Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30349 del 18/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 30349 Anno 2017
Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: VINCENTI ENZO

ORDINANZA
sul ricorso 1051-2017 proposto da:
SCAMPORRINO MARCELLO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA DEI GRACCHI 187, presso lo studio dell’avvocato
MARCELLO MAGNANO SAN LIO, rappresentato e difeso
dall’avvocato CARLO GIOVANNI LISI;
– ricorrente contro
CATALANO RAFFAELLA, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di
CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCELLO
IACA;
– controricorrente avverso la sentenza n. 1558/2016 della CORTE D’APPELLO di
CATANIA, depositata il 08/11/2016;

Data pubblicazione: 18/12/2017

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata dell’08/11/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Ritenuto che, con ricorso affidato a cinque motivi, Marcello
Scamporrino ha impugnato la sentenza della Corte di appello di
Catania, sezione agraria, in data 8 novembre 2016, che ne rigettava il

la decisione del Tribunale di Siracusa, sezione agraria, che, a sua volta,
respingeva la domanda di usucapione del fondo sito in Lentini, in
contrada Dagala, proposta dal medesimo Scamporrino, accogliendo la
domanda riconvenzionale di restituzione del fondo stesso avanzata
dalla proprietaria Raffaella Catalano, compensando per metà le spese
di lite e ponendo la restante metà a carico dell’attore.
che la Corte territoriale osservava: 1) ai fini della prova
dell’intervenuta usucapione del fondo, non erano decisive le
dichiarazioni rese dalla Catalano allo SCAU (nel 1983 e poi anche nel
1989), giacché non solo rese ad un “terzo ente pubblico”, ma anche
perché dalle stesse si evinceva, in definitiva, che, cessato il rapporto di
mezzadria, si era venuto a configurare un rapporto di comodato
gratuito “connesso ad un preliminare di vendita nullo per mancanza di
forma scritta”; 2) lo Scamporrino non aveva, quindi, fornito prova del
mutamento della detenzione in possesso, là dove, poi, dagli atti di
causa era emerso che era stata sempre la Catalano “a versare le imposte
e tasse fondiarie, nonché a provvedere alle spese straordinarie” inerenti
alla gestione idrica del fondo; 3) la prova per testi richiesta in primo
grado dall’attore e non accolta dal Tribunale era da reputarsi
“abbandonata non essendo stata reiterata (con istanza di revoca
dell’ordinanza) prima dell’assegnazione della causa a sentenza”; in ogni
caso, la medesima prova si palesava “non decisiva sul punto”
(tendendo a dimostrare attività compatibili anche con la detenzione,
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gravame (con integrale compensazione delle spese del grado) avverso

ovvero richiamando solo genericamente “non meglio precisate
migliorie”, ovvero ancora implicando inammissibili valutazioni
giuridiche sulla qualificazione “in termini di possesso della relazione
col bene”);
che resiste con controricorso Raffaella Catalano;

civ., è stata comunicata ai difensori delle anzidette parti, unitamente al
decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in
prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione
semplificata.

Considerato, preliminarmente in riferimento ai rilievi della
memoria del ricorrente circa la proposta del relatore, che (anche a
prescindere dalla non congruenza degli stessi rilievi rispetto ad una
proposta in linea con la sommarietà richiesta dal Protocollo del 15
dicembre 2016 tra Corte di cassazione e C.N.F.) l’art. 380-bis cod.
proc. civ., come modificato dall’art. 1 bis del d.l. n. 168 del 2016 (conv.,

con modif., dalla 1. n. 197 del 2016), non prevede che la “proposta” del
relatore di trattazione camerale possa e debba essere motivata, potendo
essa contenere sommarie o schematiche indicazioni, ritenute dal
presidente meritevoli di segnalazione alle parti, al momento della
trasmissione del decreto di fissazione della camera di consiglio, al fine
di una spontanea e non doverosa agevolazione nell’individuazione dei
temi della discussione, senza che possa riconoscersi un loro
corrispondente diritto (Cass. n. 4541/2017);
a) che, con il primo mezzo, è denunciata, ai sensi dell’art. 360,
primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione
degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., per aver la Corte territoriale
pronunciato oltre i limiti della domanda riferendosi ad un preliminare
Ric. 2017 n. 01051 sez. M3 – ud. 08-11-2017
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che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc.

di vendita e a un comodato gratuito di cui le parti mai avevano fatto
cenno, altresì travisando le dichiarazioni rese dalla Catalano all’ente
pubblico, da intendersi come confessione stragiudiziale ex art. 2735
cod. civ.;
a.1) il motivo è in parte inammissibile e in parte manifestamente

– con esso non solo non viene fornita intelligibile contezza dei
contenuti specifici degli atti processuali (citazione originaria e citazione
in riassunzione) da cui potersi evincere la portata della domanda
proposta (e delle allegazioni che la sorreggono), essendo carente altresì
la relativa localizzazione processuale ai sensi dell’art. 366, primo
comma, n. 6, cod. proc. civ. (là dove neppure con la memoria il
ricorrente coglie la portata di tali rilievi, tacendo, infatti, quanto ai
contenuti e alla localizzazione degli atti processuali anzidetti necessari
per individuare la domanda giudiziale), ma — anche a voler tener conto
delle scarne indicazioni del ricorso, che accennano ad una domanda di
usucapione di fondo agricolo per interversione del possesso — si palesa
comunque manifestamente infondato, non avendo il giudice di appello
(cfr. sintesi della sentenza che precede) affatto pronunciato oltre la
domanda di usucapione, ma — nell’esercizio dei poteri ad esso spettanti
– soltanto valutato le prove fornite dall’attore a fondamento della
domanda stessa e tratto da esse gli argomenti del proprio
convincimento;
– è, poi, inammissibile la doglianza che evoca la violazione degli
artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non denunciando essa la violazione
(comunque insussistente nella specie) del principio di disponibilità
delle prove o di quello del prudente apprezzamento delle stesse (cfr.
Cass. n. 11892/2016), ma soltanto lamentando la valutazione

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infondato:

probatoria riservata al giudice del merito (come, del resto, si insiste,
ancora inammissibilmente, con la memoria);
– è, infine, manifestamente infondata la censura che evoca la
violazione dell’art. 2735 cod. civ., posto che la confessione fatta ad un
terzo (nella specie, lo SCAU) è liberamente apprezzabile dal giudice

memoria) e come tale è stata apprezzata dalla Corte di appello;
b) che, con il secondo mezzo, è dedotta, ai sensi dell’art. 360,
primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per
violazione dell’art. 420 cod. proc. civ., per aver la Corte territoriale
erroneamente ritenuto che l’attore avesse rinunciato alla prova
testimoniale (reiterata invece nelle note conclusive di primo grado),
altresì contraddicendosi e, comunque, errando nel valutare la prova
stessa come non decisiva;
b.1) il motivo è manifestamente infondato, dovendosi rilevare,
in via assorbente (anche delle considerazioni svolte con la memoria),
che il giudice di appello ha espresso il giudizio di non decisività della
prova testimoniale con coerente e logica motivazione (cfr. sintesi della
sentenza che precede e p. 4 della stessa sentenza), risultando così bene

esercitato il potere insindacabile ad esso spettante di individuare le
fonti di prova e di valutarne attendibilità e concludenza;
c) che, con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360,
primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza “per omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia”, avendo la Corte territoriale fondato la propria decisione
su un impianto motivazione illogico (dando erroneo rilievo a rapporti
giuridici mai intercorsi tra le parti e travisando gli atti processuali e le
prove raccolte) e con affermazioni “incomprensibili”;

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(principio giuridico che il ricorrente non coglie neppure con la

c.1) il motivo è inammissibile, giacché, sebbene rubricato ai
sensi del n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ., la critica alla motivazione
della sentenza impugnata è orientata secondo il paradigma di cui
all’abrogato n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (come, del resto, si insiste
con la memoria, al di là delle considerazioni sulla formale deduzione

giudizio di legittimità, mancando, comunque, di porre in evidenza sia
l'(eventuale) omesso esame di fatti storici decisivi, sia il vizio di
apparenza di motivazione o di motivazione insanabilmente
contraddittoria, che non è dato affatto ravvisare nell’iter argomentativo
seguito dalla Corte di appello;
d) che, con il quarto mezzo, è denunciata, ai sensi dell’art. 360,
primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 38 cod. proc.
civ., per aver la Corte territoriale mancato di dichiarare la propria
“incompetenza funzionale per materia”, avendo accertato che la natura
del rapporto non era riconducibile ad un contratto agrario,
d.1) il motivo è inammissibile, giacché sulla competenza della
sezione specializzata agraria si è formato il giudicato, non avendo lo
stesso originario attore impugnato l’iniziale declaratoria di competenza
di detta sezione e, anzi, avendo provveduto esso stesso (cfr. anche p. 3
del ricorso) alla riassunzione della causa in armonia con tale
statuizione;
– che gli argomenti spesi nella memoria per accreditare
l’applicazione dell’art. 37 cod. proc. civ. e il “difetto di giurisdizione”
(con conseguente asserita insussistenza di un giudicato implicito) sono
del tutto inconsistenti, posto che è principio risalente e costante (Cass.,
S.U., n. 897/1963, Cass. n. 3655/1968, Cass., S.U., n. 19512/2008,
Cass. n. 10508/2015) quello per cui il riparto di attribuzioni tra
tribunale ordinario e sezione specializzata agraria pone una questione
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del tipo di vizio di cui al citato art. 360), non applicabile al presente

di competenza e non già di giurisdizione, con conseguente
applicazione dell’art. 38 cod. proc. civ. e delle ulteriori norme sul
regolamento di competenza;
e) che, con il quinto mezzo, è dedotta, ai sensi dell’art. 360,
primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 91 e

compensato anche le spese di primo grado “per la particolarità della
questione e l’obiettiva incertezza della situazione di fatto protrattasi per
un lungo periodo”, sebbene, in forza di tale motivazione, avesse “di
fatto” riformato sul punto anche la sentenza del Tribunale, dovendosi
quindi attenere al cd. “effetto espansivo interno” di cui all’art. 336 cod.
proc. civ.;
e.1) il motivo è inammissibile, giacché (oltre a prestarsi ad una
obiettiva difficile intelligibilità, non affatto chiarita dalla memoria che
ne ripete il medesimo sviluppo) muove da una premessa del tutto
estranea alla portata della sentenza impugnata, ossia che questa abbia
riformato (“di fatto”) la prima decisione in punto di spese, ciò che,
invece, non è affatto evincibile dalla stessa sentenza di appello, che, nel
rigettare il gravame, ha confermato la sentenza del Tribunale e
provveduto a compensare interamente solo le spese del grado di
appello, peraltro in applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ. nella
formulazione antecedente a quella riformata dalla legge n. 69 del 2009
(cui il ricorrente fa riferimento nel richiamare la necessità di “gravi ed
eccezionali ragioni”), essendo il giudizio iniziato nel 2001;
che il ricorso va, dunque, rigettato e il ricorrente condannato al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in
dispositivo in conformità ai parametri di cui al d.m. n. 55 del 2014;
che la presente controversia agraria, siccome devoluta alle
sezioni specializzate di cui alla legge n. 320 del 1963, pur non
Ric. 2017 n. 01051 sez. M3 – ud. 08-11-2017
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92 cod. proc. civ., per non aver la Corte territoriale interamente

annoverata tra quelle esentate dal contributo unificato disciplinate dagli
artt. 9 e 10 del d.P.R. n. 115 del 2002, continua a fruire della non
r\\

abrogata norma di cui all’art. 3 della 1. n. 283 del 1957, sicché è esente
dal detto contributo e, conseguentemente, dal suo raddoppio come
disposto dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass.

PER QUESTI MOTIVI
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della parte
controricorrente, in euro 6.000,00, per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00, e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3

n. 6227/2016).

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