Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30353 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 21/11/2019), n.30353

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 15190/2017 R.G. proposto da:

ARCOBALENO SERVICES S.C. AR.L., in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dagli

avv.ti Alessandro Corvino, (Ndr. Testo originale non comprensibile),

con domicilio eletto presso l’avv. Stefano Salvato (presso Studio

Legale Ghera), in Roma, viale delle Milizie, n. 1;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende come per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7191/6/16 della Commissione Tributaria

regionale della Lombardia depositata il 20 dicembre 2016

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19 settembre

2019 dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, Dott. Umberto De Augustinis, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso; udito il difensore della parte ricorrente, avv.

Alessandro Corvino;

udito il difensore della parte controricorrente, avv. Carlo Maria

Pisana.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate, sulla base di processo verbale redatto da funzionari dell’Inps, con il quale si contestava alla Arcobaleno Services s.c. a r.l., società svolgente attività di trasporto merci su strada, di avere erogato, nell’anno 2008, ai lavoratori dipendenti somme a titolo di “indennità di trasferta” non assoggettate a ritenuta d’acconto nella misura del 50 per cento, perchè ritenute esenti da imposta ai sensi dell’art. 51, comma 5 (già 48) del t.u.i.r., emetteva ai danni della società avviso di accertamento, con conseguente recupero a tassazione di maggiore imposta IRPEF e irrogazione di sanzioni.

Il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’atto impositivo veniva parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Lodi, la quale dichiarava che le somme erogate dalla Cooperativa a titolo di indennità di trasferta dovessero essere assoggettate a tassazione ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 6, ma escludeva l’applicabilità delle sanzioni.

In esito all’appello principale della società ed all’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate, la Commissione regionale della Lombardia confermava la sentenza impugnata.

In particolare, quanto alla eccepita carenza di motivazione dell’atto impositivo, rilevava che il fatto che il verbale dell’Inp fosse stato annullato non rendeva illogica la motivazione resa dall’Agenzia delle Entrate che si fondava sull’assunto che le indennità di trasferta, per la loro natura e per le modalità di erogazione, costituivano componenti del reddito imponibile.

Riteneva che i dipendenti, che quotidianamente venivano inviati in luoghi diversi per effettuare le consegne, dovessero essere qualificati “trasfertisti” e che l’indennità dovesse essere loro riconosciuta indipendentemente dal fatto che vi fossero o meno costi da rimborsare; rigettava, inoltre, l’appello incidentale dell’Ufficio, considerato che il D.L. n. 167 del 2000, che prevedeva la tassabilità al 50 per cento delle trasferte, non era stato convertito e che la materia era stata caratterizzata dalla successione di diverse disposizioni normative e da conseguenti evoluzioni giurisprudenziali.

Avverso la sentenza ricorre, affidandosi a tre motivi, la Arcobaleno Services s.c. ar.l., ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212 e 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, e lamenta che il giudice di appello ha ritenuto sufficiente la motivazione dell’avviso di accertamento.

Pur non disconoscendo la legittimità della motivazione per relationem, assume che la Commissione regionale non avrebbe valutato che il verbale ispettivo dell’Inps era lacunoso quanto alla ricostruzione dei fatti che l’Agenzia delle Entrate aveva poi modificato per giungere ad un diverso inquadramento della fattispecie.

Sostiene, al riguardo, che aveva dovuto difendersi, nel giudizio di primo grado, avverso un avviso di accertamento che disponeva il recupero a tassazione delle indennità di trasferta erogate secondo il regime di cui all’art. 51, comma 6, del t.u.i.r., il quale si fondava sul verbale di accertamento dell’Inps con il quale, prima della rettifica in autotutela, si contestava alla società di avere sottratto a contribuzione alcune somme erogate ai lavoratori dipendenti con conseguente richiesta di assoggettamento totale delle stesse a tassazione.

Secondo l’assunto difensivo della ricorrente, la decisione impugnata sarebbe incorsa nei vizi denunciati anche perchè avrebbe omesso di considerare che il verbale di accertamento dell’Inps, richiamato dall’avviso di accertamento, era stato annullato dall’Ente previdenziale in autotutela, per cui l’atto impositivo non conteneva alcuna motivazione, ma si rifaceva esclusivamente alla descrizione contenuta nel verbale redatto dagli ispettori Inps.

2. Con il secondo motivo, la società deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e contesta ai giudici di appello di non avere considerato che i contratti di lavoro dei dipendenti della Arcobaleno indicavano la sede di lavoro, come era stato provato nel giudizio di merito e non contestato dall’Agenzia delle Entrate; la valutazione di tale fatto assumeva particolare rilevanza se si considerava che, ai sensi del D.L. n. 193 del 2016, art. 7-quinquies, comma 1, lett. a), “la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro” integrava una delle tre condizioni contestualmente richieste ai fini dell’applicazione del regime fiscale di cui all’art. 51, comma 6 del t.u.i.r..

Secondo la prospettazione difensiva della ricorrente, la decisione impugnata avrebbe pure omesso di valutare le concrete modalità di svolgimento della prestazione di lavoro da parte dei dipendenti, ossia che questi ultimi tutti i giorni giungevano presso la sede operativa dove effettuavano le operazioni di carico e scarico delle merci, la loro registrazione e le ulteriori operazioni accessorie al trasporto e successivamente partivano dalla sede per l’esecuzione in trasferta delle consegne, per poi rientrare nella sede operativa per registrare le consegne e depositare i resi, fatti tutti che erano stati oggetto di discussione e che erano pacifici.

3. Con il terzo motivo, censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.L. n. 193 del 2016, art. 51, comma 5 e art. 7-quinquies, comma 6, e, nella parte in cui i giudici di secondo grado hanno ritenuto che i dipendenti della società avessero la qualifica di “trasfertisti”.

Sostiene che, in fatto, è pacifico, perchè mai contestato nei gradi del giudizio di merito, che: a) nei contratti di lavoro in questione era indicato il luogo del lavoro, ossia la sede operativa dell’impresa, da cui i lavoratori partivano, quotidianamente e abitualmente, per le consegne e presso la quale tornavano per la consegna dei resi; b) i dipendenti non svolgevano attività che richiedeva una continua mobilità; c) i corrieri non ricevevano una indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, atteso che, quando il lavoratore non aveva effettuato trasferte di durata superiore a sei ore, come previsto dal CCNL, l’indennità non era stata erogata.

Richiamando la risoluzione n. 56/E del 9 maggio 2000 del Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’art. 6 del CCNL, la ricorrente ribadisce che le indennità corrisposte agli autotrasportatori, la cui sede è prevista in contratto, è stata corrisposta in relazione ai giorni in cui la prestazione lavorativa è stata effettuata fuori della sede naturale, con la conseguenza che le indennità in esame, ai sensi dell’art. 51, comma 5 del t.u.i.r., concorrono a formare il reddito esclusivamente per la parte che eccede Euro 46,48, quando la trasferta avviene nel territorio nazionale, ed Euro 77,47, quando avviene all’estero.

4. Il primo motivo del ricorso è infondato.

4.1. Va rilevata, preliminarmente, l’ammissibilità della censura essendo stati riportati in ricorso testualmente i passi della motivazione dell’avviso di accertamento e quelli del verbale ispettivo dell’Inps, al fine di consentire a questa Corte di esprimere il giudizio in base al ricorso stesso, in omaggio al principio di autosufficienza.

4.2. L’atto impositivo è stato motivato, nella specie, con rinvio espresso al verbale di accertamento redatto in data 3 settembre 2010 dai funzionari dell’Ispettorato di vigilanza dell’Inps che è stato allegato in copia e regolarmente notificato alla contribuente e che, quindi, costituisce atto legalmente conosciuto dalla medesima.

La lettura della motivazione del processo verbale dei funzionari dell’Inps evidenzia che esso contiene un chiaro riferimento alle indagini esperite in sede di verifica ed alle risultanze che ne sono conseguite.

4.3. Secondo il costante insegnamento di questa Corte (Cass. 31 marzo 2011, n. 7360; Cass. 17 dicembre 2014, n. 26472; Cass. 6 aprile 2017 n. 9008; Cass. 20 dicembre 2018, n. 32957), l’avviso di accertamento, che costituisce l’atto con il quale l’Amministrazione esercita la propria pretesa tributaria nei confronti del contribuente, soddisfa l’obbligo di motivazione ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente medesimo in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente Van ed il quantum debeatur.

Tale atto deve, pertanto, ritenersi correttamente motivato – anche nel regime di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7 – ove esso faccia riferimento ad un processo verbale di constatazione regolarmente notificato o consegnato all’intimato, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria non è affatto tenuta ad includere nell’avviso di accertamento notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti, nè a riportarne, sia pure sinteticamente, il contenuto (Cass. n. 6232 del 18/4/2003; Cass. 7360/11 cit.).

4.4. Questa Corte non ignora che, secondo un orientamento giurisprudenziale di segno maggiormente restrittivo (Cass. 17 ottobre 2014, n. 22003), la motivazione dell’avviso di accertamento assolve ad una pluralità di funzioni, che garantisce il diritto di difesa del contribuente, delimitando l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella successiva fase processuale contenziosa, per cui, sebbene vada escluso ogni formalismo nell’indicazione delle norme di diritto violate, quando sono chiaramente desumibili, e di tutti gli elementi di prova, eventualmente integrabili in sede di giudizio purchè siano stati indicati gli elementi di fatto e istruttori del procedimento, è comunque necessaria la presenza nell’avviso di accertamento e di rettifica degli elementi identificativi del petitum e della causa petendi e, quindi, una chiara ricostruzione di tutti gli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, in modo da rispettare, da un lato, il principio costituzionale di buona ammnistrazione e, dall’altro, di consentire una adeguata e piena difesa in giudizio (Cass. 21 novembre 2018, n. 30039).

4.5. Deve, tuttavia, rilevarsi, che, nel caso concreto, la contribuente ha avuto piena contezza dei verbali ispettivi redatti dai funzionari Inps su cui si fonda l’atto impositivo, nei quali sono analiticamente indicati i rilievi mossi dai verificatori e, quindi, gli elementi identificativi da cui è poi scaturita la pretesa fiscale di cui si discute in questa sede, e, sebbene il verbale di accertamento, come evidenziato dalla ricorrente, successivamente alla notifica dell’avviso di accertamento, sia stato annullato in autotutela dall’Istituto previdenziale, tale circostanza di per se stessa non esclude che la contribuente sia stata posta in grado di conoscere tutte le contestazioni ad essa rivolte, atteso che, diversamente da quanto dalla stessa dedotto, il verbale ispettivo Inps conteneva una ricostruzione puntuale, e non lacunosa, dei fatti che l’Agenzia ha successivamente utilizzato ai fini dell’accertamento fiscale.

Non è, pertanto, ravvisabile lesione del diritto di difesa della contribuente, la quale ha potuto ampiamente controdedurre ed esporre le proprie ragioni in merito alle contestazioni avanzate, nè tanto meno sussiste la asserita diversità dei presupposti di fatto posti a base delle contestazioni sollevate dall’Ente previdenziale e dall’Agenzia delle Entrate, avendo quest’ultima piuttosto proceduto ad una autonoma valutazione delle medesime circostanze di fatto, sulla base della normativa fiscale, necessariamente diversa da quella previdenziale.

5. Il secondo ed il terzo motivo, che essendo strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente, sono fondati.

5.1. Occorre premettere che, secondo una giurisprudenza consolidata di questa Corte, il regime del trasfertismo (art. 51, comma 6, del t.u.i.r.) non richiede per la sua applicazione che le indennità e le maggiorazioni ivi previste vengano corrisposte in maniera fissa e continuativa, anche indipendentemente dalla effettuazione della trasferta e dal tipo di essa, e ciò che rileva è unicamente che si tratti di erogazione corrispettiva dell’obbligo contrattuale assunto dal dipendente di espletare normalmente le proprie attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi e quindi al di fuori di una qualsiasi sede di lavoro prestabilita, restando, invece, ininfluenti le modalità di erogazione dell’indennità (cfr. in tal senso Cass. 13 gennaio 2012, n. 396; Cass. 9 marzo 2012, n. 3824; Cass. 7 ottobre 2013, n. 22796).

Secondo tale indirizzo, quindi, il regime della trasferta risulta inapplicabile ai cd. trasfertisti abituali, cioè a quei lavoratori che per le caratteristiche strutturali della loro prestazione non hanno una sede di lavoro fissa, ed i diversi regimi disciplinati dal quinto e dall’art. 51 cit., comma 6, sono diretta conseguenza della modalità di lavoro, per cui la indennità di trasferta erogata ai lavoratori itineranti è tassabile nella misura del 50 per cento, anche se corrisposta solo in occasione delle trasferte.

5.2. In materia, è intervenuto il D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, art. 7-quinquies (conv. in L. 1 dicembre 2016 n. 225), il quale, nel dettare disposizioni di “Interpretazione autentica in materia di determinazione del reddito di lavoratori in trasferta e trasfertisti”, ha disposto che: “1. Il comma 6 dell’art. 51 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, si interpreta nel senso che i lavoratori rientranti nella disciplina ivi stabilita sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni: a) la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro; b) lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente; c) la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta. 2. Ai lavoratori ai quali, a seguito della mancata contestuale esistenza delle condizioni di cui al comma 1, non è applicabile la disposizione di cui all’art. 51, comma 6, del testo unico di cui al D.P.R. n. 917 del 1986 cit., è riconosciuto il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui all’art. 51 cit., comma 5”.

5.3. Con tale norma, che contiene un’interpretazione autentica del concetto di trasferta, sono state quindi indicate le specifiche condizioni in presenza delle quali è possibile distinguere, ai fini fiscali e previdenziali, il regime a cui sono sottoposti i “trasfertisti abituali” da quello a cui sono sottoposti i “trasfertisti occasionali” e si è in tal modo superato il precedente criterio distintivo che era invece collegato alla ricostruzione della singola fattispecie di volta in volta esaminata.

5.4. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 27093 del 16 novembre 2017, intervenendo sulla questione, hanno affermato i seguenti principi di diritto:

a) “la predetta disposizione, che ha introdotto una norma retroattiva autoqualificata di interpretazione autentica, è conforme ai principi costituzionali di ragionevolezza e di tutela del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, oltre che all’art. 117 Cost., comma 1, sotto il profilo del principio di preminenza del diritto e di quello del processo equo di cui all’art. 6 della CEDU. Infatti, tale norma retroattiva ha attribuito alla norma interpretata un significato compatibile con il suo tenore letterale ma più aderente alla originaria volontà del legislatore, con la finalità di porre rimedio ad una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, determinata da un persistente contrasto tra la giurisprudenza di legittimità, le Pubbliche amministrazioni del settore e la variegata giurisprudenza di merito”;

b) “in materia di trattamento contributivo dell’indennità di trasferta, alla stregua dei criteri di interpretazione letterale, storica, logico-sistematica e teleologica, l’espressione “anche se corrisposta con carattere di continuità” presente sia nell’art. 11 della L. 4 agosto 1984, n. 467, sia nel vigente art. 51, comma 6, del t.u.i.r. (così come nell’art. 48, comma 6 del t.u.i.r., nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314) – deve essere intesa, nel senso che l’eventuale continuatività della corresponsione del compenso per la trasferta non ne modifica l’assoggettabilità al regime contributivo (e fiscale) meno gravoso (di quello stabilito in via generale per la retribuzione imponibile), rispettivamente previsto dalle citate disposizioni”.

5.5. Alla luce dei suddetti principi, pertanto, soltanto in caso di contestuale presenza delle tre condizioni richiamate dal D.L. n. 193 del 2016, art. 7-quinquies, il lavoratore può essere inquadrato nella categoria del “trasfertista” e deve essere assoggettato al regime fiscale previsto dall’art. 51, comma 6 del t.u.i.r., ossia alla tassazione del 50 per cento delle somme riconosciute a titolo di trasferta; qualora, invece, anche una sola di tali condizioni non sia presente, deve trovare applicazione il regime fiscale previsto dall’art. 51 cit., comma 5, e cioè la tassazione soltanto delle somme che superano il valore di Euro 46,48 al giorno, per le trasferte in ambito nazionale, e di Euro 77,47, in caso di trasferte all’estero (Cass. 29 gennaio 2019, n. 2424; Cass. 20 giugno 2018, n. 16230).

6. Ebbene, ai suddetti criteri così come individuati dalle Sezioni Unite non risulta essersi uniformata l’indagine di merito condotta dai giudici regionali nella impugnata sentenza.

Infatti, i giudici di appello, dopo avere riconosciuto che si tratta di dipendenti che quotidianamente partono dalla sede della società per recarsi a consegnare, in trasferta, i plichi e poi fare rientro presso la sede, hanno dato rilevanza, ai fini della individuazione del regime contributivo applicabile, esclusivamente alle modalità di corresponsione degli emolumenti, sebbene il carattere di continuità della loro erogazione non sia decisivo (Cass. 17 febbraio 2016, n. 3066), omettendo di verificare se ricorrono contestualmente le tre condizioni richieste dalla legge di interpretazione autentica di cui all’art. 7-quinquies cit..

La sentenza merita, pertanto, di essere cassata sul punto.

7. In conclusione, vanno accolti il secondo ed il terzo motivo del ricorso, rigettato il primo motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice di merito il quale provvederà a nuovo esame, adeguandosi ai principi richiamati, oltre che a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso ed accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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