Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30342 del 18/12/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 18/12/2017, (ud. 28/09/2017, dep.18/12/2017),  n. 30342

Fatto

CONSIDERATO

Che con sentenza in data 20/2/2012, la Corte d’Appello di Catanzaro, in parziale riforma della decisione del Tribunale della stessa sede n. 700/2009 ha rigettato la domanda di V.A., rivolta a ottenere il riconoscimento del suo diritto alla corresponsione dell’assegno ad personam e del maturato economico dall’1/4/1999, data in cui l’appellante era stata riammessa in servizio presso l’Agenzia Autonoma Gestione Albo Segretari Comunali (AGES), da cui si era dimessa il 3/2/1995 per passare alle dipendenze di altra amministrazione.

Che avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione V.A. con un’unica censura illustrata da memoria, cui resiste con tempestivo controricorso il Ministero dell’Interno, succeduto a titolo universale nelle funzioni e nelle competenze appartenenti all’AGES, ente soppresso con L. 30 luglio 2010, n. 122 (art. 7, comma 31 ter e ss.).

Diritto

RITENUTO

Che con l’unica censura parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 40, commi 5 e 6 del c.c.n.l. per i dipendenti del comparto Ministeri del 16/5/1995, nonchè del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 132, comma 3. Che sotto il profilo della violazione della norma collettiva, la sentenza d’Appello è contestata per non aver considerato raggiunti dalla dipendente i quindici anni di anzianità richiesti dal contratto collettivo ai fini della maturazione del diritto all’assegno ad personam di cui all’articolo unico, comma 6, dell’accordo integrativo del 14/9/1995 e al maturato economico di cui al comma 5, della disposizione integrativa. Che tali indennità, contemplate anche dai successivi contratti collettivi, sono diventate parte integrante della retribuzione spettante ai segretari comunali, come avrebbe confermato anche un parere dell’ARAN. Che sotto il profilo della violazione del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 132, comma 3, la parte ricorrente, contrastando quanto statuito dal Giudice d’Appello, prospetta che i periodi di servizio ante e post riammissione, avrebbero dovuto cumularsi ai fini del calcolo dell’anzianità necessaria a maturare le posizioni giuridiche ed economiche richieste, sul presupposto che con la riammissione in servizio non verrebbe instaurato un nuovo rapporto di lavoro ma si avrebbe la prosecuzione di quello precedente. A tal uopo si menziona anche un parere dell’Organismo di Pari Opportunità (n. 9 del 27/4/2005), richiesto dalla stessa AGES, che avrebbe riconosciuto, in capo alla dipendente riammessa, il diritto a percepire le indennità contestate.

Che la censura è infondata.

Che essa si appunta sulla violazione e falsa applicazione di una disposizione unica integrativa del c.c.n.l. del 16/5/1995. Che, ricostruita la disciplina delle carriere dei segretari comunali, la Corte d’Appello ha statuito che le problematiche inerenti al rapporto di lavoro degli stessi non avevano trovato soluzione nel c.c.n.l, e che le parti sociali si erano impegnate a rivedere, alla luce di una successiva riforma della carriera della categoria, le problematiche a essa connesse. Che in seguito all’entrata in vigore del D.L. 30 giugno 1995, n. 267 (non convertito) le parti sociali hanno stipulato l’accordo del 14/9/1995 che contiene in un’unica disposizione transitoria, la specifica disciplina dell’assegno ad personam (comma 6) e del maturato economico. Che pertanto, l’art. 40 del c.c.n.l per il comparto Ministeri risulta integrato da una disposizione transitoria la quale ha stabilito gli aumenti stipendiali per i segretari di 8^ e 9^ qualifica e le relative decorrenze, e ha dettato la disciplina di alcune specifiche voci retributive, come la retribuzione individuale di anzianità (cd. RIA) e l’indennità di funzione e di coordinamento.

Che la Corte territoriale ha accertato che la ricorrente non ha provato in giudizio che, al momento dell’entrata in vigore dell’accordo, godeva di somme derivanti da voci retributive quali RIA e indennità di funzione e coordinamento, per un importo superiore all’indennità di direzione, per cui sarebbe maturato in capo ad essa il diritto alla conservazione del maggiore ammontare a titolo di indennità ad personam, ai sensi del comma 6 dell’articolo unico di cui all’accordo 14/9/1995, emanato ad integrazione dell’art. 40 del c.c.n.l. 16/5/1995.

Che per quanto attiene poi all’eventuale spettanza della voce retributiva di cui al comma 5 della disposizione integrativa, cd. maturato economico, la Corte ha precisato che, al fine di valutarne l’attribuibilità alla ricorrente, risultava determinante sciogliere il nodo interpretativo del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 132. Che la censura, anche là dove contesta la violazione da parte della Corte d’appello del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 132 si rivela infondata.

Che, in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto del presente giudizio, questa Corte si è già espressa sulla natura e sull’entità dell’istituto della riammissione in servizio del dipendente pubblico, statuendo che questo “…non dà luogo alla reviviscenza del precedente rapporto di lavoro, ma alla costituzione di uno nuovo, anche se disposizioni di legge (quale il D.P.R. n. 3 del 1957, art. 132) o del contratto collettivo prevedono la riammissione nel ruolo precedentemente ricoperto, o l’attribuzione dell’anzianità pregressa.” (Cass. n. 26556/2008).

Che il riferimento al “pregresso rapporto”, da parte del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 132 deve intendersi ai soli fini dell’individuazione del ruolo e della qualifica in cui collocare il soggetto riammesso, di tal che le conseguenze giuridiche ed economiche connesse alla scelta volontaria di dimettersi sono fatte gravare esclusivamente sul dipendente. Che pertanto, l’anzianità nella qualifica del dipendente riammesso in servizio decorre dalla data del provvedimento di riammissione, agli effetti sia giuridici sia economici. Che correttamente, pertanto, la Corte d’Appello ha ritenuto che per quanto concerne la progressione economica maturata dopo le dimissioni, il termine da considerare debba essere la data del provvedimento di riammissione in servizio, alla quale, tuttavia, la ricorrente non aveva ancora maturato il requisito dei quindici anni di anzianità tale da poterne usufruire.

Che essendo, pertanto, la censura infondata, il ricorso va rigettato. Le spese, come indicate in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento nei confronti del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000 per competenze professionali, prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 28 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2017

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