Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30345 del 23/11/2018
Cassazione civile sez. trib., 23/11/2018, (ud. 15/02/2018, dep. 23/11/2018), n.30345
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7210/2012 R.G. proposto da:
Imeco s.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante
pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Umberto Cassano,
elettivamente domiciliata presso lo studio di questi, in Roma, Via
Edoardo D’Onofrio n. 43, in virtù di procura speciale a margine del
ricorso.
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro-tempore,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso
la stessa domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della
Campania depositata il 27 gennaio 2011.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 febbraio
2018 dal Consigliere Luigi D’Orazio.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1.in data 25-8-2006 l’Agenzia delle entrate notificava alla Imeco s.r.l. l’invito a presentarsi presso l’ufficio per esibire documentazione relativa alla cessione del terreno edificabile registrata in data 12-11-2001, con l’avvertenza che le notizie i dati ed i documenti non esibiti o non trasmessi in risposta non potevano essere presi in considerazione a favore del contribuente in sede contenziosa.
2.In data 12-12-2006 veniva notificato alla società l’avviso di accertamento per il pagamento di una maggiore imposta Irpeg per l’anno 2001 sulla base della cessione a titolo oneroso del terreno suddetto, che aveva procurato una plusvalenza.
3.La contribuente presentava ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma rilevando che per la vendita del terreno era stata emessa la fattura (OMISSIS) da parte della venditrice, sulla quale era stata versata la relativa imposta Iva, ed anche la relativa imposta sui redditi, essendo tale vendita confluita nel volume di affari della società.
4.La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, avendo la società allegato al ricorso la fattura riguardante la cessione del terreno, unitamente ad altra documentazione fiscale riguardante l’anno in riferimento.
5.La Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza depositata il 271-2011, accoglieva l’appello della Agenzia delle entrate, evidenziando che la società non aveva in alcun modo giustificato la mancata risposta all’invito a fornire documenti, con ciò violando la disposizione di cui al D.P.R. n. 600 del 1972, art. 32, impedendo in sede contenziosa di poter prendere in considerazione gli atti ed i documenti favorevoli alla contribuente, che peraltro le prove documentali offerte in sede contenziosa non erano sufficienti a dimostrare la correttezza dell’operato della società, in quanto dalla dichiarazione dei redditi del 2002 e dalla fattura prodotta si poteva trarre solo “il coacervo del totale dei ricavi del 2001 e non invece se la fattura in oggetto” era stata ricompresa in essi o meno, a ciò occorrendo l’esame comparativo con il libro giornale e con i registri iva che invece non erano stati prodotti.
6.Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione la società.
7.Resisteva con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con il primo motivo di impugnazione la società deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
2.Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente censura la sentenza della Commissione tributaria regionale per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti e rilevabile di ufficio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In particolare, secondo la ricorrente “del tutto infondato è l’assunto dei giudici di appello quando affermano che le prove documentali offerte in sede contenziosa non sono sufficienti a dimostrare la correttezza dell’operato della contribuente”.
3.Tali motivi, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono inammissibili.
Invero, la decisione della sentenza della Commissione tributaria regionale poggia su due diverse rationes decidendi: la prima relativa alla mancata esibizione dei documenti da parte della ricorrente al momento dell’invito a produrli, sicchè ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 32, tali documenti non potevano essere considerati in sede contenziosa; la seconda relativa alla insufficienza dei documenti comunque prodotti dalla ricorrente in sede contenziosa, in quanto, in assenza della produzione del libro giornale e dei registri Iva, non era possibile stabilire se la fattura era stata conteggiata nel volume di affari complessivo.
La ricorrente non ha censurato nessuna delle due rationes decidendi limitandosi ad allegare che è infondato l’assunto dei giudici di appello quando “affermano che le prove documentali in sede contenziosa non sono sufficienti a dimostrare la correttezza dell’operato della contribuente”, non cogliendo neppure la ratio della seconda parte della motivazione, laddove si rinveniva tale insufficienza nella mancata produzione del libro giornale e dei registri Iva. La prima ratio decidendi non è stata, poi, neppure lambita dalla impugnazione in sede di legittimità.
Ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass. Civ., 27 luglio 2017, n. 18641).
Inoltre, nel primo motivo di impugnazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, neppure sono state indicate le norme di legge asseritamente violate.
3.Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente a rimborsare in favore dell’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 3.800,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 febbraio 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018