Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30347 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 23/11/2018, (ud. 15/02/2018, dep. 23/11/2018), n.30347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13059/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la stessa domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

Società Gestione Alberghiera, in persona del legale rappresentante

pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sicilia depositata il 28 aprile 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 febbraio

2018 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Esaminato il parere del Sostituto Procuratore Generale, dott.

Giovanni Giacalone, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1.Con avviso di recupero di credito di imposta l’Agenzia delle Entrate provvedeva a recuperare il credito di imposta, indebitamente utilizzato dalla Società Gestione Alberghiera s.r.l., per l’anno di imposta 2002, per l’importo complessivo di Euro 66.412,67, relativo a lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria eseguiti nell’immobile di proprietà di terzi, Hotel Paradiso, in (OMISSIS), condotto in locazione dalle SGA.

2.La Commissione tributaria provinciale di Messina accoglieva il ricorso, ritenendo spettante il credito di imposta anche per gli investimenti effettuati su beni di terzi gestiti in locazione.

3.La Commissione tributaria regionale della Sicilia rigettava il gravame proposto dalla Agenzia delle entrate, rilevando che ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 8, l’investimento era innovativo ed era finalizzato a migliorare la struttura aziendale, “anche se le migliorie riguardavano locali condotti in affitto”, trattandosi, pertanto, di “lavori connessi ed inscindibili rispetto al complesso delle opere principali finanziate e finalizzate allo scopo di aumentare la potenzialità produttiva della struttura alberghiera”.

4.Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia delle entrate.

5.Non notificava controricorso l’intimata società.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Con un unico motivo di impugnazione l’Agenzia della entrate deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 8, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. In particolare, si rileva che in caso di locazione, gli interventi di ampliamento e di riattivazione del complesso immobiliare, sono capitalizzabili ed iscrivibili nella voce “immobilizzazione immateriali” dello stato patrimoniale, qualora non siano separabili dai beni dei terzi sui quali sono stati sostenuti. Tali interventi vanno, invece, iscritti tra le “immobilizzazioni materiali” dello stato patrimoniale, nel caso in cui siano dotati di una propria autonomia ed individualità e funzionalità, sì da poter essere rimossi dall’utilizzatore al termine del contratto di comodato o locazione. Rientrano nell’ambito della disciplina di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 8,allora, solo le spese incrementative sui beni di terzi classificate tra le immobilizzazioni materiali, in quanto costituenti beni materiali e non meri costi.

1.1.Tale motivo è fondato.

Invero, per la Suprema Corte, in tema di agevolazioni fiscali per le aree svantaggiate, il credito d’imposta previsto dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8, per i soggetti titolari di reddito d’impresa che, nel periodo ivi indicato, abbiano effettuato nuovi investimenti, spetta per i beni strumentali, materiali e immateriali, che siano nuovi e fiscalmente ammortizzabili ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 67 e 68 (oggi 103 e 104), sicchè le spese incrementative relative ad un immobile (nella specie detenuto, all’epoca dell’utilizzo dell’agevolazione fiscale, a titolo locatizio) rilevano, ai fini del credito d’imposta suddetto, solo se il contribuente dimostri che i relativi costi possano essere contabilizzati in bilancio tra le “immobilizzazioni materiali”, in quanto, trattandosi di opere aventi una loro autonoma funzionalità ed individualità, a prescindere dal bene altrui cui accedono possono essere, al termine della locazione rimossi ed utilizzati separatamente dall’investitore, a differenza delle spese incrementative riguardanti opere prive di tali caratteristiche rispetto al bene cui accedono, da classificarsi nell’attivo dello stato patrimoniale tra le “altre immobilizzazioni immateriali”, che non costituiscono beni autonomi ma, stante l’accessione su beni di terzi, meri costi deducibili (Cass. Civ., 20 dicembre 2013, n. 28535; Cass. Civ., 6 settembre 2017, n. 20814).

1.2.Nella specie, la Commissione tributaria regionale non si è attenuta al principio di diritto su enunciato, essendosi limitata a riconoscere il credito di imposta, solo sulla scorta del carattere “innovativo” degli interventi, finalizzati “a migliorare la struttura aziendale”, senza distinguere tra spese che attenevano ad immobilizzazioni materiali, per le quali spetta il credito di imposta stante l’autonoma funzionalità ed individualità del bene (bene materiale, appunto, e non mero costo), che può essere rimosso ed utilizzato separatamente dall’investitore, al termine del rapporto di locazione, e spese che attengono solo alle immobilizzazioni immateriali, che, invece, sono riferibili a bene senza una loro autonomia funzionale, che costituiscono solo costi deducibili.

2.Nel caso di specie, è pacifico che si tratta solo di lavori di ristrutturazione dell’immobile, che quindi non possono essere rimossi al termine della locazione, con esclusione, quindi, del credito di imposta.

3.11 ricorso va, quindi, accolto, e l’impugnata sentenza cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma, 2, dovendosi dichiarare non spettante il credito di imposta per la somma di Euro 66.421,67.

Le spese processuali dei giudizi di merito si compensano tra le parti, in quanto il principio giurisprudenziale sul punto controverso si è consolidato dopo la proposizione del ricorso, e quelle del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Compensa le spese processuali relative ai giudizi di merito e condanna la contribuente a rifondere alla Agenzia delle entrate le spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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