Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30358 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 21/11/2019), n.30358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. R.G.N. 26170/2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con

domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi 12;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI s.p.a., già FONDIARIA-SAI s.p.a., in persona

del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, come

da procura speciale in atti, dall’Avv. Gabriele Escalar, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale

Giuseppe Mazzini, n. 11;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia-Romagna, n. 1602/08/2014, depositata il 25 settembre

2014.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 settembre

2019 dal Consigliere Dott. MICHELE CATALDI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Stanislao De Matteis, che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso principale e di quello incidentale;

udito l’Avv. dello Stato Giovanni Palatiello per la ricorrente

principale e l’Avv. Gabriele Escalar per la controricorrente e

ricorrente incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. UnipolSai Assicurazioni s.p.a., già Fondiaria-Sai s.p.a., propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, n. 1602/08/2014, depositata il 25 settembre 2014 e pronunciata a seguito di cassazione con rinvio della precedente sentenza emessa dalla medesima CTR, in diversa composizione, nello stesso giudizio, all’esito del seguente antefatto:

1. la Renana Assicurazioni s.p.a. (società confluita, per effetto di una serie di fusioni, nell’attuale ricorrente, come è incontestato tra le parti) aveva esposto, nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 1989, un credito d’imposta Irpeg pari ad Euro 1.089.422,96, esercitando nella stessa sede l’opzione per il rimborso;

2. il Centro di servizio delle imposte dirette di (OMISSIS) non rettificava la dichiarazione dei redditi della contribuente nei termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, richiamato dall’allora vigente del D.P.R. n. 787 del 1980, art. 6;

3. dopo una fase istruttoria, comprensiva di due richieste di documentazione rivolte dall’Amministrazione alla contribuente, quest’ultima ha notificato alla prima istanza di rimborso del credito, sulla quale si è formato il silenzio-rifiuto, impugnato dalla società di fronte alla CTP di Bologna, che ha parzialmente accolto il ricorso, riconoscendo dovuto il minor credito d’imposta di Euro 1.089.422,96; oltre agli “interessi previsti dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44,” ed oltre agli “interessi anatocistici, ex art. 1283 c.c., calcolati al saggio di cui all’art. 1284, dalla data del ricorso al pagamento”. La CTP ha invece respinto la domanda della contribuente di condanna dell’Ufficio anche al risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 1224 c.c.;

4. proposto appello principale dalla contribuente, la CTR dell’Emilia-Romagna lo ha accolto, limitatamente al riconoscimento del maggior importo della sorte del credito d’imposta. La stessa CTR ha invece rigettato l’appello incidentale dell’ufficio, con il quale si contestava la debenza degli interessi anatocistici, ed ha dichiarato il difetto della giurisdizione tributaria sulla domanda relativa al maggior danno da svalutazione monetaria;

5. l’Amministrazione ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando che gli interessi anatocistici non erano dovuti, quanto meno dalla data (il 4 luglio 2007) di entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 50, convertito dalla L. n. 248 del 2006, che ne escludeva la debenza in materia di crediti d’imposta. La contribuente ha presentato ricorso incidentale avverso la statuizione con la quale la CTR ha denegato la propria giurisdizione;

6. questa Corte, con la sentenza n. 17993 del 19 ottobre 2012, ha parzialmente accolto il ricorso principale dell’Agenzia, affermando il principio che gli interessi anatocistici sulle somme dovute a titolo di ritardato rimborso d’imposta al contribuente non si calcola dal 4 luglio 2006, mentre l’art. 1283 c.c., continua ad avere pieno effetto per il periodo anteriore.

Contestualmente, la Corte ha accolto il ricorso incidentale della contribuente, affermando la giurisdizione tributaria anche rispetto alla domanda ex art. 1224 c.c., di quest’ultima. Quindi, cassata la sentenza impugnata per tali motivi, la Corte ha rinviato la causa alla CTR;

7. la contribuente ha riassunto il giudizio e la CTR adita, per quanto qui interessa, ha così deciso:” Dispone il rimborso a favore del ricorrente degli interessi moratori pari ad Euro 1.021.868,91, degli interessi anatocistici pari ad Euro 7.691,50 oltre al maggior danno per rivalutazione monetaria pari ad Euro 79.030,24. (…)”;

8. proposto dall’Agenzia ricorso per la cassazione della sentenza d’appello emessa dal giudice del rinvio, la contribuente si è costituita con controricorso, depositando ricorso incidentale, affidato a sei motivi;

9. La contribuente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso principale, l’Agenzia denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., e per violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., e artt. 324 e 384 c.p.c., per avere la CTR disposto la condanna dell’ufficio anche al pagamento “a favore del ricorrente degli interessi moratori pari ad Euro 1.021.868,91”.

Infatti, secondo l’ufficio, il credito d’imposta relativo agli interessi moratori non costituiva più oggetto del contendere tra le parti sin dal momento della proposizione del ricorso per la cassazione della prima sentenza emessa dalla CTR (e poi cassata da questa Corte), atteso che i capi della sentenza in quella sede ancora controversi avevano per oggetto esclusivamente il maggior danno da svalutazione monetaria e gli interessi anatocistici. Circostanza, quest’ultima, confermata dallo stesso ricorso con il quale la contribuente, dopo la sentenza di questa Corte che ha cassato la precedente decisione d’appello, ha riassunto il giudizio presso la CTR, premettendo che “il rimborso del credito in linea capitale e degli interessi primari tributari è avvenuto soltanto con valuta 30.4.2012” (cfr. l’incontestata riproduzione in parte qua dell’atto a pag. 8 del ricorso per il quale qui si procede).

La CTR, quindi, nella sentenza impugnata, pronunciandosi anche sugli interessi moratori, avrebbe errato nel non considerare nè il loro avvenuto adempimento (pur ammesso dalla stessa contribuente); nè l’assenza di una specifica domanda sul punto da parte della contribuente nel giudizio di rinvio; nè, comunque, l’eccedenza della pronuncia adottata sul punto dallo stesso giudice del rinvio, rispetto al perimetro del contenzioso risultante dalla sentenza con la quale questa Corte aveva cassato con rinvio la precedente decisione d’appello; nè, dunque, l’esistenza di un giudicato, interno al giudizio, sul punto.

2. Con il secondo motivo di ricorso principale, l’Agenzia denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per contrasto insanabile tra la sua motivazione ed il suo dispositivo, atteso che dalla prima si ricaverebbe che l’importo tuttora dovuto dall’Ufficio alla contribuente non comprenderebbe anche la cifra di Euro 1.021.868,91, a titolo di interessi moratori, oggetto invece della condanna statuita nel secondo.

3. Il primo ed il secondo motivo, che per la loro stretta connessione vanno trattati congiuntamente, sono fondati, sia pur nei termini che subito si illustreranno, e vanno accolti.

Infatti le parti, concordemente, danno atto che la sentenza della CTP di Bologna, ha ritenuto dovuti, oltre alla sorte capitale, anche gli “interessi previsti dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44”, disposizione che, nel comma 2, rinviando al precedente art. 41, comma 2, prevede, per i crediti di imposta derivanti dalla liquidazione delle dichiarazioni effettuata ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, la maturazione al compimento di ogni singolo semestre, escluso il primo, successivo alla data della presentazione della dichiarazione, degli accessori calcolati al tasso legale di cui al comma 1, vigente al momento della scadenza di ciascun semestre (cfr. in materia Cass., 14/12/2016, n. 25684).

E’ altrettanto pacifico, per la congruente ricostruzione fornita da ciascuna delle parti, che tale statuizione non è stata oggetto delle impugnazioni proposte via via dai contendenti nel corso dei precedenti gradi di questo giudizio, e non era quindi neppure oggetto del rinvio disposto da questa Corte con la sentenza che ha cassato la precedente decisione d’appello, nel corso del quale anzi la stessa contribuente aveva dato atto di aver già ricevuto, il 30 aprile 2012, il rimborso del credito e degli “interessi primari tributari” (cfr. controricorso, pag. 16, ult. cpv. del paragrafo 7.1).

Peraltro, a conferma che gli interessi in questione erano stati già pagati, unitamente alla sorte, dall’Amministrazione alla contribuente, ed il loro adempimento non era più controverso nei giudizio di rinvio, rileva anche la circostanza che in questa sede la controricorrente società, pur nell’ambito dell’articolata difesa esposta nel controricorso, non ha specificamente contrastato il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, concentrandosi invece sull’opposizione al terzo motivo, oltre che sull’impugnazione incidentale.

Ha pertanto errato il giudice a quo quando, nel dispositivo della sentenza impugnata, ha condannato l’ufficio a pagare alla contribuente anche gli “interessi moratori pari ad Euro 1.021.868,91”, essendo incontestato che, dal punto di vista processuale, il credito relativo a tali accessori era stato già accertato dalla sentenza di primo grado (che, per relationem con la norma richiamata, ne aveva determinato l’an debeatur, il saggio di computo ed il dies a quo, mentre il dies ad quem era incontestato, coincidendo con il pagamento del 30 aprile 2012) e non era più oggetto del contenzioso tra le parti nel giudizio di rinvio.

Inoltre, sotto l’aspetto sostanziale, lo stesso credito era stato estinto dall’adempimento, in parte qua, dell’Ufficio, avvenuto il 30 aprile 2012 ed evidentemente ritenuto satisfattivo dalla contribuente, atteso che, per quanto qui risulta, il giudizio sul punto non è proseguito.

Dunque, il giudice a quo ha violato i limiti del petitum nel dispositivo, condannando l’Amministrazione al pagamento di un credito per accessori che esulava dalle domande ancora pendenti della contribuente e che risultava anche pacificamente estinto.

Vanno pertanto accolti, nei predetti termini, i primi due motivi del ricorso principale e va cassata la sentenza impugnata nella parte in cui: “Dispone il rimborso a favore del ricorrente degli interessi moratori pari ad Euro 1.021.868,91(…)”.

4. Con il terzo motivo di ricorso principale, l’Agenzia denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1219 e 1224 c.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, per avere il giudice a quo affermato, ai fini della decisione sulla ricorrenza del maggior danno da svalutazione monetaria, che la scadenza del termine di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, costituisca in mora ex re l’Amministrazione relativamente al credito per il rimborso spettante alla contribuente. Invece, secondo l’Agenzia, la costituzione in mora dell’Amministrazione si produrrebbe solo a seguito della valutazioni di quest’ultima circa la spettanza del rimborso, che potrebbero intervenire nel termine prescrizionale decennale.

Inoltre, secondo la ricorrente, nel caso in cui il diritto al rimborso sia stato accertato in sede giudiziale, la mora si produrrebbe solo a seguito della sentenza che riconosce il credito del contribuente, con decorrenza degli accessori dal passaggio in giudicato di tale decisione.

Il motivo è infondato, atteso che esso si pone in contrasto con la stessa allegazione, da parte della ricorrente Agenzia, di un giudicato interno relativo agli “interessi previsti dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44”.

Infatti, l’accertamento e la quantificazione di un eventuale danno risarcibile, subito dalla contribuente per effetto del ritardato adempimento dell’obbligazione di rimborso de qua, postula necessariamente l’allegazione e la prova (da valutarsi con particolare rigore relativamente ai crediti nei confronti dell’erario, in considerazione della specificità della disciplina dell’obbligazione tributaria) di un pregiudizio economico che ecceda il ristoro forfettario già assicurato dagli interessi moratori riconosciuti dal predetto art. 44, ed applicabili al caso concreto (Cass., 10/06/2016, n. 11943; Cass., 28/06/2017, n. 16087).

Pertanto, l’accertamento e la quantificazione dell’ipotetico e differenziale “maggior danno” presuppongono necessariamente il previo accertamento degli interessi legali, che lo stesso Ufficio assume già definitivamente avvenuto con la sentenza della CTP, passata in giudicato sul relativo capo.

E’ pertanto lo stesso giudicato interno eccepito dall’Agenzia ricorrente che preclude di procrastinare (quali che ne siano le ragioni), relativamente alla medesima obbligazione, l’insorgenza della mora debitoria, rispetto al dies a quo già accertato irretrattabilmente attraverso il rinvio al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44, e quindi coincidente con il secondo semestre successivo alla data della presentazione della dichiarazione nella quale il credito è stato esposto.

5. Con il primo motivo di ricorso incidentale, la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per la natura meramente apparente della sua motivazione, nella parte in cui ha ritenuto che il maggior danno da svalutazione monetaria ammonterebbe alla minor somma di Euro 79.030,24, piuttosto che a quella domandata di Euro 1.497.477,23.

6. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, subordinato all’eventuale rigetto del primo, la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1219,1224,1282 e 1284 c.c., per avere il giudice a quo quantificato, in misura inferiore a quella domandata, il maggior danno da svalutazione monetaria in ragione della differenza tra gli interessi legali ed un parametro diverso dal tasso di rendimento netto dei titoli di Stato di durata non superiore ai dodici mesi, richiamato invece dalla giurisprudenza di legittimità citata nella motivazione della medesima sentenza.

7. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, subordinato all’eventuale rigetto del primo e del secondo, la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere il giudice a quo erroneamente escluso che, per alcuni degli anni nei quali la mora dell’Ufficio si è protratta (e specificamente per il periodo 1993-1996, per quello 2002-2005, per quello 2009-2010 e per il 2012), non risulterebbe una differenza rilevante tra il rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato e gli interessi legali, nonostante risultasse diversamente (fatto salvo il 1998) dalle rilevazioni della Banca d’Italia prodotte dalla contribuente nel giudizio di rinvio.

8. I primi tre motivi di ricorso incidentale, per la loro connessione, vanno trattati congiuntamente e sono infondati.

Non ricorre, infatti, la fattispecie della motivazione apparente, configurabile quando essa, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. U,

03/11/2016, n. 22232).

Nel caso di specie, la CTR ha esplicitato invece il ragionamento seguito nell’applicazione del principio espresso dalla citata Cass., Sez. U., 16/07/2008, n. 19499, secondo cui, nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), (fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva). Infatti, nella motivazione si spiega che l’accertamento e la liquidazione del maggior danno sono stati effettuati dal giudice a quo proprio attraverso la comparazione tra i predetti parametri, conducendo al riconoscimento di un ulteriore pregiudizio risarcibile solo quando, da tale raffronto, sia emerso che, in uno o più frazioni temporali nelle quali la mora è perdurata, il saggio medio di rendimento netto dei predetti titoli di Stato sia stato superiore al saggio degli interessi legali.

Neppure sussiste l’errore di diritto derivante dalla pretesa applicazione, da parte della CTR, di un parametro diverso dal tasso di rendimento netto dei titoli di Stato, di durata non superiore ai dodici mesi, richiamato dalla citata giurisprudenza di legittimità.

Infatti, nella motivazione della sentenza impugnata, viene espressamente menzionato proprio tale criterio, e non si evidenzia in tale enunciazione nessuna ambiguità o incertezza sul punto.

Tanto meno, infine, si configura il denunciato vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito nella L. n. 134 del 2012, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Infatti, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., 29/10/2018, n. 27415).

Al fine dell’assunta omessa considerazione della circostanza che, in alcuni degli anni della mora, il predetto tasso di rendimento netto dei titoli di Stato è stato superiore al saggio degli interessi legali, non è sufficiente dedurre che la CTR non abbia esaminato la documentazione relativa al primo parametro, attinente a rilevazioni provenienti dalla Banca d’Italia, prodotta a sostegno del proprio calcolo dalla contribuente e riprodotta nel corpo del controricorso. Invero, dalla motivazione risulta invece che il giudice a quo ha espressamente valutato il fatto (dimensione del c.d. “rendistato”) in questione, oltre che lo stesso prospetto di calcolo fornito dalla contribuente, ma ritenuto carente proprio in merito all’operazione di “sottrazione” destinata ad evidenziare l’eventuale differenziale.

Il complessivo esame dei primi tre motivi di ricorso incidentale evidenzia piuttosto che, tramite ciascuno di essi, la contribuente miri ad attingere il merito della valutazione in fatto effettuata dal giudice dell’appello in ordine alla sussistenza del “maggior danno”, ciò che in questa sede di legittimità non è ammissibile.

9. Con il quarto motivo di ricorso incidentale la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il giudice a qua riconosciuto gli interessi anatocistici dal giorno (11 ottobre 2011) della domanda giudiziale (ovvero dal ricorso presso la CTP, con il quale è stato impugnato il diniego del rimborso), mentre la stessa contribuente, già nel medesimo ricorso introduttivo, ne aveva domandato la liquidazione sugli interessi primari maturati prima della proposizione del ricorso di primo grado (dall’1 gennaio 1992 all’11 ottobre 2001).

10. Con il quinto motivo di ricorso incidentale, subordinato all’eventuale rigetto del quarto, la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 384 c.p.c., per non essersi il giudice a quo uniformato al principio di diritto di cui alla sentenza di questa Corte n. 17993 del 19 ottobre 2012, che ha parzialmente accolto il ricorso principale dell’Agenzia ed ha cassato la precedente sentenza d’appello, affermando il principio che “In tema di rimborsi d’imposta (nella specie relativi ad IRPEG), gli interessi anatocistici sulle somme dovute a titolo di ritardato rimborso di imposta al contribuente non sono dovuti a decorrere dal 4 luglio 2006, data di entrata in vigore del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 50, convertito in L. 4 agosto 2006, n. 248, mentre il principio dettato dall’art. 1283 c.c., continua ad applicarsi per il periodo anteriore, attesa la portata innovativa e non interpretativa del citato art. 37, comma 50.”.

11. Con il sesto motivo di ricorso incidentale, subordinato all’eventuale rigetto del quarto e del quinto, la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1283 c.c., per avere il giudice a quo riconosciuto il diritto della contribuente agli interessi anatocistici esclusivamente sugli interessi primari maturati tra la data di presentazione del ricorso introduttivo del primo grado ed il 4 luglio 2006, e non anche sugli interessi semplici maturati dall’inizio della mora dell’Amministrazione e sino alla proposizione del ricorso presso la CTP.

12. Il quarto, il quinto ed il sesto motivo sono connessi, vanno trattati congiuntamente e sono fondati nei termini che seguono.

Infatti, l’art. 1283 c.c., così dispone: “In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi.”.

Pertanto, la condanna al pagamento degli interessi anatocistici presuppone che si tratti di interessi accumulatisi per almeno sei mesi alla data della domanda e che la parte cui l’effetto di capitalizzazione giova li chieda in giudizio con una domanda specificamente rivolta ad ottenere la condanna al pagamento di quegli interessi che gli interessi già scaduti, ovverosia il corrispondente capitale, da tale momento in poi produrranno (Cass., 18/01/2017, n. 1164).

Ha violato pertanto la predetta disposizione la sentenza impugnata nella parte in cui, così come risulta dalla motivazione, non ha preso in considerazione, al fine del calcolo degli “interessi sugli interessi”, gli accessori primari già scaduti ed accumulatisi per almeno sei mesi alla data della domanda, che costituiscono, nella sostanza, la “sorte” degli interessi anatocistici.

13. Il relativo capo della sentenza impugnata va quindi cassato e la causa va rimessa alla CTR, in diversa composizione, affinchè, premesso il dies a quo degli interessi semplici già accertato irretrattabilmente attraverso il rinvio al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44, (e quindi coincidente con il secondo semestre successivo alla data della presentazione della dichiarazione nella quale il credito d’imposta è stato esposto), calcoli, sugli stessi interessi primari già scaduti ed accumulatisi per almeno sei mesi alla data del ricorso introduttivo, anche gli interessi anatocistici maturati nel periodo intercorso tra la stessa domanda (11 ottobre 2011) ed il 4 luglio 2006 (data di entrata in vigore del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 50, convertito in L. 4 agosto 2006, n. 248, che ne ha escluso l’ulteriore debenza).

P.Q.M.

Accoglie, nei termini di cui in motivazione, il primo ed il secondo motivo del ricorso principale;

rigetta il terzo motivo del ricorso principale;

cassa, in relazione ai motivi del ricorso principale accolti, la sentenza impugnata;

rigetta il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale;

accoglie, nei termini di cui in motivazione, il quarto, il quinto ed il sesto motivo del ricorso incidentale;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi di ricorso incidentale accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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