Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30353 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 23/11/2018, (ud. 19/06/2018, dep. 23/11/2018), n.30353

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8213/2014 R.G. proposto da:

S.I.R.E. S.P.A. (P.I. (OMISSIS)), già SIRE S.R.L., in persona del

legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Angelo

Vola e dall’Avv. Giuseppe Roberto Merlino, con domicilio eletto in

Roma, piazza della Libertà 13, presso lo studio dell’Avv. Giuseppe

Merlino.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale Lombardia,

n.157/31/2013 depositata il 31/12/2013 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19 giugno 2018

dal consigliere Pierpaolo Gori;

Udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Federico Sorrentino, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

Udito per l’Agenzia l’avvocato dello Stato Dettori Bruno e per la

parte l’avvocato Merlino Giuseppe e l’avvocato Angelo Vola.

Fatto

1. Con la sentenza gravata, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (in seguito, CTR) accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate e, per l’effetto, riformava la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Pavia (in seguito, CTP) n. 121/2/2012 vertente su un avviso di accertamento per IVA, Imposte dirette, addizionali e sanzioni, relativamente all’anno di imposta 2006. Dai fatti di cui all’avviso, emesso nei confronti della società SIRE S.R.L., ora SIRE S.P.A., società avente sede in Arena Po (PV), dedita al commercio all’ingrosso di materie plastiche, scaturiva anche un procedimento penale a carico del legale rappresentante per il reato di cui al D.lgs. n. 74 del 2000, art. 2,conclusosi con sentenza definitiva di assoluzione.

2. In particolare, venivano contestate operazioni relative a fatture di acquisto di materie plastiche da parte della società Co.Ma.P. S.r.l. ritenute soggettivamente inesistenti, vendute a prezzo inferiore a quello di acquisto da una società di diritto san-marinese, denominata Polycom S.a.. Con l’avviso, l’Agenzia delle Entrate procedeva al recupero della sola IVA irrogando le relative sanzioni, mentre ai fini delle imposte dirette l’Amministrazione riconosceva la deducibilità dei costi, in quanto effettivamente sostenuti, documentati e ritenuti inerenti.

3. A seguito di mancato accoglimento di istanza di autotutela, la contribuente proponeva ricorso alla CTP, resisteva l’Agenzia nel merito, e i giudici di prime cure annullavano l’avviso, sul presupposto della carenza di elementi di prova a sostegno della ripresa, e della buona fede della contribuente. L’Agenzia proponeva appello, chiedendo la riforma integrale della sentenza, la contribuente controdeduceva, e la CTR accoglieva l’appello, ritenendo che la ripresa IVA, a differenza di quanto deciso dalla CTP, non fosse fondata solo sulla condotta antieconomica della società venditrice emittente le fatture, ma su di un complesso di elementi probatori idonei a fondare presunzioni gravi, precise e concordanti.

4. Contro la sentenza propone ricorso per Cassazione la contribuente, affidato a quattro motivi, cui resiste l’Agenzia con controricorso.

Diritto

5. Con il primo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sui motivi di appello, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non essersi la CTR pronunciata su una questione riproposta in appello, riproduttivo di uno specifico motivo di ricorso proposto in primo grado dalla contribuente, con cui si è lamentata della nullità dell’avviso di accertamento impugnato per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, nonchè del D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 1 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, per essersi l’accertamento fondato su documenti non conosciuti e non conoscibili, in particolare: un p.v.c. redatto nei confronti della Co.Ma.P. S.r.l., dichiarazioni rese dal sig. M.L., controlli e verbalizzazioni rese dagli autotrasportatori che avevano eseguito i trasporti, atti e documenti relativi a controlli incrociati eseguiti nei confronti di altri soggetti terzi.

Inoltre, con il medesimo motivo, la contribuente lamenta la violazione del medesimo principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, anche in relazione ad un’eccezione da lei sollevata nelle controdeduzioni in appello, per la violazione del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, convertito in L. 26 aprile 2012, n. 44.

6. Il motivo è fondato, per entrambi i profili. Dalla lettura degli atti, emerge che la CTR in effetti non si è confrontata con la doglianza ritualmente avanzata in primo grado e riproposta in sede di controdeduzioni in appello sotto il profilo della L. n. 212 del 2000, art. 7, com’era nelle facoltà della contribuente, essendo stata integrale vincitrice in primo grado, senza necessità di riproposizione in appello incidentale. La violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ai fini del combinato disposto dell’ art. 112 e art. 360c.p.c., comma 1, n.4, vale per tutte le riprese, tanto per le imposte dirette quanto per quelle indirette.

7. Quanto poi all’eccezione avanzata nelle controdeduzioni in appello D.L. 2 marzo 2012, n. 16, ex art. 8, comma 1, disciplina avente portata retroattiva e applicabile anche d’ufficio, esso prevede: “Nella determinazione dei redditi di cui al testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 1, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 c.p.p. ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 cit. fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 157 c.p.. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p. ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 cit. fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’art. 529 c.p.p., compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi”.

8. Interpretando la previsione, questa Corte ha condivisibilmente stabilito che “In tema di imposte sui redditi, ai sensi della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, (nella formulazione introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, conv. in L. n. 44 del 2012), che opera, in ragione della stessa disposizione, comma 3, quale “jus superveniens” con efficacia retroattiva “in bonam partem”, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che detti costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo. (Nella specie la S.C., in applicazione del principio, ha annullato la decisione impugnata che ritenuto “certo” il costo per la mera rappresentazione dello stesso in fattura, senza alcuna valutazione sulla inerenza dello stesso all’attività di impresa” (Cass. 6 luglio 2018 n. 17788).

Orbene, dal momento che la CTR non si è confrontata con l’eccezione della contribuente, sussiste la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ma solo per la parte delle riprese afferente alle imposte diretta, dal momento che la novella non si applica all’IVA.

9. Con il secondo motivo, si censura l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per non aver la CTR preso in considerazione l’assoluzione del legale rappresentante della società, con sentenza divenuta definitiva, per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2.

Con il terzo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione della sesta Dir. n.77/388/CEE, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, art. 41, comma 3, art. 21, comma 2, n. 1, del in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver la CTR annullato la ripresa nonostante la – asserita – dimostrazione da parte della contribuente del fatto che non sapeva e non poteva sapere di partecipare ad una operazione in frode IVA.

Con il quarto motivo, si censura la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e L. n. 212 del 2000, art. 7, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n.3, per non aver la CTR, a dire della contribuente, fornito risposta a specifico motivo di censura con cui si doleva del fatto che la motivazione dell’avviso di accertamento impugnato richiamasse espressamente documenti acquisiti, accertamenti e controlli effettuati nei confronti della venditrice Co.Ma.P. S.r.l. e di altri soggetti di imposta non conosciuti, documentazione non allegata all’avviso.

Tutti e tre i motivi restano assorbiti dall’accoglimento del primo in quanto, già solo per la evidenziata violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la sentenza gravata è nulla.

10. In conclusione, dev’essere accolto il primo motivo, per entrambi i profili sopra indicati e, con assorbimento dei restanti motivi, la sentenza impugnata dev’essere cassata, con rinvio alla CTR, in diversa composizione, in relazione ai profili accolti, anche per le spese.

PQM

la Corte:

accoglie il primo motivo, per entrambi i profili indicati in parte motiva, assorbiti i restanti;

cassa la sentenza impugnata e rinvia, in relazione ai profili accolti, alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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