Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30357 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 21/11/2019), n.30357

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. R.G.N. 6118/2014 proposto da:

D.G., rappresentato e difeso, come da procura speciale in

atti, dagli Avv.ti Salvatore Capomacchia e Cesare Persichelli, con

domicilio eletto presso lo Studio di quest’ultimo in Roma, via

Crescenzio n. 20;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con

domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli

Venezia-Giulia n. 82/01/13, depositata il 18 luglio 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 settembre

2019 dal Consigliere Dott. MICHELE CATALDI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Stanislao De Matteis, che ha concluso per il rigetto

del ricorso;

udito l’Avv. dello Stato Giovanni Palatiello per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. D.G. propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia-Giulia n. 82/01/13, depositata luglio 2013, che ha rigettato parzialmente il suo appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Udine, che aveva accolto solo in parte il ricorso del contribuente contro l’avviso d’accertamento con il quale l’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, e ss., aveva rettificato, ai fini IRPEF, il reddito dichiarato dal contribuente per l’anno d’imposta 2006.

2. Infatti, l’Ufficio – dopo aver inviato al contribuente il questionario con il cui richiedeva, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, la documentazione relativa ai beni patrimoniali disponibili ed alle spese per incrementi patrimoniali di cui al periodo interessato – aveva fondato l’accertamento sintetico:

– sulla disponibilità di alcuni beni (due autovetture) le cui spese di mantenimento erano imputate integralmente al contribuente; oltre che di altri beni (due residenze secondarie) rispetto ai quali le spese di mantenimento gli erano attribuite solo in parte;

– su due assicurazioni, con relativi premi annui, imputate interamente al contribuente;

– sulle spese, per incrementi patrimoniali nel quinquennio 2006/2010, per un importo complessivo, al netto dei disinvestimenti realizzati, di Euro 67.921,00.

Concludeva pertanto l’Ufficio che il reddito dichiarato dal contribuente nel periodo d’imposta accertato si discostava di oltre un quarto da quello sinteticamente determinabile in base ai predetti indici, rideterminando quindi l’imponibile effettivo e l’imposta dovuta, oltre agli interessi ed alle relative sanzioni.

3. La CTP aveva accolto il ricorso del contribuente limitatamente ad una parte della voce relativa agli incrementi patrimoniali, riducendo conseguentemente il reddito imponibile accertato.

4. Proposto appello principale dal contribuente, la CTR lo ha accolto solo in parte, ritenendo fondato il secondo motivo di gravame, con il quale il D. ha dedotto l’esistenza, nel periodo accertato, del reddito della moglie convivente, pari ad Euro 5.957,00, quale contributo al mantenimento dei beni-indice, che l’Amministrazione non aveva invece sottratto dal reddito del contribuente sinteticamente determinato.

La CTR ha invece dichiarato inammissibile sia il primo motivo, relativo alla contestata motivazione dell’avviso d’accertamento impugnato; sia tutti gli ulteriori motivi, in quanto mera reiterazione di quelli già proposti dal contribuente in primo grado e quindi non specifici.

Inoltre, la CTR ha rigettato l’appello incidentale dell’Ufficio.

5. Proposto dal contribuente ricorso per la cassazione della sentenza d’appello, l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, è infondata l’eccezione di tardività del ricorso formulata dall’Ufficio controricorrente, atteso che la sentenza impugnata risulta pubblicata il 18 luglio 2013 e l’impugnazione è stata spedita per la notifica dal contribuente il 5 marzo 2014.

Sulla base di tali dati (che sono gli stessi che l’Ufficio ha indicato nel controricorso), il termine c.d. lungo (semestrale, secondo la normativa applicabile ratione temporis) di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, per proporre il ricorso per cassazione, computato ex nominatione dierum, non tenendo conto del dies a quo, sarebbe scaduto il 18 gennaio 2014 (lo stesso giorno, sei mesi dopo la data del deposito della sentenza di appello impugnata). Tuttavia, interferendo con il periodo di sospensione feriale, ratione temporis decorrente dall’1 agosto al 15 settembre, ad esso vanno aggiunti 46 giorni.

Pertanto, il termine c.d. lungo scadeva proprio il 5 marzo 2014, quando il ricorrente ha spedito l’impugnazione per la notifica a mezzo posta, e non già il 3 marzo 2014, come invece eccepito dal contro ricorrente.

2. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42; della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3; della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, e art. 12, comma 7, per avere il giudice a quo dichiarato inammissibile, per eccessiva genericità, il motivo del suo appello relativo alle pretese carenze della motivazione dell’accertamento impugnato, che avrebbe ignorato le prove offerte dal contribuente nel contraddittorio che ha preceduto la sua emissione.

Il motivo è inammissibile, sotto diversi aspetti.

Innanzitutto, infatti, la censura, avendo ad oggetto la declaratoria d’inammissibilità del relativo motivo d’appello per motivi processuali, avrebbe dovuto piuttosto essere proposta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con l’indicazione della norma processuale della quale si assume la violazione.

E’ vero, peraltro, che secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, non costituisce condizione necessaria la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purchè si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia; ne consegue che è ammissibile il ricorso per cassazione che lamenti la violazione di una norma processuale, ancorchè la censura sia prospettata sotto il profilo della violazione di norma sostanziale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, anzichè sotto il profilo dell'”error in procedendo”, di cui al citato art. 360, n. 4, (Cass., 06/10/2017, n. 23381). Tuttavia, nel caso di specie, il ricorrente non si è limitato ad indicare erroneamente la rubrica del motivo, ma ha altresì omesso di richiamare, anche implicitamente, la norma processuale che assume violata, contemporaneamente invocando invece le norme sostanziali che disciplinano la motivazione degli atti amministrativi e tributari, ed argomentando prevalentemente sul punto nel corpo stesso del motivo. Per effetto di tale modalità di redazione, tanto la rubrica, quanto il contenuto del motivo non consentono di identificare inequivocabilmente il contenuto specifico del ricorso, sovrapponendosi ed intersecandosi censure di natura processuale ed altre relative a norme attinenti il merito della lite.

Nè peraltro, potrebbe comunque sostenersi la legittima coesistenza di una censura di diritto sostanziale nello stesso primo motivo, ove si consideri che, comunque, la declaratoria di inammissibilità del predetto motivo d’appello, consumando il potere decisionale del giudice a quo, ha reso inutiliter data ogni ulteriore considerazione generica (“Tale motivo è destituito di fondamento, oltre essere inammissibile…”) della CTR sulla questione.

Giova poi aggiungere che tuttora, nella stessa formulazione del primo motivo di ricorso, il ricorrente omette qualsiasi ulteriore “riferimento ai documenti o prove specifiche indicate dal contribuente che l’Ufficio avrebbe ignorato” (così la sentenza impugnata, pag. 3), e comunque alle argomentazioni che egli avrebbe svolto nel contraddittorio endoprocedimentale, senza neppure specificare quali fossero ed in che sede e forma siano state. Nè, peraltro, il ricorrente contesta specificamente l’affermazione della CTR secondo la quale egli “si è limitato a compilare un questionario senza offrire prove ulteriori” e l’avviso impugnato ha tenuto conto delle sue osservazioni (pag. 5 della sentenza impugnata). Tanto meno, infine, il ricorrente trascrive, almeno nella parte rilevante, la stessa motivazione dell’atto impositivo, tacciata della lamentata carenza.

Il motivo è quindi inammissibile perchè generico e non autosufficiente, non risultando soddisfatti i requisiti posti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3. 4 e 6.

3. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata, nella parte in cui (dopo aver dichiarato inammissibile il primo motivo dell’appello principale e dopo averne accolto il secondo) ha dichiarato inammissibili tutti gli ulteriori motivi “essendo mere riproposizioni di argomentazioni sostenute nel ricorso di primo grado e non contengono censura specifica alle motivazioni logico-giuridiche contenute nella sentenza impugnata laddove l’impugnazione deve caratterizzarsi per la specificità dei motivi a pena di inammissibilità.” Il motivo è fondato e va accolto.

Infatti, come sostenuto dal ricorrente, e come questa Corte ha già avuto modo di precisare, nei processo tributario, stante ii carattere devolutivo pieno dell’appello volto ad ottenere il riesame della causa nel merito, l’onere di impugnazione specifica richiesto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, non impone all’appellante di porre nuovi argomenti giuridici a sostegno dell’impugnazione rispetto a quelli già respinti dal giudice di primo grado, specie ove le questioni che formano oggetto del giudizio siano di mero diritto (Cass., 19/12/2018, n. 32838). E’ quindi ammissibile la riproposizione, a supporto dell’appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado (Cass., 23/11/2018, n. 30525). E lo stesso deve dirsi nell’ipotesi in cui sia l’Amministrazione finanziaria a limitarsi a ribadire ed a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado: anche in questo caso deve ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica richiesto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, che costituisce norma speciale rispetto all’art. 342 c.p.c., (Cass., 05/10/2018, n. 24641).

Pertanto, non essendosi la CTR uniformata a tali principi, la sentenza impugnata va cassata in parte qua e la causa va rimessa al giudice a quo affinchè decida sui motivi dell’appello principale del contribuente, diversi da primo e dal secondo.

4. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, e seguenti, affermando che il giudice a quo avrebbe errato nell’affermare che, una volta dimostrata dall’Ufficio la disponibilità, in capo al contribuente e nel periodo rilevante, dei beni considerati dalla norma, e dai decreti ministeriali da essa previsti, indicativi della maggior capacità contributiva, grava sullo stesso contribuente l’onere di fornire la prova contraria, dimostrando il possesso di renditi non tassabili.

Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38; del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22; e del D.M. 24 dicembre 2012, art. 5, affermando che il giudice a quo sarebbe incorso in un errore di diritto non applicando retroattivamente le modifiche recate dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38.

4.1. Il terzo ed il quarto motivo sono assorbiti dall’accoglimento del secondo, per effetto della loro coincidenza e/o correlazione con il contenuto dei motivi d’appello sui quali dovrà pronunciarsi il giudice del merito.

PQM

Dichiara inammissibile il primo motivo;

accoglie il secondo;

dichiara assorbiti il terzo ed il quarto;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia-Giulia, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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