Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30337 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2019, (ud. 19/02/2019, dep. 21/11/2019), n.30337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16521/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata

in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

A.M.A. s.a.s. di Raimondi Enrico, con sede in Segrate via Palazzina

Spedizionieri, Aeroporto di Linate, rappresentata e difesa, giusta

mandato speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti Marco

Turci e Alessandro Fruscione, elettivamente domiciliata presso lo

studio di quest’ultimo, in Roma via Giambattista Vico 22;

-controricorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia n. 54/19/2012, depositata il 16 maggio

2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio

2019 dal Consigliere Marco Dinapoli.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La A.M.A. s.a.s. di R.E. impugnava con vari motivi nn. 11 avvisi di rettifica dell’accertamento ed altrettanti atti di contestazione di sanzione notificatile dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli di Milano nel novembre 2007 per l’importo complessivo di Euro 150.066,15 oltre interessi, a titolo di Iva all’importazione non assolta in dogana, e di Euro 45.154,84 a titolo di sanzione amministrativa, per operazioni effettuate nell’anno 2005 in regime di sospensione di imposta previsto dal D.L. 30 agosto 1993, n. 231, art. 50 bis, per merce invece non introdotta materialmente nel deposito fiscale.

La Commissione Tributaria Provinciale di Varese accoglieva il ricorso con sentenza n. 98/01/2009. Avverso tale decisione l’Agenzia delle dogane proponeva appello, che veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con sentenza n. 54/19/2012 del 7 maggio 2012 (depositata il 16 maggio 2012) non notificata.

L’Agenzia delle dogane e dei monopoli ricorre in questa sede per quattro motivi e chiede la cassazione della sentenza impugnata con vittoria di spese. La società convenuta deposita controricorso con cui eccepisce l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso avverso, e chiede disporsi rinvio pregiudiziale alla CGUE. Successivamente deposita memoria illustrativa ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.- Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli lamenta violazione e falsa applicazione del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 50 bis, e dell’art. 201 reg. Ce 2913/1992 (Codice Doganale Comunitario) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La sentenza impugnata sarebbe errata per avere ritenuto che nessuna norma imponga l’introduzione materiale nel deposito Iva delle merci importate.

2.- Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 17 e 67-70, e del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 50 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La sentenza impugnata sarebbe errata per avere ritenuto che, in virtù della neutralità dell’Iva, il pagamento in dogana all’importazione sia fungibile con l’autofatturazione da parte dell’importatore, mentre invece, in base alle norme che si assumono violate, sarebbe inderogabile l’assolvimento dell’obbligo tributario in dogana al momento della presentazione delle merci.

3.- Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli lamenta, sotto altro profilo, violazione e falsa applicazione del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, artt. 50 bis, e dell’art. 201 reg. Ce 2913/1992 (Codice Doganale Comunitario) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 perchè erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto violazione solo formale l’omessa introduzione delle merci importate nel deposito doganale.

4.- Con il quarto motivo di ricorso si denunzia falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1007, n. 471, art. 13, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto non applicabile la sanzione amministrativa per mancanza di danno erariale.

5- La A.M.A. s.a.s. deposita articolato controricorso con cui eccepisce l’inammissibilità e l’infondatezza dei motivi di ricorso ex adverso proposti, e chiede disporsi rinvio pregiudiziale alla CGUE ai sensi dell’art. 267 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Successivamente, dopo la fissazione dell’adunanza camerale, deposita memoria con cui comunica che, a seguito della sentenza della CEDU del 17 luglio 2014 in causa C 273/13, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha disposto la revoca in autotutela degli avvisi di rettifica dell’accertamento notificati per gli stessi fatti al coobbligato in solido Franco Vago s.p.a.

6.- Rileva preliminarmente la Corte che l’emanazione dei provvedimenti amministrativi di revoca in autotutela indicati e depositati in copia dalla A.M.A. s.a.s. non determina la cessazione della materia del contendere nel presente giudizio, le cui parti sono diverse, ed il cui oggetto comprende anche gli atti di contestazione della sanzione, che non sono stati revocati.

7.- E’ infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dalla controricorrente, in quanto i fatti di causa risultano sufficientemente esposti nel ricorso, anche mediante la produzione della copia autentica della sentenza impugnata, nè si ravvisa la lamentata violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, poichè sono stati svolti motivi di ricorso solo in diritto.

8.- I primi tre motivi del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente, dato che propongono la medesima questione, prospettata sotto diversi profili di asserita illegittimità. Tali motivi sono infondati. Questa Corte ha già affermato il principio per cui “l’amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui al citato D.L. n. 331, art. 50 bis, comma 4, lett. b), qualora costui abbia già provveduto all’adempimento, sebbene tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo “virtuale” della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione, come chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 17 luglio 2014, Equoland, in causa C-272/13, ” (Cass. sez. V n. 12231 del 17 maggio 2017). Si tratta di un principio affermato senza contrasti anche nella giurisprudenza più recente (Cass. Sez. V, 1 febbraio 2019 n. 3102; Cass. Sez. V, 1 febbraio 2019 n. 3080), e cui occorre pertanto, dare continuità anche in questa sede, poichè è pacifico in causa che la A.M.A. s.a.s. ha regolarizzato le operazioni secondo il modulo dell'”inversione contabile” (autofattura e relative registrazioni), per cui l’imposta deve considerarsi assolta e quindi il pagamento avvenuto, configurandosene soltanto la tardività.

9.- Il quarto motivo di ricorso è fondato. Erroneamente infatti la sentenza impugnata ha escluso l’applicazione della sanzione di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, in quanto il pagamento sarebbe stato effettuato ad un ufficio diverso da quello competente, senza che si sia prodotto danno erariale. Infatti questa Corte ha già deciso (Cass. Sez. V n. 3102 del 1 febbraio 2019) che la legge comunitaria non osta alla previsione di un deposito fiscale che come quello italiano è stato predisposto ad un più efficace controllo IVA, con la conseguenza che deve riconoscersi al Paese membro il potere di comminare sanzioni in caso le merci importate non siano state materialmente immesse nello stesso; sanzioni che, ancora secondo il giudice unionale, debbono essere però “appropriate” in relazione alla gravità della violazione ed ai suoi effetti, spettando al giudice nazionale apprezzare ciò nel merito; per altro questa Corte ha già avuto occasione di affermare che la sanzione prevista, in mancanza di altre speciali, ben può essere quella stabilita dal citato D.Lgs. n. 471, art. 13, per il ritardato o omesso versamento d’imposte (Cass. sez. VI n. 17814 del 2015; Cass. sez. VI n. 16109 del 2015). D’ Altro canto, la stessa sentenza della CGUE 17 luglio 2014, in C-272/13 che ha escluso l’obbligo del pagamento dell’Iva all’importazione nel caso di utilizzazione solo virtuale del deposito fiscale, ha però fatto salva la legittimità delle norme nazionali che in tal caso prevedono l’applicazione di sanzioni amministrative. La sanzione prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, appare quindi applicabile, a differenza di quanto deciso dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, per il ritardato pagamento, in relazione all’intervallo di tempo intercorso tra la dichiarazione doganale e l’autofatturazione, in misura non fissa, ma proporzionale alla gravità ed entità del ritardo e che “può consistere anche nel computo degli interessi di mora, purchè sia rispettato il principio di proporzionalità – la cui adeguata determinazione, implicando un accertamento di fatto,compete al giudice di merito” (Cass. sez. V n. 12231 del 17 maggio 2017).

10.- Infine, con riferimento alla richiesta di rinvio pregiudiziale alla CGUE, formulata dalla A.M.A. s.a.s., trattandosi di questione rimessa alla valutazione del giudice nazionale, sembra opportuno rilevare che tale rinvio non appare necessario, poichè nel frattempo la questione ha costituito oggetto della citata sentenza della CGUE del 17 luglio 2014, C-272/13, (Equoland), che ha chiarito ogni dubbio precisando quale sia l’interpretazione della sesta Dir. 77/388 come modificata dalla Dir. U.E. 2006/18.

11.- In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata per i motivi e nei limiti di cui sopra, con rinvio al giudice a quo, in diversa composizione, per un nuovo giudizio sulle sole sanzioni applicabili, oltre che sul regolamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi del ricorso, accoglie il quarto, cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia per un nuovo giudizio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui rimette anche il regolamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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