Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30352 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 23/11/2018, (ud. 26/03/2018, dep. 23/11/2018), n.30352

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA-ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17289-2011 R.G. proposto da:

ESSE TRE SRL in liquidazione, S.R., S.M.,

Sa.CL.FR., rappresentati e difesi dall’avv. Luigi Manzo e

dall’avv. Cesare Glendi, ed elettivamente domiciliati in Roma, via

Federico Confalonieri n. 5, presso lo studio del primo.

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 78/65/2010, pronunciata i

22/04/2010, depositata il 6/05/2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 marzo 2018

dal Consigliere Riccardo Guida;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Sorrentino Federico, che ha chiesto il rigetto del ricorso

principale e l’accoglimento del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato Caldirara;

udito l’Avvocato dello Stato Fabrizio Urbani.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Esse Tre Srl in liquidazione, con sede legale in Milano, ed i soci S.R., S.M. e Sa.Cl.Fr. hanno proposto ricorso, sulla base di nove motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 78/65/10 che – in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avvisi di accertamento del 2006, diretti alla società e ai soci, che recuperavano a tassazione, ai fini IRPEG, IRES, IRAP, IRPEF, per gli anni d’imposta 2003, 2004 e 2005, rispettivamente, quanto alla società, maggiori redditi non dichiarati e, quanto ai soci, redditi di partecipazione, oltre ad applicare sanzioni ed interessi – in parziale accoglimento del ricorso dei contribuenti, ha dichiarato illegittima la ripresa a tassazione relativa alle sopravvenienze attive oggetto dell’accertamento per l’anno 2005 ed ha confermato nel resto la sentenza di primo grado.

Il giudice d’appello ha ritenuto sufficientemente motivata la sentenza della Commissione provinciale; ha escluso che la ripresa a tassazione dei rimborsi spese fosse ingiustificata ed avesse generato una doppia imposizione; integrando la motivazione della pronuncia della Commissione provinciale, ha affermato la legittimità della presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili extrabilancio prodotti dalla società, da effettuare al netto dell’imposizione fiscale a carico di quest’ultima; inoltre, ha disatteso l’eccezione di rideterminazione del reddito secondo le effettive medie di settore, per l’alta redditività connessa al disconoscimento dei costi dichiarati dall’ente commerciale; ha reputato sufficientemente motivati, per relationem, gli avvisi di accertamento impugnati; ha disatteso le censure dei contribuenti in tema di indebito accantonamento del trattamento di fine mandato (Euro 193.500,00), richiamando al riguardo la disciplina dell’art. 70, comma 3, TUIR e considerando incongruo l’accantonamento rispetto all’utile operativo dichiarato (Euro 94.474,92); ha qualificato come illegittima la ripresa di Euro 789.462,00 per “sopravvenienze attive”, relative all’anno 2005, stimando ininfluente, per la determinazione dell’utile di esercizio, un conto patrimoniale denominato “debiti diversi”; ha ritenuto fondato il rilievo di Euro 18.812,00, derivante dalla dismissione dalla contabilità di “piccola utensileria”, in difetto di riscontro documentale degli argomenti addotti al riguardo dagli appellanti.

2. L’Agenzia delle entrate ha proposto autonomo ricorso, con tre motivi, per la cassazione della sentenza della CTR, cui resistono i contribuenti con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

a. Va disposta, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei due ricorsi, con i quali viene impugnata la medesima sentenza, e, per l’effetto, essi vanno qualificati, rispettivamente, come ricorso principale, quello dei contribuenti (notificato il 21/06/2011) e come ricorso incidentale, quello dell’Ufficio (notificato il 24/06/2011) poichè, come ha altre volte affermato la Corte: “il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso. Tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di 40 giorni risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi (cfr., ex multis, Cass. 31/01/2018, n. 2388).

Tali requisiti risultano rispettati dal ricorso successivamente proposto dall’Ufficio che, pertanto, deve essere convertito in ricorso incidentale autonomo.

b. Sempre in via preliminare si deve separare il giudizio in relazione alle posizioni dei soci R.S., S.M. e Sa.Cl.Fr. i quali, come risulta dalla documentazione allegata alla loro memoria ex art. 378 c.p.c., hanno presentato dichiarazione di adesione alla definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione (c.d. “Rottamazione cartelle”), ai sensi del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, art. 6, (convertito, con modificazioni, dalla L. 1 dicembre 2016, n. 225), cui è seguita la comunicazione di Equitalia, indirizzata ai contribuenti, circa il debito da pagare per la definizione ed il piano di pagamento.

Il giudizio nei confronti dei soci è rinviato a nuovo ruolo; è onere dei contribuenti che hanno aderito alla definizione agevolata fornire, nel prosieguo del giudizio per cassazione, prova adeguata: a) del perfezionamento del procedimento di definizione agevolata in corso; b) del collegamento tra tale definizione agevolata e gli atti impositivi impugnati; c) dell’adempimento di tutte le formalità previste dalla normativa sulla “rottamazione delle cartelle”; d) di avere assunto l’impegno a rinunciare ai giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la predetta dichiarazione, ai sensi dell’art. 6 cit., comma 2.

c. Ciò posto, si debbono adesso esaminare i ricorsi della società e dell’Ufficio.

1. Primo motivo del ricorso principale della società: “Violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, denunzia a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1”.

La ricorrente lamenta la carenza assoluta della motivazione della sentenza impugnata sul suo rilievo di nullità dell’avviso di accertamento per omessa motivazione in relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che ne costituivano il fondamento.

1.1. Il motivo è infondato.

La L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, consente la motivazione per relationem dell’atto impositivo e, dunque, la CTR non ha errato nell’affermare la legittimità degli avvisi di accertamento che richiamavano gli atti di verifica, con ciò conformandosi al costante indirizzo di questa Corte (Cass. 4/08/2017, n. 19555).

2. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40, anche in relazione all’ art. 53 Cost., comma 1 e art. 97 Cost., e a quanto stabilito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 7. Omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Denunzia a sensi dell’art. 36 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1”.

La ricorrente premette di avere denunciato, nel giudizio di merito, l’illegittimità dell’accertamento che, constatata la regolare tenuta delle scritture contabili e senza contestare i ricavi dichiarati, ha invece negato la maggior parte dei costi contabilizzati, perchè non sufficientemente documentati, senza che fossero riequilibrati, come prescritto dalla legge, costi e ricavi, con conseguenti elevatissimi ricarichi (pari anche al 60%) rispetto alle medie di settore (pari al 6%) elaborate dal ministero delle finanze.

Si duole, pertanto, che la sentenza impugnata non abbia fatto corretta applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40, e non abbia rideterminato la pretesa fiscale esorbitante, annullando in tutto o in parte l’atto impositivo.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Vengono proposti cumulativamente i vizi di violazione e falsa applicazione di norme di diritto e quello del difetto dell’apparato motivazionale della sentenza, senza alcuna distinzione tra gli argomenti a sostegno dei diversi ed eterogenei motivi di censura.

L’esposizione diretta e cumulativa di vari rilievi critici (violazione, falsa applicazione di norme di diritto, vizio motivazionale nella doppia accezione dell’omessa e dell’insufficiente motivazione) sollecita la Corte (cui compete esclusivamente il controllo di legalità) a delimitare le singole censure, per poi ricondurle, puntualmente, entro la griglia dei “motivi di ricorso” di cui all’art. 360 c.p.c., con ciò demandandole, in modo inammissibile, il compito di dare una forma ed un contenuto, coerenti con il canone normativo, ad un cumulo di doglianze genericamente esposte (Cass. sez. un. 24/07/2013, n. 17931; Cass. 16/03/2018, n. 6503).

3. Terzo motivo: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e/o del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, in punto di divieto di doppia imposizione a sensi dell’art. 163 TUIR. Omessa motivazione su punto controverso e decisivo per il giudizio. Denunzia a sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5 richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1”.

La ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa pronuncia o, comunque, omessa motivazione sulla questione, dalla medesima sollevata, della doppia imposizione, ai fini Ires, in capo alla società, e ai fini Irpef, in capo ai soci, delle somme da questi ultimi prelevate.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Valgono al riguardo le stesse considerazioni che hanno determinato il rigetto del precedente mezzo (cfr. p. 2.1.).

4. Quarto motivo: “”Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4. In via alternativa subordinata, insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio. Denunzia a sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1”.

Si deduce il difetto assoluto di motivazione o, in subordine, l’insufficiente motivazione della sentenza della CTR nella parte in cui è stata ritenuta legittima l’attribuzione pro quota, ai soci, degli utili extrabilancio prodotti dalla società, posto che i contribuenti avevano sempre contestato la tesi dell’Amministrazione finanziaria secondo cui i “rimborsi spese”, per essere privi di riscontro documentale, occultassero degli utili extracontabili (per un ammontare, nel triennio 2003-2005, di Euro 2.299.910,00), come tali non qualificabili come costi deducibili.

4.1. Il motivo è infondato.

Non si ravvisa nè il difetto assoluto di motivazione nè quello (prospettato in subordine) della motivazione insufficiente, con riferimento alla questione centrale della controversia, attinente al recupero al reddito imponibile dei “rimborsi spese” che, secondo l’Amministrazione finanziaria, occultavano “utili extracontabili”.

La CTR, infatti, oltre ad escludere il rischio (paventato dai contribuenti) di una doppia imposizione, nei confronti della società e dei soci, poichè, come dalla stessa precisato, il reddito di questi ultimi va modulato “al netto dell’imposizione fiscale gravante sulla società”, dichiara, in modo convincente, la legittimità del recupero fiscale in quanto i “rimborsi spese” a favore dei soci non sono “supportati da idonea documentazione” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).

5. Quinto motivo: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c., comma 2, applicabile al processo tributario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 1, comma 2. Denunzia a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 richiamato dal cit. D.Lgs., art. 62, comma 1”.

Si fa valere il contrasto tra la motivazione della sentenza della CTR che, correggendo la motivazione della decisione di primo grado, aveva affermato che l’attribuzione pro quota ai soci degli utili extrabilancio doveva essere effettuata al netto dell’imposizione fiscale gravante sulla società, ed il dispositivo della medesima pronuncia che si limita a dichiarare illegittima una ripresa a tassazione (le sopravvenienze attive dell’anno 2005), confermando nel resto la decisione di primo grado.

La società evidenzia di avere fatto valere lo stesso vizio dinanzi alla CTR, con ricorso, datato 17/12/2010, per la correzione dell’errore materiale ex art. 287 c.p.c., e di essere in attesa della decisione della Commissione regionale.

5.1. Il motivo è inammissibile.

La questione è già stata definita dalla Corte (Cass. 7/06/2013, n. 14484) con ordinanza emessa all’esito del succitato procedimento di correzione di errore materiale del dispositivo della sentenza della CTR che, dal canto suo, con ordinanza del 18/02/2012, aveva provveduto a correggere lo stesso dispositivo.

6. Sesto motivo: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 336 c.p.c. applicabile al processo tributario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 1, comma 2. Denunzia a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1”.

Si addebita alla sentenza impugnata di non avere rideterminato la sanzione dopo avere escluso la legittimità della ripresa a tassazione delle sopravvenienze attive per l’anno 2005 e, ancora, di non avere conseguentemente rideterminato l’imposta dovuta dai soci a titolo di reddito di partecipazione.

6.1. Il motivo è infondato.

La pronuncia della CTR che: “dichiara illegittima la ripresa a tassazione relativa alle sopravvenienze attive riguardanti l’accertamento per l’anno 2005” riverbera i propri effetti sugli atti impositivi riguardanti la medesima annualità, poichè essa impone all’Amministrazione finanziaria di rideterminare, con riferimento tanto alla società che ai soci, le imposte, le sanzioni e gli interessi, escludendo dalla base imponibile dei diversi tributi quella registrazione di bilancio.

7. Settimo motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16 lett. c e artt. 70 e 75, vigente ratione temporis, nonchè dell’art. 2389 c.c. Omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo e controverso. Denunzia a sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1”.

Si deduce, in primo luogo, che la sentenza impugnata avrebbe apoditticamente affermato la corretta indeducibilità dell’accantonamento del trattamento di fine mandato, in applicazione dell’art. 70, comma 3, TUIR e dell’art. 2389 c.c., senza considerare che la legge non prescrive una “data certa” ai fini della deducibilità del costo, da parte della società (ma solo ai fini della deducibilità della ritenuta da parte del beneficiario); in secondo luogo, che la CTR abbia assunto, quale parametro dell’indeducibilità del costo, quello della ravvisata incongruità dell’accantonamento rispetto all’utile operativo della società, senza dare conto delle ragioni del proprio convincimento.

7.1. Il motivo è infondato.

In una vicenda simile a quella in esame, riguardante la deducibilità ai fini Irpef ed Irap, quali componenti negativi di reddito, degli accantonamenti effettuati dalla società in favore dei propri amministratori per il trattamento di fine mandato (TFM), la Corte ha già avuto modo di chiarire che il rinvio che l’art. 70, comma 3, TUIR (nel testo vigente ratione temporis) opera all’art. 16, comma 1, lett. c), TUIR, è un rinvio pieno, nel senso che, nell’ottica della deducibilità dei relativi accantonamenti, si richiede che il diritto all’indennità risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto.

Donde la massima, cui s’intende aderire e che vale a regolare il caso in esame, nel quale è incontestata l’assenza di un pregresso atto scritto (anche a prescindere dalla disamina degli ulteriori argomenti sviluppati dalla CTR a sostegno della legittimità del recupero a tassazione della medesima componente reddituale), secondo cui: “in tema di imposte sui redditi, e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 70, comma 3, nello stabilire che le disposizioni dei precedenti commi secondo e terzo, concernenti la deducibilità degli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente, “valgono anche per gli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cui alle lettere c) (…) del comma primo dell’art. 16” dello stesso t.u. – norma quest’ultima secondo la quale l’imposta si applica separatamente alle “indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui all’art. 49, comma 2 se il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto” -, opera un rinvio non ai soli fini dell’identificazione della categoria del rapporto sottostante cui si riferisce l’indennità (nel qual caso sarebbe stato sufficiente il rinvio all’art. 49, comma 2 – pure menzionato alla lettera c dell’art. 16 -, che individua appunto i redditi di lavoro autonomo, fra i quali rientra quello dell’amministratore (…)), ma altresì ai fini della sussistenza delle condizioni richieste dalla stessa lett. c) dell’art. 16, e cioè che “il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto”.” (Cass. 14/05/2007, n. 10959; Cass. 5/09/2014, n. 18752).

8. Ottavo motivo: “Violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4. Denunzia D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 62, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

La ricorrente lamenta il difetto assoluto di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui è stato ritenuto corretto il recupero a tassazione di minusvalenze per dismissione di “piccola utensileria” (per un ammontare di Euro 18.812,00) ormai obsoleta, per mancanza di documentazione di riscontro.

8.1. Il motivo è infondato.

La CTR non è incorsa in un errore di diritto e, con apprezzamento in fatto, insindacabile in sede di legittimità (e, per altro, estraneo al profilo critico dedotto tramite il motivo in esame) ha giustificato la correttezza della ripresa a tassazione dell’asserita minusvalenza sul presupposto che l’iscrizione contabile non fosse documentata.

9. Nono motivo: “Violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. applicabile al processo tributario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 1, comma 2. In subordine: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4. Denunzia a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1”.

Si addebita, infine, alla sentenza impugnata di non avere statuito alcunchè sulla domanda dell’appellante di riforma del capo della sentenza della Commissione tributaria provinciale che aveva condannato contribuenti al pagamento delle spese processuali.

9.1. Il motivo è infondato.

La CTR ha accolto in parte l’appello dei contribuenti con riferimento al recupero a tassazione delle sopravvenienze attive dell’anno 2005 ed ha confermato “nel resto” la sentenza di primo grado; con ciò essa ha confermato anche il capo della pronuncia di primo grado di condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, e, quindi, ha implicitamente respinto il motivo di gravame riguardante la questione delle spese processuali.

E’ altresì il caso di richiamare il costante indirizzo della Corte, al quale s’intende aderire, secondo cui: “In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi.” (Cass. 31/03/2017, n. 8421).

10. Ne consegue il rigetto del ricorso principale.

11. Occorre adesso esaminare il ricorso successivo (c.d. ricorso incidentale autonomo) dell’Agenzia delle entrate.

12. Primo motivo: “Insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5”.

L’Ufficio rileva che, ai sensi dell’art. 88 TUIR, rientra tra le “sopravvenienze attive” la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite ed oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi.

Ciò premesso, lamenta il vizio motivazionale della sentenza della CTR – che ha escluso la ripresa a tassazione, in relazione all’anno 2005, di sopravvenienze attive per Euro 789.462,00, quale costo fittizio, non documentato, registrato in bilancio come “rimborso spese” degli amministratori – senza dare conto, in modo esaustivo, delle ragioni del proprio convincimento circa l’effettività di quelle voci di spesa.

12.1. Il motivo è fondato.

La CTR non ha indicato con sufficiente chiarezza il percorso logico-giuridico seguito per negare il recupero a tassazione delle “sopravvenienze attive”, connesse all’accertata insussistenza di “rimborsi spese” a favore degli amministratori, qualificati come “debiti diversi” che, secondo la prospettazione dell’Ufficio, risultavano prive delle necessarie conferme documentali.

13. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 5 e art. 88 TUIR, ex art. 360 c.p.c., n. 3”.

L’Ufficio censura la statuizione della CTR che avrebbe ritenuto contra legem che: “un conto patrimoniale denominato “debiti diversi” inserito nello stato patrimoniale del bilancio della società” non influisca sulla determinazione del reddito imponibile dell’ente commerciale.

13.1. Il motivo, riguardante il medesimo aspetto fattuale appena considerato, è assorbito per effetto dell’accoglimento del precedente mezzo.

14. Terzo motivo: “Nullità per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 4”.

Si deduce l’omessa pronuncia della CTR sull’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate avverso il capo della decisione di primo grado che aveva accolto la domanda della ricorrente limitatamente ai recuperi a tassazione riguardanti i rapporti commerciali con la M.P. Spa.

14.1. Il motivo è fondato.

Esso soddisfa il principio d’autosufficienza in quanto l’Ufficio ha riprodotto, in seno al ricorso, il passo dell’appello incidentale con il quale impugnava il capo della pronuncia di primo grado favorevole ai contribuenti.

Orbene, la sentenza della CTR incorre nel vizio d’omessa pronuncia non avendo statuito sull’appello incidentale dell’Amministrazione finanziaria.

15. Ne consegue l’accoglimento del ricorso incidentale dell’Agenzia dell’entrate, con la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio alla CTR, in diversa composizione, per il nuovo esame della controversia, limitatamente ai motivi del ricorso incidentale, ed anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale della società;

accoglie il ricorso incidentale;

cassa e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità;

separa il giudizio in relazione ai soci S.R., S.M. e Sa.Cl.Fr. e rinvia a nuovo ruolo per consentire la definizione D.L. n. 193 del 2016, ex art. 6.

Così deciso in Roma, il 26 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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