Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3035 del 10/02/2020

Cassazione civile sez. I, 10/02/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 10/02/2020), n.3035

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9788/2018 proposto da:

Comune di Bagnara, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma Via G. Zanardelli 36, presso lo studio

dell’avvocato Giuseppe Giulio Romeo, che lo rappresenta e difende in

forza di procura speciale in calce al ricorso su foglio separato;

– ricorrente –

contro

C.F.; C.W.; D.L.M., D.L.C. e

D.L.V., quali eredi di C.C., deceduta;

D.M., in qualità di procuratore generale della madre C.A.;

Da.Ma., quale erede di Ca.An., nel frattempo deceduta;

C.F.A.; M.M. e M.A., quali eredi

di C.L., nel frattempo deceduta; tutti elettivamente

domiciliati in Roma Viale Mazzini 113, presso lo studio

dell’avvocato Bianca Maria Castoldi, e rappresentati e difesi dagli

avvocati Alessandra Borruto e Giuseppa Tropia, in forza di procura

speciale su foglio separato quanto a C.F., C.W.,

D.L.M., D.L.C., D.L.V., D.M. e

Da.Ma. e per procure speciali per atto notarile quanto a

C.F.A., M.M. e M.A.;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 124/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 27/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/12/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 26/10/1988 i fratelli C.F. e L. (aventi causa dal padre C.R.) e i fratelli Ca.An., C., W., F.A. e A. (aventi causa dal padre C.V.) convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria il Comune di Bagnara Calabra per sentirlo condannare al pagamento in loro favore delle somme corrispondenti al valore del terreno e dei fabbricati di loro proprietà, siti nel territorio del Comune al foglio (OMISSIS), particelle (OMISSIS), oggetto di occupazione d’urgenza disposta dal Prefetto di Reggio Calabria con Decreto 22 giugno 1977.

Si costituì in giudizio il Comune di Bagnara Calabra, contestando che sul terreno fosse esercitata un’attività industriale o artigianale ed eccependo la prescrizione quinquennale del diritto.

L’istruttoria della causa comportò l’espletamento di consulenza tecnica e prove testimoniali.

Il Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Stralcio con sentenza del 12/2/2007 n. 35 accolse le domande degli attori, condannando il Comune al pagamento della somma di Euro 98.648,20, oltre interessi legali sulla somma devalutata di Euro 39.506,69, da rivalutare mensilmente secondo indici Istat dal luglio del 1983 al saldo, ponendo a suo carico anche le spese processuali e tecniche.

2. Avverso la predetta sentenza proposero appello gli eredi C. e fra di essi gli eredi di C.C., nel frattempo deceduta, ossia D.L.M., C. e V. e gli eredi di C.L., anch’essa deceduta, ossia M.M. e A., impugnando la decisione sotto il profilo del quantum risarcitorio per essere stato applicato il D.L. n. 3331 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, convertito con modificazioni nella L. n. 359 del 1992, senza riconoscere l’integrale valore dei beni di fatto espropriati.

Si costituì il Comune di Bagnara, chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo a sua volta appello incidentale, tra l’altro in punto giurisdizione del Giudice amministrativo, eccezione di prescrizione e tardività della richiesta avversaria di prova testimoniale.

La Corte di appello di Reggio Calabria con sentenza del 27/2/2017 ha accolto il gravame principale, con favore di spese, rigettata ogni altra richiesta (e così anche il gravame incidentale), per l’effetto condannando il Comune di Bagnara a corrispondere agli appellanti la somma risarcitoria di Euro 46.101,49, oltre agli interessi legali calcolati annualmente dall’11/7/1977 al soddisfo, oltre al danno non patrimoniale liquidato in misura pari a quello dei predetti interessi, oltre, infine, alla somma di Euro 774,678, oltre interessi per il danno arrecato ai macchinari.

3. Avverso la predetta sentenza del 27/2/2017, non notificata, con atto notificato il 29/3/2018 ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Bagnara Calabra, svolgendo quattro motivi.

Con atto notificato il 4/5/2018 hanno proposto controricorso gli eredi C. già partecipanti al giudizio di appello, con la presenza di D.M., in qualità di procuratore generale della madre C.A., e di Da.Ma., unica erede di Ca.An., nel frattempo deceduta, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Il Comune ricorrente ha depositato memoria illustrativa del 2/12/2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo e il quarto motivo di ricorso sono connessi e possono essere esaminati in successione.

1.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 1, il Comune ricorrente denuncia violazione dell’art. 37 c.p.c. e del D.Lgs. n. 80 del 1998, artt. 34 e 35, reintrodotti dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7 e del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 133, comma 1, lett. o).

In tal modo il Comune ricorrente ripropone l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata con l’appello incidentale e ignorata dalla Corte di appello nella sua decisione.

1.2. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sull’eccezione di devoluzione al Giudice amministrativo della causa.

1.3. Quanto al quarto mezzo, l’omessa pronuncia non sussiste, anche se effettivamente la Corte reggina, pur dando dell’appello incidentale del Comune di Bagnara in punto giurisdizione, a suo parere spettante al Giudice amministrativo in materia di risarcimento danni da occupazione illegittima (pag. 4, penultimo capoverso), non si è espressa esplicitamente sul punto; la pronuncia tuttavia è implicita, perchè, pronunciandosi sul merito e accogliendo la domanda degli attori appellanti, la Corte di appello ha implicitamente ritenuto la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.

Infatti qualsiasi decisione di merito implica la preventiva verifica della potestas iudicandi che, in assenza di formale eccezione o questione rilevata d’ufficio, avviene comunque implicitamente e acquista visibilità nel solo caso in cui la giurisdizione del giudice adito venga negata (Sez. un., 09/10/2008, n. 24883).

1.4. Il primo mezzo di ricorso è infondato.

E’ pur vero che secondo l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato devono ritenersi devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ex art. 133, comma 1, lett. g), cod. proc. amm., le controversie nelle quali si faccia questione, anche a fini risarcitori, di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti a una dichiarazione di pubblica utilità, ancorchè il procedimento nel cui ambito tali attività sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo atto traslativo o sia caratterizzato da atti illegittimi (Sez. U, n. 2145 del 29/01/2018, Rv. 647038 – 01).

Infatti, la controversia avente ad oggetto la restituzione di un suolo, ovvero il risarcimento del danno per la perdita della proprietà del medesimo, occupato d’urgenza, per l’esecuzione di un intervento di edilizia residenziale pubblica, in forza di una dichiarazione di pubblica utilità, ancorchè illegittima (nella specie perchè priva dei termini iniziale e finale dei lavori e delle procedure di esproprio), è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, stante il collegamento della realizzazione dell’opera fonte di danno con la dichiarazione suddetta, senza che rilevi la qualità del vizio da cui sia affetta quest’ultima (Sez. U, n. 15284 del 25/07/2016 Rv. 640700 – 01); ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. g), cod. proc. amm., quando il comportamento della P.A., cui si ascrive la lesione oggetto della domanda, sia la conseguenza di un assetto di interessi conformato da un originario provvedimento ablativo, espressione di un potere amministrativo in concreto esistente, riguardante l’individuazione e la configurazione dell’opera pubblica sul territorio, cui la condotta successiva, anche se illegittima, si ricollega in senso causale (Sez. U, n. 9334 del 16/04/2018, Rv. 648266 – 01).

1.5. Tale orientamento però vale ratione temporis solo per le controversie radicate successivamente al 10/8/2000.

Il D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 133, lett. g), ossia del Codice del processo amministrativo, secondo cui sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge “le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa” è entrato in vigore il 16/9/2010, giusta l’art. 2 del decreto.

Tale disciplina era stata preceduta da quella della L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7, pubblicata in G.U. il 26/7/2000 e entrata in vigore il 10/8/2000, con cui erano stati riproposte le disposizioni del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, artt. 33,34 e 35, dichiarate costituzionalmente illegittime per difetto di idonea delega.

Il citato art. 7 (successivamente ridelimitato nella sua portata ad opera delle sentenze delle Corte Costituzionale del 6/7/2004, n. 204, e del 28/7/2004, n. 281) prevedeva appunto la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica (concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio) ed edilizia; nulla invece era innovato in ordine alla giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa.

Quanto alla disciplina dettata dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 34, come sostituito dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7, comma 1, lett. b), la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato il principio secondo cui, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 204 del 2004 e 191 del 2006, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie risarcitorie promosse in epoca successiva al 10/8/2000, aventi ad oggetto occupazioni illegittime preordinate all’espropriazione e realizzate in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile come tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano, e ciò anche nel caso in cui l’ingerenza nella proprietà privata e/o la sua utilizzazione, nonchè la sua irreversibile trasformazione, siano avvenute senza alcun titolo che le consentisse, ovvero nonostante il venir meno di detto titolo. La predetta giurisdizione non trova giustificazione nell’idoneità della dichiarazione di pubblica utilità a determinare l’affievolimento del diritto di proprietà, e quindi nella configurabilità della posizione giuridica del proprietario come interesse legittimo, ma nella riconducibilità della fattispecie alla materia urbanistico-edilizia, come definita dall’art. 7 citato, in virtù della quale spettano alla cognizione del giudice della Pubblica Amministrazione, quali che siano i diritti (reali o personali) fatti valere nei confronti di quest’ultima, nonchè la natura (restitutoria o risarcitoria) della pretesa avanzata; essa si estende quindi a tutte le ipotesi in cui l’esercizio del potere si è manifestato con l’adozione della dichiarazione di pubblica utilità, anche se poi quest’ultima sia stata annullata da parte della stessa autorità amministrativa che l’ha emessa o dal giudice amministrativo, oppure la sua efficacia sia altrimenti venuta meno, o ancora l’apprensione e/o l’irreversibile trasformazione del fondo abbiano avuto luogo in assenza di titolo o in virtù di un titolo a sua volta caducato (in tal senso da ultimo Sez. U, n. 23102 del 17/09/2019, Rv. 655117 – 01; cfr.Sez. Un., 30/05/2014, n. 12178; 5/04/2013, n. 8349; 29/03/2013, n. 7938).

1.6. La presente controversia tuttavia è stata instaurata in un momento ben anteriore non solo all’entrata in vigore del codice di giustizia amministrativa del 2010 e della L. n. 205 del 2000 (10/8/2000) ma anche al D.Lgs. n. 80 del 1998, perchè è stata introdotta il 26/10/1988 e risulta pertanto soggetta, ratione temporis e ex art. 5 c.p.c., alla previgente disciplina.

A tal proposito non vi era dubbio circa la giurisdizione del giudice ordinario quanto a) alle controversie risarcitorie per il danno da occupazione c.d. espropriativa, iniziate in periodo antecedente al 1 luglio 1998, secondo l’antico criterio di riparto diritti soggettivi-interessi legittimi; b) alle stesse controversie, iniziate nel periodo dal 1 luglio 1998 al 10 agosto 2000, data di entrata in vigore della L. n. 205 del 2000, per effetto della C. Cost. 6 luglio 2004 n. 281 che, ravvisando nell’originario D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34, un eccesso di delega, ha dichiarato l’incostituzionalità delle nuove ipotesi di giurisdizione esclusiva. Sono, invece, devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo tali controversie risarcitorie se iniziate a partire dal 10 agosto 2000 non già perchè la dichiarazione di pubblica utilità sia di per sè idonea ad affievolire il diritto di proprietà trasformandolo in interesse legittimo, ma perchè ricomprese nella giurisdizione esclusiva in materia urbanistico-edilizia secondo l’interpretazione offerta dalla C. Cost. 11 maggio 2006 n. 191 (Sez. un., 27/06/2007, n. 14794, Rv. 597825 – 01; Sez. U, n. 14955 del 02/07/2007, Rv. 597365 – 01; Sez. U, n. 2678 del 04/02/2011,Rv. 615904 – 01; Sez. U, n. 3660 del 17/02/2014,Rv. 629535 – 01).

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il Comune ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione ai criteri di valutazione del risarcimento dei danni per illegittima occupazione in seguito a domanda con rinuncia abdicativa del diritto di proprietà.

2.1. Secondo il Comune ricorrente, la Corte territoriale aveva applicato in maniera arbitraria e senza giustificazione normativa un criterio sui generis nella quantificazione del danno per equivalente e dei danni da occupazione legittima e illegittima, non richiesti, concedendo altresì il risarcimento del danno non patrimoniale, non previsto da alcuna norma e non richiesto dagli attori.

Il quantum del risarcimento doveva essere commisurato al valore venale del bene al momento del perfezionamento della rinuncia abdicativa del proprietario al proprio diritto reale, con rivalutazione ed interessi fino al momento del saldo.

Il risarcimento del danno per mancato godimento del bene a cagione dell’occupazione illegittima doveva essere determinato in una somma pari al 5% annuo del valore del terreno, in applicazione equitativa dei criteri dettati dall’art. 42 bis del TUE.

Non spettava invece alcuna liquidazione forfettaria del danno non patrimoniale, sia perchè ciò è previsto dall’art. 42 bis TUE solo per il caso di correlativa acquisizione del bene con decreto della pubblica amministrazione e non in presenza di negozio abdicativo del privato, sia in quanto la misura del risarcimento disposta in via equitativa è da ritenersi comprensiva di ogni ulteriore posta.

La sentenza impugnata aveva errato, in primo luogo, perchè aveva applicato, ai fini della determinazione del valore patrimoniale dell’immobile, i parametri della relazione del C.t.u. del 20/10/2004, senza alcuna decurtazione, mentre i valori di mercato indicati dal C.t.u. si riferivano al 1983 e non al 1977.

In secondo luogo, il calcolo doveva essere fatto decorrere dalla data della rinuncia abdicativa e cioè dal 26/10/1988 sul valore del bene occupato.

Il calcolo non doveva decorrere dal 1977, ma dal 1988 e non doveva basarsi sui valori rapportati al 1983.

Ulteriore errore era costituito dal fatto che non era stato applicato e calcolato il valore venale del fondo al momento della rinuncia.

Un quarto errore era rappresentato dall’applicazione di interessi al 5% annuo per il periodo di mancato godimento per occupazione illegittima con calcolo a ritroso dal 26/10/1988 al 26/10/1983 considerato il periodo prescrizionale quinquennale.

2.2. La Corte di appello (p. 3, pagg. 11-12 della sentenza impugnata) ha riferito il danno patrimoniale alla data di occupazione dei beni immobili in questione (11/7/1977), considerandone il valore di mercato secondo la valutazione del Consulente tecnico d’ufficio, vi ha aggiunto l’indennità per occupazione legittima per il periodo 11/7/1977-11/7/1983, il risarcimento del danno non patrimoniale, liquidato equitativamente in misura pari al coacervo degli interessi legali e il risarcimento del danno ai macchinari.

2.3. Il ricorrente lamenta con la sua composita censura una pluralità di errori nel procedimento di liquidazione del danno, che dovranno essere separatamente e analiticamente esaminati: a) l’erronea individuazione della data di consumazione del danno (1977 e non 1988); b) la determinazione del valore del bene a valori rapportati al 1983 e non al 1988; c) la mancata applicazione del criterio del 5% annuo per la liquidazione del danno da occupazione illegittima, con escluso il periodo prescritto anteriore al quinquennio antecedente l’introduzione della lite; d) l’attribuzione del risarcimento del danno non patrimoniale, non richiesto e non dovuto.

2.4. Il primo errore lamentato dal Comune, consistente nel considerare la perdita di proprietà dei beni immobili alla data dell’occupazione nel luglio del 1977 e non già al momento della rinuncia abdicativa alla proprietà del suolo irreversibilmente trasformato, manifestata con l’atto di citazione del 1988, è di tutta evidenza e viene in effetti contrastato dalla difesa dei controricorrenti solo sulla base di considerazioni latu sensu equitative e di opportunità, prive di reale consistenza giuridica (controricorso, pag. 11-12).

Il Comune ricorrente si richiama esattamente alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, in materia di espropriazione per pubblica utilità, la necessità di interpretare il diritto interno in conformità con il principio enunciato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui l’espropriazione deve sempre avvenire in “buona e debita forma”, comporta che l’illecito spossessamento del privato da parte della Pubblica Amministrazione e l’irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un’opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, all’acquisto dell’area da parte dell’Amministrazione, sicchè il privato ha diritto a chiederne la restituzione, salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno per equivalente; di conseguenza l’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte della Pubblica Amministrazione, allorchè il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, integra un illecito di natura permanente che dà luogo ad una pretesa risarcitoria avente sempre ad oggetto i danni per il periodo, non coperto dall’eventuale occupazione legittima, durante il quale il privato ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal bene sino al momento della restituzione, ovvero della domanda di risarcimento per equivalente che egli può esperire, in alternativa, abdicando alla proprietà del bene stesso.

Ne consegue che la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento del bene, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente (Sez. U, n. 735 del 19/01/2015, Rv. Rv. 634017 – 01 e 634018 – 01).

E ancora molto recentemente (Sez. 1, n. 16509 del 19/06/2019 (Rv. 654653 – 01) è stato ribadito che nel caso di occupazione acquisitiva derivante dalla trasformazione irreversibile del terreno ablato nell’ambito di un procedimento inizialmente assistito da dichiarazione di pubblica utilità, e successivamente divenuto illegittimo per la mancata emanazione del decreto di esproprio nel termine di legge, l’inefficacia di detta dichiarazione opera ex nunc, non verificandosi alcun travolgimento ex post delle attività legittimamente compiute dalla P.A. sulla base del decreto di occupazione e in pendenza del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità. Ne consegue che al privato è dovuta l’indennità di occupazione legittima a far data dall’immissione in possesso nel bene fino alla perdita di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità che determina in ogni caso la sopravvenuta carenza di potere ablatorio dell’Amministrazione.

A tali principi non si è conformata la Corte reggina che ha considerato come momento consumativo dell’illecito l’11/7/1977 e non già la data della rinuncia abdicativa degli attori (26/10/1988).

2.5. La seconda doglianza mossa dal Comune di Bagnara Calabra al procedimento liquidatorio del danno attiene alla determinazione del valore del bene a valori rapportati al 1983 e non al 1988.

Il ricorrente dà puntualmente conto, ai fini del rispetto dei canoni di specificità ed autosufficienza, del contenuto del passaggio rilevante della relazione del Consulente tecnico ing. B. (pag. 12, rigo decimo), comunque allegata al ricorso e non contestata ex adverso, da cui inoppugnabilmente risulta che il C.t.u. ha determinato il valore dei beni alla data della scadenza del quinquennio di occupazione legittima e quindi al luglio del 1983, data ininfluente a tal fine perchè in quel momento ancora non si era consumata la perdita del diritto di proprietà dei ricorrenti.

Nè rileva la mancata richiesta di rinvio da parte del ricorrente in esito all’auspicata cassazione della sentenza di secondo grado sul punto, come osservano i controricorrenti, trattandosi di provvedimento ufficioso di competenza della Corte in ordine alla necessità del giudizio rescissorio.

2.6. La terza doglianza del Comune attiene alla mancata applicazione del criterio del 5% annuo per la liquidazione del danno da occupazione illegittima, con esclusione del periodo prescritto anteriore al quinquennio antecedente l’introduzione della lite.

In buona sostanza, secondo il Comune al risarcimento del danno da perdita della proprietà, liquidato con decorrenza luglio 1988 ai valori del 1988, opportunamente rivalutati e corredati da interessi, va aggiunto un risarcimento del danno da occupazione illegittima dei beni, nella misura del 5% annuo, ma delimitato temporalmente a cinque anni prima del 26/11/1988 (e quindi dal 26/11/1983 al 26/11/1988); rimarrebbe quindi scoperto il periodo dal 11/7/1983 (data di scadenza dell’occupazione legittima indicata in sentenza), al 26/11/1983; è opportuno precisare che l’indennità di occupazione legittima liquidata in sentenza non è stata oggetto dell’impugnazione del Comune di Bagnara.

La sentenza impugnata non ha liquidato autonomamente il danno da occupazione illegittima e di fatto lo ha conglobato nel risarcimento del danno da perdita della proprietà, fatto risalire addirittura al 1977.

Il procedimento corretto dovrà pertanto basarsi sulla liquidazione del danno da occupazione illegittima separatamente da quello derivante dalla perdita di proprietà del terreno, con decorrenza dall’11/7/1983 e commisurato ai valori degli immobili a tale data, in ragione di ogni anno, o frazione di anno, di illegittima occupazione sino al 26/10/1988.

In relazione a tale pretesa dovranno essere valutati i presupposti dell’estinzione per prescrizione quinquennale, fatta valere dal Comune, risalendo a ritroso dalla data della domanda giudiziale dell’ottobre 1988 e quindi con riferimento al modesto intervallo dal luglio all’ottobre 1983.

2.7. Il Comune di Bagnara con la quarta doglianza lamenta l’attribuzione del risarcimento del danno non patrimoniale, non richiesto e non dovuto.

Al riguardo appare pregiudiziale dal punto di vista logico l’esame del terzo motivo, che in parte si sovrappone alla predetta censura e attiene più propriamente alla doglianza di ultrapetizione.

3. Infatti, con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, non avendo gli attori mai richiesto il risarcimento del danno non patrimoniale.

3.1. Dalla sentenza impugnata non risulta affatto che gli attori abbiano mai chiesto il risarcimento del danno non patrimoniale.

A pagina 2, quanto alle richieste di primo grado, vien fatta menzione della loro domanda di pagamento delle somme corrispondenti al valore del terreno e dei fabbricati, nonchè del risarcimento del danno al residuo terreno non ablato; a pagina 4, quanto al gravame, viene fatta menzione della richiesta degli appellanti del riconoscimento dell’integrale valore venale dei beni di fatto espropriati o comunque l’aumento dell’indennizzo liquidato in primo grado.

Nessun’altra indicazione è contenuta nella sentenza della Corte reggina, che a pagina 12, primo capoverso, mostra soltanto di volersi occupare della questione con la frase introduttiva “Quanto al danno non patrimoniale….”.

3.2. I controricorrenti si difendono sul punto assumendo che la loro richiesta di vedersi risarcire “tutti i danni subiti”, sia in primo grado, sia con le conclusioni dell’atto di appello, fosse più che sufficiente a introdurre la richiesta anche del danno non patrimoniale.

I controricorrenti si richiamano a quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale in tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, l’unitarietà del diritto al risarcimento ed il suo riflesso processuale dell’ordinaria infrazionabilità del giudizio di liquidazione comportano che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta, sicchè, laddove nell’atto introduttivo siano indicate specifiche voci di danno, a tale specificazione deve darsi valore meramente esemplificativo dei vari profili di pregiudizio dei quali si intenda ottenere il ristoro, a meno che non si possa ragionevolmente ricavarne la volontà attorea di escludere dal petitum le voci non menzionate. (Sez. 6 – 3, n. 15523 del 07/06/2019, Rv. 654310 – 01; Sez. 3, n. 17879 del 31/08/2011, Rv. 619359 – 01; Sez. 3, n. 22514 del 23/10/2014, Rv. 633070-01).

3.3. Così argomentando, i ricorrenti non tengono conto della necessità della proposizione di una valida domanda, completa di tutti i suoi elementi costitutivi essenziali e della sua corretta riproposizione in appello.

Non è certo sufficiente a tal fine la mera proposizione del petitum, perchè l’atto deve contenere anche l’adeguata rappresentazione della causa petendi: fra i requisiti essenziali della domanda giudiziale, la cui indeterminazione è sanzionata dall’art. 164 c.p.c., comma 4, figura non solo “la cosa oggetto della domanda” (ossia il petitum) ma anche la “l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni” (ossia la causa petendi).

3.4. In tema di risarcimento del danno non patrimoniale il punto di riferimento imprescindibile è tuttora fissato dalle quattro sentenze gemelle delle Sezioni Unite dell’11/11/2008 n. 2697226975.

Secondo le Sezioni Unite il danno civile si ripartisce, esaustivamente, in due grandi categorie, ossia il danno patrimoniale e il danno non patrimoniale, senza spazio residuo per figure ulteriori e in particolare per una sorta di tertium genus. Il danno patrimoniale implica una lesione del patrimonio, inteso come complesso dei beni presenti e futuri appartenenti al soggetto (art. 2740 c.c.), suscettibili di valutazione economica (art. 1174 c.c.). La categoria del danno non patrimoniale, invece, viene concepita in modo ampio e onnicomprensivo, in modo tale da includervi ogni ipotesi di pregiudizio alla persona non suscettibile di valutazione economica quale la lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.

Per effetto del fondamentale principio di tipicità sancito dall’art. 2059 c.c. il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge; l’ipotesi più frequente è quella del fatto illecito che integri gli estremi di un reato (art. 185 c.p.); altre ipotesi di risarcibilità del danno non patrimoniale sono espressamente previste caso per caso dalla legge.

Il danno non patrimoniale è inoltre risarcibile nei casi di lesione grave di un diritto inviolabile della persona, purchè ne sia derivato un pregiudizio non futile, quale tutela minima ed insopprimibile per la violazione di diritti riconosciuti dalla Carta Costituzionale, tale da determinare una ingiustizia costituzionalmente qualificata.

E’ però necessario che la lesione del diritto costituzionalmente garantito abbia rappresentato il vero e proprio evento di danno e non la sua conseguenza: solo il rilievo costituzionale dell’interesse leso permette il risarcimento del danno non patrimoniale e non è quindi sufficiente il rilievo costituzionale del pregiudizio scaturito.

Il danno non patrimoniale è quindi danno-conseguenza che necessita di allegazione ad opera della parte interessata.

Nella predetta sentenza 26972 del 2008 delle Sezioni Unite si legge “Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza….. che deve essere allegato e provato. Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con l’evento dannoso, parlando di danno evento. Per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. Attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri Il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto”.

Nella giurisprudenza più recente di questa Corte è acquisito il principio della necessità di allegazione del danno – conseguenza non patrimoniale, in tutti i suoi elementi costitutivi, salva la possibilità di una sua prova in via presuntiva (Sez. 3, n. 5807 del 28/02/2019, Rv. 652841 – 01; Sez. 2, n. 28742 del 09/11/2018,Rv. 651525 01; Sez. 3, n. 11269 del 10/05/2018, Rv. 648606 – 01; Sez. 3, n. 20885 del 22/08/2018, Rv. 650433 – 01; Sez. 1, n. 13992 del 31/05/2018, Rv. 649164 – 01; Sez. 3, n. 11269 del 10/05/2018, Rv. 648606 – 01).

3.5. Nella fattispecie pertanto non era mai stata formulata una domanda di risarcimento del danno non patrimoniale corredata dalle necessarie allegazioni in fatto in ordine al pregiudizio patito, neppure considerando la più ampia facoltà di emendatio libelli consentita dal rito processuale vigente prima delle modifiche introdotte dalla Novella di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353.

Per altro verso, nulla era stato disposto sul punto dalla sentenza di primo grado e i controricorrenti, allora appellanti, non avevano formulato alcun specifico motivo di gravame al riguardo.

3.6. L’accoglimento del terzo motivo di gravame assorbe la questione circa l’ammissibilità del risarcimento del danno non patrimoniale da occupazione appropriativa previsto dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 42 bis, comma 1 (aggiunto dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 34, comma 1, applicabile ai sensi del comma 8 dello stesso articolo anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore), che secondo il ricorrente sarebbe applicabile solo per il caso di emanazione del decreto di acquisizione da parte della Pubblica Amministrazione e non nella diversa ipotesi in cui sia il proprietario del bene immobile utilizzato per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità ad agire in giudizio.

4. L’accoglimento del secondo e del terzo motivo, rigettati il primo e il quarto, comporta la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, rigettati il primo e il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2020

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