al secondo giudice

principio, coerenti conclusioni nei casi concreti ).

detto nuovo esame, non possa che risultare soecombente, per non aver fornito la prova della
sua pretesa sostanziale.

Tali conclusioni,in tema di riparto probatorio,risultano condivise dalla Sezione 1.,avoro
nell’ordinanza rimettentedaddove si osserva che

– oggetto del giudizio di appello L’, il

rapporto sostanziale controverso in primo grado, devoluto al giudice di superiore attraverso

novo del medesimo rapporto ,facendo usofra l’altro,della regola !Ondata sull’onere della
prova ai sensi dell’art. 2697 c.c.”,soggiungendosi che,pur nel contesto di un sistema che
concepisce il giudizio di appello quale revisio prioris instantiae anziché di riesame, la
cognizione del relativo giudice,quando i motivi d’impugnazione riguardino il merito.
sarebbe comunque ‘.`finalizzata alla pronuncia sulle condizioni dell ‘azione, allo stesso modo

della pronuncia del giudice di primo grado.e in questo ambito il criterio dell’onere della
prova mantiene un ruolo inderogabile- .
,§ 4. Premesso quanto preeede,ritengono queste Sezioni Unite di dover mantenere fermo il
principio enunciato nella propria precedente sentenza del 2005fin considerazione anzitutto
delresigenza,di carattere generale,evidenziata in recenti pronunzie di questa Corte,secondo
cui,nei casi in cui una norma processuale si presti a due possibili alternative
interpretazioni,ciascuna compatibile con la lettera della legge.ragioni di continuità
dell’applicazione giurisprudenziale e di affidabilità della funzione nomotilattica devono
indurre a privilegiare quella consolidatasi nel tempo,a meno che il mutamento del contesto
processuale o l’emersione di valori prima trascurati non ne giustifichino l’abbandono.
consentendo la conseguente adozione delle diversa opzione ermeneutica (v. S.U. n.
13620/12, n. 1086/11).
Tali condizioni ,atte a giustificare un ripensamento si ffatto,non si ravvisano con riguardo alla
tematica in discussione.

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gli specifici mezzi d’impugnazione (tcintimi devolutum …),si che quel giudice conosce ex

Benvero,le doglianze del ricorrente.di cui si è fatta carico l’ordinanza rimettente,nel solco
delle principali obiezioni sollevate nelle citate voci di dissenso dominali e
giurisprudenziali,non hanno colto il nucleo argomentativo essenziale su cui si è basata quella
decisione,nella quale si è avuto modo di evidenziare,attraverso la ricostruzione storico -.normativa dell’istituto (cui si rimanda), come il processo evolutivo subito dal giudizio di

vari interventi modificativi apportati dal legislatore, sia pervenuto ad uno stadio tale,in cui il
gravame rappresenta ormai non più un mezzo per procedere al riesame della causa,quale
rinnovo totale o parziale, secondo i criteri tradizionali del noviiin iudicium , della disamina
del merito di cui una parte si sia dichiarata insoddisfatta, costituendo bensì una revisione
basata sulla deduzione di specifici vizi di illegittimità,formale o sostanziale, della sentenza
di primo grado,la dimostrazione della cui fondatezza non può.dunque, che gravare
sull’appellante, che tale revisione ha chiesto.
Tale linea di tendenza,improntata allo snellimento complessivo,nell’ottica costituzionale
della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.),di quello eivilearcentemente
completato dall’intervento legislativo di cui all’art. 54 del D.L. 22.6.12 n. 83.conv. con
modd. nella L. 7.8.2012 (che ha ulteriormente disciplinato e “tecnicizzato” l’onere di
specificità di cui all’art. 342 e.p.c., eliminato il potere discrezionale del giudice di appello di
ammettere documenti nuovi,già previsto dal terzo comma dell’art. 345 c.p.c., ed introdotto il
c.d. “filtro” di ammissibilità con i nuovi artt. 348 bis e 348 ter c.p.c.,quest’ultimo finalizzato
alla preliminare verifica di completezza dell’appello,a1 fine della valutazione della
ragionevole probabilità di accoglimento del gravame),era comunque già approdata, all’epoca
dell’arresto giurisprudenziale che in questa sede si conferma.ad una fase in cui quei caratteri
di marcata e preminente connotazione processuale della

rcvisio

imponevano una radicale, profonda, rivisitazione del ruolo delle parti nell’ambito del
giudizio di appello. Costituendo, infatti, quest’ultimo una seconda e solo eventuale fase

appello, a partire dall’entrata in vigore del codice di procedura civile del 1940. attraverso i

(peraltro non generalizzata e priva di copertura costituzionale) del giudizio di
merito,comportante un inevitabile rallentamento della relativa definizione, più coerente
all’attuale connotazione del gravame, nel contesto non -nativo di maggior rigore che ormai
lo caratterizza,deve ritenersi la nuova concezione del ruolo dell’appellante,da intendersi
quale parte processualmente attrice (quale che sia stata la sua posizione nel giudizio di

revisionale anzidetto,quale è oggi quello di secondo grado. Essendo questo finalizzato alla
riforma di una decisione, quella del primo giudiee.che nel vigente sistema è da tempo
assistita da una vera e propria presunzione di legittimità (la cui più significativa espressione
è costituita dalla disposizione dell’art. 337 c.p.c.,come sostituito dalla “novella – I..
n.353/90.prevedente la regola,salve poche eccezioni. dell’esecutorietà della sentenza.pur in
pendenza del gravame), la parte appellante è tenuta,a1 fine del relativo superamento, ad
approntare ogni mezzo processuale posto a sua disposizione dall’ordinamento (così,dunque
e segnatamente,ad avvalersi della facoltà prevista dall’art. 76 disp. att. c.p.c.,di ottenere dalla
cancelleria copia dei documenti prodotti dalle altre parti) ed indipendentemente dalla,più o
meno prevedibile, condotta processuale della controparte, al fine di dimostrare l’ingiustizia o
l’invalidità della sentenza impugnata..
In sifratto contesto,allorquando l’appellante assuma che l’errore del primo giudice si annidi
nell’interpretazione o valutazione di un documento, il cui preciso contenuto testuale non
risulti dalla sentenza impugnata,ovvero.pacificamente,dagli atti delle parti,è onere di quella
impugnante metterlo a disposizione del giudice di appello, perché possa procedere al
richiesto riesame,anche nei casi in cui lo stesso sia stato in precedenza prodotto dalla
controparte, risultata vincitrice in primo grado,non sussistendo alcuna norma che imponga a
quest’ ultima,tanto meno ove contumace,di (ri)produrlo nel grado successivo.
In quest’ultimo, invero, tenuto conto dell’odierna,sopra delineata, configurazione del giudizio
di appello, i criteri di riparto probatorio desumibili dalle norme generali di cui all’art. 2697

primo grado,che l’ha vista totalmente o parzialmente soccombente) nell’ambito del giudizio

c.c.,vanno sì applicati,ma non nella tradizionale ottica sostanziale, bensì sotto il profilo
processuale, in virtù del quale è l’appellante, in quanto attore nell` invocata

revisio, a dover

dimostrare il fondamento della propria domanda, deducente l’ingiustizia o invalidità della
decisione assunta dal primo giudice,onde superare la presunzione di legittimità che l’assiste.
§ 5. Le considerazioni suesposte comportano,dunque,la reiezione del primo motivo di

confutandosi il criterio di riparto probatorio, come sopra ribadito,che è stato correttamente
applicato nella fattispecie dalla corte territoriale
§ 5.1 Infondato è,altresi, il profilo di censura, secondo cui detto giudice di merito avrebbe
anche disatteso l’insegnamento della sentenza n. 28498/05 di queste SU., che al riguardo
avrebbe in realtà richiamato l’obbligo di lealtà processuale, prescritto dall’art. 88 c.p.c., oltre
al principio non codificato della c.d.”immanenza della prova”, alla stregua dei quali il
giudice di appello sarebbe dovuto pervenire ad una soluzione della controversia opposta
rispetto a quella adottata.
In proposito è sufficiente osservare che le menzionate considerazioni, contenute nel
paragrafo 8.1 della citata sentenza e correlate al rilievo del “lacunoso dettato normativo” (con
riferimento a non del tutto risolte problematiche connesse al ritiro del fascicolo di parte).non
risultano funzionali,nel contesto complessivo della pronunzia,alla decisione adottata,che si
basa invece esclusivamente sul principio di diritto riportato nella parte iniziale della presente
motivazione.
§ 5.2. Giova comunque osservare che anche il principio c.d “di immanenza della prova”.
ove rettamente inteso, non è di alcun apporto alla tesi sostenuta.
Quando si assume che la prova,una volta entrata nel processo,vi permane e può essere
utilizzata anche dalla parte diversa da quella che l’ha prodotta,i1 principio va inteso con
riferimento non al documento materialmente incorporante la prova,bensì all’efficacia
spiegata dal mezzo istruttorio,virtualmente a disposizione di ciascuna delle parti,delle quali
10

ricorso,nella parte deducente violazione e falsa applicazione di norme processuali,

tuttavia,quella che ne invochi una diversa valutazione da parte del giudice del grado
successivo non è esonerata dall’attivarsi perché lo stesso possa concretamente procedere al
richiesto riesame. Ne consegue che,mentre nessun problema si pone per quelle prove.orali e
verbalizzate o comunque acquisite al fascicolo di ufficio (destinato in base alle norme di rito
a pervenire al giudice di secondo grado),per quanto riguarda quelle documentali.

parte interessata e tenuta alla relativa allegazione,non sia stato in grado di riesaminarlde
stesse, ancorchè non materialmente più presenti in atti (per la contumacia dell’appellato o per
l’insindacabile scelta del medesimo di non più produrle),continuano tuttavia a spiegare la
loro efficacia.nel senso loro attribuito nella sentenza emessa dal primo giudice.la cui
presunzione di legittimità non risulta superata per fatto ascrivibile all’appellante.
Questi, rimasto inerte, pur disponendo di un adeguato mezzo processuale (la richiesta di cui
all’art. 76 disp.att. c.p.c.) per prevenire la sopra esposta situazione di carenza documentale,
deve considerarsi soccombente,in virtù del principio,desumibile dall’art. 2697 c.c.,secondo
cui Odore non probante, reu,s’ absolvitur,
§ 6. Non miglior sorte meritano i prordi di censura del primo mezzo,con riferimento ai vizi
della motivazione.laddove si lamenta che il giudice di appello,pur disponendo di sufficienti
elementi di prova per pervenire alla riforma della sentenza di primo grado, si sarebbe
attestato sull’astratta e formalistica applicazione del principio di diritto in precedenza
esaminato.
§ 6.2 . Sotto un primo profilo,nel quale, si deduce che “l’INPS si è regolarmente costituito
in giudizio e ha depositato il fitscicolo di produzione contenente la documentazione offerta a
supporto dell’eccezione di pagamento svolta in primo grado”,è agevole rilevare come la
doglianza si traduca in una palese censura di carattere revocatorio,ex art. art. 395 n. 4.
deducente (peraltro in palese contrasto con le premesse in fatto delle censure in diritto

11

materializzate nelle produzioni di parte,nei casi in cui il giudice di appello, per l’inerzia della

precedentemente esposte) una vera e propria svista percettiva in cui sarebbe incorso il
giudice di appello,come tale esulante dalla cognizione di questa Corte.
§ 6.3. Sotto il secondo profilo,nel quale si sostiene che il contenuto del

prospetto

“intbrmatico”,ritenuto decisivo dal primo giudice, ancorchè non prodotto in grado di
appello.sarebbe stato comunque chiaramente desumibile dagli altri atti,la censura risulta

nella sentenza di primo grado,oppure nell’atto di appello e/o nella comparsa di costituzione e
risposta dell’I.N.P.S.,senza che al riguardo fosse insorto contrasto tra le parti.
Né al rilevato difetto di specificità può ovviare la trascrizione del documento inserita nel
ricorso a questa Corte,posto che la stessa avrebbe dovuto essere fornita al giudice di appello.
per metterlo in condizione di acquisire sufficiente contezza del gravamenna tanto non è stato
precisato nell’impugnazione di legittimità,né a tale carenza può ovviare la tardiva deduzione,
contenuta soltanto nella seconda memoria illustrativa,secondo cui l’appellante -di tale
documento aveva riportato la compiuta descrizione”,considerato che con le memorie ex art.
378 c.p.c. è possibile soltanto illustrare i motivi dedotti nel ricorso,ma non anche proporre
nuove censure o ovviare a lacune di quelle già esposte.
§ 7. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce ex art. 360 co.1 n. 5 c.p.c che la
Corte d’Appello,ove avesse fatto buon governo dei ” principi del giusto processo – .avrebbe
dovuto accogliere il gravame.essendo il documento,già prodotto dall’I.N.P.S.,in quanto mero
appunto interno, inidoneo a provare l’adempimento della propria obbligazione, in difetto di
un atto di quietanza del debitore, è chiaramente dipendente dal primo c.pertanto,resta
reiettivamente assorbito dal relativo rigetto.
§ 8. Il ricorso va,conclusivamente,respinto.
§ 9. Giusti motivi,tenuto conto che la pronunzia di queste S.U., cui si è conformata la corte
territoriale,non aveva sopito i precedenti contrasti giurisprudenziali ed il dibattito dottrinale.

12

palesemente generica,non precisando se l’eventuale precisa descrizione ne fosse contenuta

tanto da rendere necessario il presente secondo intervento confermativo,comportano infine la
totale compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M
La Corte,a sezioni unite.rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio.
in Roma il 18 dicembre 201,2.

11 Consh ek rei e4.

Il Presidente

Così dee

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