Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30356 del 23/11/2018
Cassazione civile sez. trib., 23/11/2018, (ud. 11/09/2018, dep. 23/11/2018), n.30356
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PERRINO Angel – Maria –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI Maria Giulia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13589 del ruolo generale dell’anno 2011
proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso
i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;
– ricorrente –
contro
Gestione Servizi Aeroportuali Campani – GE.S.A.C. s.p.a., in persona
del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa, per procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv.
Pierluigi Giammaria, presso il cui studio in Roma, via Salaria, n.
227, è elettivamente domiciliata;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria
Regionale della Campania, n. 89/29/2010, depositata in data 21
aprile 2010;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’11 settembre
2018 dal Consigliere Giancarlo Triscari;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore
generale dott.ssa Zeno Immacolata, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento dei motivi di ricorso;
udito per la società l’Avv. Pierluigi Giammaria.
Fatto
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, in epigrafe, con la quale è stato rigettato l’appello da essa proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli.
Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti della società contribuente un avviso di accertamento con il quale, relativamente al periodo di imposta 1 aprile 2002 – 31 marzo 2003, aveva accertato maggiori imposte ai fini Ires, Irap e Iva; avverso il suddetto atto di accertamento la contribuente aveva proposto ricorso, sia per carenza di motivazione dell’atto impugnato sia in quanto l’ufficio finanziario aveva erroneamente ritenuto che gli oneri corrisposti alla Impresa G. e M. s.p.a. dovevano essere qualificati quali corrispettivi di lavori pluriennali e non, invece, importi dovuti a titolo di risarcimento danni secondo quanto previsto nell’atto di transazione stipulato tra le parti; la Commissione tributaria provinciale di Napoli aveva accolto il ricorso; avverso la pronuncia del giudice di primo grado aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate, nel contraddittorio con la contribuente.
La Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello.
In particolare, ha ritenuto di condividere quanto deciso dal giudice di primo grado, ed ha osservato, per quanto riguardava la questione della non deducibilità del costo conseguente al pagamento della penale, che l’atto di transazione stipulato tra le parti non poneva alcun dubbio sulla natura del provvedimento e sulla giusta imputazione data dalla contribuente ai costi relativi e, inoltre, per quanto riguardava la ripresa dell’Iva, che correttamente la stessa doveva essere ricondotta nell’ambito della essenzialità del servizio e quindi secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 18 del 1999, art 9.
Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a due motivi.
La società contribuente si è costituita depositando controricorso. Con ordinanza interlocutoria del 5 dicembre 2013, depositata il 30 dicembre 2013, la sesta sezione civile di questa Suprema Corte ha disposto la discussione della controversia alla pubblica udienza.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per difetto di motivazione, avendo reso pronuncia sulla questione prospettata solo in modo apparente, rinviando genericamente alla motivazione del giudice di primo grado e decidendo, senza alcuna precisazione degli elementi di fatto e diritto da porre a fondamento delle ragioni della decisione, sia sulla questione della ripresa relativa al corrispettivo dovuto in forza dell’atto di transazione sia su quella del mancato addebito dell’IVA su alcune fatture relative a servizi prestati alla società che esercitava l’attività di handling nello scalo aeroportuale di Napoli Capodichino.
Il motivo è infondato.
Secondo il costante orientamento di questa suprema Corte (Cass. civ. Sez. 6 – 27 giugno 2017, n. 16046), il vizio di omessa pronuncia, censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto.
Nella fattispecie la sentenza impugnata ha articolato la decisione, non solo mediante il richiamo, meramente adesivo, alla pronuncia del giudice di primo grado, ma precisando ulteriormente: con riferimento alla questione della corretta imputazione dell’importo versato a titolo di risarcimento danni a seguito della stipula del contratto di transazione, che non vi erano dubbi sulla natura dell’accordo negoziale e sulla legittimità della conseguente imputazione operata dalla contribuente, avendo, peraltro, esposto, in sede di narrazione del fatto, che, secondo la linea difensiva della contribuente, gli oneri corrisposti per effetto dell’atto transattivo non dovevano essere considerati quali corrispettivi di lavori pluriennali; con riferimento alla questione del mancato addebito dell’IVA, che sussisteva nella fattispecie il requisito della essenzialità del servizio.
Non può, pertanto, ritenersi che la pronuncia sia priva di motivazione in ordine ai profili di contestazione prospettati dalle parti, avendo il giudice del gravame reso pronuncia sulle questioni oggetto di controversia, con conseguente non censurabilità della medesima sulla base del motivo di ricorso in esame.
Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per insufficiente motivazione su fatti decisivi e controversi per il giudizio, non avendo in alcun modo accertato se le operazioni di smistamento bagagli, coordinamento scalo e sistemi informatici fossero indispensabili per il funzionamento dell’aeroporto e svolte all’interno del medesimo, nonchè per non avere motivato sulle ragioni per cui le penali dovessero o meno essere spalmate su più anni, facendo, peraltro, riferimento ad un atto di transazione senza alcuna specifica indicazione del contenuto del medesimo.
Il motivo è fondato.
Come già rilevato, la controversia in esame aveva ad oggetto una duplice contestazione di maggiori imposte ai fini IRES, IRAP e IVA, relativamente ai periodi di imposta 1/4/2002 – 31/3/2003, sia per la indebita deduzione dal reddito imponibile dell’importo corrisposto a ditte assegnatarie dell’appalto di lavori eseguiti all’interno dell’aeroporto di Capodichino, sia per il mancato addebito dell’IVA su alcune fatture relative a servizi prestati alla società che esercitava l’attività di handling nel suddetto scalo aeroportuale.
Con riferimento al primo profilo, era necessario verificare l’esatta natura degli importi corrisposti sulla base dell’atto di transazione, il che presumeva una valutazione, a monte, del contenuto del suddetto atto negoziale stipulato tra le parti.
Il giudice del gravame ha del tutto omesso l’esame del suddetto profilo, limitandosi a fare generico riferimento all’atto di transazione e a far derivare, senza alcuna specifica motivazione sul punto, la considerazione che era corretta l’imputazione operata dalla contribuente.
Tale generico richiamo, pertanto, non consente di valutare la esatta natura degli importi corrisposti, profilo fondamentale per valutare se gli stessi dovevano essere qualificati come corrispettivi di lavori pluriennali, secondo l’assunto dell’ufficio finanziario, ovvero quali penali versate a titolo di risarcimento del danno.
Ed invero, il passaggio motivazionale della sentenza impugnata non consente di valutare se tali importi corrisposti possano essere qualificati quali maggiori corrispettivi liquidati alla ditta appaltatrice per l’esecuzione delle opere, ciò implicando un accrescimento della dotazione di impianti e cespiti, e quindi della dotazione patrimoniale dell’azienda, ovvero somme versate a titolo di risarcimento del danno subito dalla società appaltatrice in conseguenza di condotte inadempienti degli obblighi contrattuali derivanti dal contratto di appalto.
Con riferimento al secondo profilo, si precisa che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 9, comma 1, n.6), sono considerati non imponibili “i servizi prestati nei porti, autoporti, aeroporti e negli scali ferroviari di confine che riflettono direttamente il funzionamento e la manutenzione degli impianti ovvero il movimento di beni o mezzi di trasporto, nonchè quelli resi dagli agenti marittimi raccomandatari”.
Il successivo D.L. 27 aprile 1990, art. 3, comma 13, (convertito dalla L. n. 165 del 1990) ha previsto, che “Tra i servizi prestati nei porti, aeroporti, autoporti e negli scali ferroviari di confine riflettenti direttamente il funzionamento e la manutenzione degli impianti ovvero il movimento di beni o mezzi di trasporto, di cui dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 9, n. 6), si intendono compresi anche quelli di rifacimento, completamento, ampliamento, ammodernamento, ristrutturazione e riqualificazione degli impianti già esistenti, pur se tali opere vengono dislocate, all’interno dei predetti luoghi, in sede diversa dalla precedente; si intendono compresi altresì, purchè resi nell’ambito dei luoghi come sopra qualificati, i servizi relativi al movimento di persone e di assistenza ai mezzi di trasporto e quelli di cui allo stesso art., n. 5, prescindendo dalla definitiva destinazione doganale dei beni.”.
Ciò precisato, era necessario verificare se le operazioni fatturate come non imponibili, relative al coordinamento scalo, sistemi informatici e smistamento bagagli, fossero da considerarsi riconducibili fra quelle per le quali, alla luce delle previsioni normative sopra indicate, è prevista la non imponibilità dei servizi resi.
Sul punto, la pronuncia in esame ha motivato in modo insufficiente, limitandosi ad affermare la essenzialità del servizio reso, senza alcuna specifica indicazione degli elementi di fatto sulla cui base pervenire alla considerazione finale della illegittimità della pretesa. Per quanto sopra esposto, va accolto il secondo motivo di ricorso, con cassazione della sentenza e rinvio alla Commissione tributaria regionale, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata sul motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma, il 11 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018