Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30334 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 23/11/2018, (ud. 14/02/2018, dep. 23/11/2018), n.30334

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12385-2011 R.G. proposto da:

Agenzia Magnolia di C.M.P. & C. s.a.s., attuale

Magnolia di R.L. & C s.a.s., in persona del legale

rappresentante pro tempore L.R., nonchè degli allora soci

C.M.P., Ca.Pa. e N.T., tutti rappresentati

e difesi dall’Avv. Lucio Magnifico, con lui elettivamente

domiciliati in Roma, Via le G.Mazzini n. 6, presso lo studio

dell’Avv. Stefano Lupis, come da mandato in calce al ricorso

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Regionale della Puglia

depositata il 22 aprile 2010;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 14 febbraio 2018

dal Consigliere Luigi D’Orazio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, dott.ssa Zeno Immacolata, che ha concluso chiedendo

dichiararsi l’inammissibilità dei motivi primo e terzo, in

subordine l’accoglimento per il solo profilo relativo alle perdite

dei tre soci ed il rigetto del secondo motivo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.L’Agenzia delle entrate emetteva un avviso di accertamento a carico della società Magnolia di C.M.P. s.a.s., per Irap e Iva anno 1998, ed avvisi di accertamento Irpef 1998 ai sensi del D.P.R. 917 del 1986, art. 5, a carico dei soci.

2.Avverso tali accertamenti proponevano ricorso sia la società Magnolia s.a.s. che i soci C.M.P., Ca.Pa. e N.T., evidenziando, tra l’altro, che vi era stata violazione del principio di competenza applicabile al reddito di impresa, l’illegittimo recupero a reddito degli interessi passivi bancari di Lire 16.515.300 ed altro costo pari a Lire 800.000, la omessa compensazione delle perdite degli esercizi precedenti, riferite ai soci, riportate nel Modello unico 1999-98. Con riferimento all’avviso di accertamento a carico dei soci si chiedeva anche l’applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 e 6 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8.

3.La Commissione tributaria provinciale di Bari rigettava i ricorsi riuniti.

4.Avverso tale decisione proponevano appello C.M.P., per se stessa e per la società, nonchè i soci accomandanti Ca.Pa. e N.T., rilevando, tra l’altro, la nullità della sentenza per omessa motivazione, l’errata applicazione del principio di cassa anzichè di competenza, in quanto sul registro degli acquisti erano riportati i ratei attivi ed i risconti passivi, i quali, sommati algebricamente al volume di affari, davano i ricavi dichiarati di Lire 214.853.000, che tale eccezione non era stata affrontata dalla Commissione provinciale, che la Agenzia non aveva indicato quali erano le operazioni personali dei soci compiute sul conto della società, per cui si impediva la deduzione degli interessi passivi, che per gli interessi passivi si escludeva qualsiasi giudizio in ordine alla inerenza, che i versamenti effettuati dalla socia C. semmai avevano diminuito l’importo degli interessi, la cena promozionale per la spesa di lire 800.000 era costo inerente all’impresa, che le perdite degli esercizi precedenti dovevano essere compensate per i soci, che era illegittima la sanzione ad essi comminata ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 5 e 6 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8.

5.La Commissione tributaria regionale della Puglia accoglieva solo in parte il gravame presentato dalla società e dai soci, riconoscendo la deducibilità dei costi relativi alla cena. Rigettava, invece, le altre doglianze rilevando, quanto ai maggiori ricavi, che “le differenze riscontrate nell’ammontare dei ricavi, oggetto di contestazione e che i contribuenti rilevarono esserci dei ratei attivi con annotazione a piè di pagina del registro delle vendite, non sono state opportunamente contabilizzate”, che gli interessi passivi non erano deducibili in quanto sul conto corrente bancario della società risultavano movimentazioni personali e prelievi effettuati con assegni della società senza annotazioni in ordine al pagamento effettuato, che le perdite dei soci antecedenti al 1998 non potevano essere considerate in quanto la società “per l’anno in questione e precedenti” aveva agito in regime di contabilità semplificata, compilando il modello RB, il quale non permetteva di riportare le perdite degli anni precedenti non compensate.

6.Avverso tale sentenza proponevano ricorso per Cassazione la società ed i soci.

7.L’Agenzia delle entrate non proponeva controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso per Cassazione la società ed i soci deducono la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sia con riferimento ai maggiori ricavi accertati, sia in relazione alla omessa deduzione degli interessi passivi, sia in ordine alla mancata compensazione delle perdite relative ai soci per anni precedenti al 1998.

1.Tale motivo è inammissibile.

Invero, i ricorrenti, benchè deducano la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, tuttavia nel motivo di ricorso argomentano sulla errata valutazione degli elementi istruttori, quindi con profili di censura che attengono, invece, alla motivazione della sentenza.

Infatti, per la Suprema Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, se non si indicano fatti decisivi non considerati (Cass.Civ., 13 ottobre 2017, n. 24155; CassCiv., 16 settembre 2013, n. 21099, in cui, proposto ricorso ai sensi del numero 3 dell’art. 360 c.p.c., il ricorrente si doleva, invece, di un vizio di motivazione della sentenza).

2.Con il secondo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per nullità della sentenza o del procedimento, in quanto, in violazione dell’art. 112 c.p.c., la Commissione tributaria regionale non ha esaminato la questione della assenza di colpevolezza dei soci per l’annullamento delle sanzioni.

2.1.Tale motivo è fondato.

Invero, a fronte della richiesta di annullamento delle sanzioni per difetto di colpevolezza, proposta sia in primo che in secondo grado (cfr. ricorso per cassazione pagina 10 ove si riporta il contenuto dell’atto di appello “Con riferimento agli Avvisi di Accertamento Irpef a carico dei soci…in via ancora più subordinata, veniva eccepita la illegittimità della sanzione comminata in violazione degli artt. 5 e 6/472, chiedendo l’applicazione alla C.T.P. l’applicazione dell’art. 8/546”), la Commissione tributaria regionale non ha provveduto, incorrendo nel vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c..

3.Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono l’omessa motivazione, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.. In particolare, con riferimento ai maggiori ricavi ripresi a tassazione, i ricorrenti rilevano che in sede di accertamento non si è tenuto conto del principio di competenza, ma di quello di cassa, sicchè non sono stati considerati i ratei ed i risconti attivi e passivi risultanti dalla contabilità, benchè le annotazioni dei ratei e dei risconti non siano state contestate dal verbalizzante e dalla Agenzia delle entrate.

Sempre con il terzo motivo di ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si deduce che gli interessi passivi devono essere considerati, in quanto inerenti, mentre non si è tenuto conto in motivazione della circostanza che sul conto corrente bancario della società risulta un versamento della socia che ha, in realtà, ridotto il debito e, quindi, anche gli interessi passivi.

Con il terzo motivo di impugnazione, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si rileva anche che non sono state compensate le perdite degli esercizi precedenti in anni anteriori al 1998, non condividendosi la tesi della Agenzia delle entrate per cui il regime di contabilità semplificata della società per l’anno 1998 e per i precedenti non prevedeva l’indicazione della perdite da riportate per gli anni successivi.

3.1.Il terzo motivo di impugnazione, relativo alle tre diverse modulazioni della censura, è fondato.

Invero, va rilevato che l’Agenzia delle entrate non ha contestato l’esistenza dei ratei e dei risconti attivi e passivi annotato sulle scritture contabili, sicchè in assenza di specifica contestazione, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., risulta che ratei e risconti attivi e passivi siano stati indicati nelle scritture contabili.

Un risconto, infatti, è la quota parte di un costo o di un ricavo già contabilizzato, ma non interamente di competenza e, pertanto, da rinviare, in parte, al futuro esercizio.

Un rateo è un costo o ricavo, non ancora rilevato, ma di competenza e, pertanto, da rilevare a integrazione dei valori che compongono il bilancio.

Queste valutazioni non sono state effettuate dalla Agenzia delle entrate, nè la Commissione regionale ha motivato in modo sufficiente sul punto. La Commissione regionale si è limitata ad affermare che “le differenze riscontrate nell’ammontare dei ricavi, oggetto di contestazione e che i contribuenti rilevarono esserci dei ratei attivi con annotazione a piè di pagina del registro delle vendite, non sono state opportunamente contabilizzate. Dovevano formare oggetto di specifiche poste, illustrando, prima ai verificatori e poi agli organi giudicanti gli opportuni passaggi contabili; cosa non verificatasi”.

In realtà, come detto, le specifiche annotazioni di ratei e risconti risultano non contestate, sicchè deve procedersi alla individuazione dei ricavi di competenza dell’anno 2008, tenendo conti dei ratei e dei risconti indicati dai contribuenti.

Con riferimento alla seconda doglianza, in ordine alla erronea omessa deduzione degli interessi passivi, la stessa è fondata.

Invero, per la Suprema Corte, con riferimento agli interessi passivi sussiste in ogni caso l’inerenza al reddito di impresa (Cass.Civ., 21 novembre 2011, n. 14702).

Peraltro, l’intervenuto versamento della somma di Lire 200.000.000 da parte della socia sul conto corrente bancario della società non ha fatto altro che diminuire il debito e, di conseguenza, il computo complessivo degli interessi passivi.

La Commissione regionale si è limitata ad affermare che i verificatori si sono così espressi: “Tali costi si riprendono a tassazione in quanto non è stato possibile controllare la movimentazione dei conti della società, che hanno inciso sul risultato finale, in quanto sono state inserite movimentazioni personali (versamento in data 2-3-1998 – valuta 27-2-1998 di lire 200.000.000 effettuato con bonifico dalla Sig. C.M.P.) e prelievi effettuati con assegni della società sulle cui matrici non è riportata nessuna annotazione circa il pagamento effettuato. I contribuenti si sono difesi inserendo, nei ricorsi, soltanto i saldi non permettendo agli organi giudicanti di poter opportunamente analizzare i movimenti contabili (a debito e/o a credito)”.

Tale motivazione è, dunque, insufficiente, in quanto l’unico movimento dei soci è costituito da un versamento che ha ridotto i debiti e gli interessi passivi, mentre le uscite sono state compiute con assegni della società, anche se non vi è l’annotazione del destinatario dei pagamenti. Ciò non implica che sia impossibile risalire agli effettivi beneficiari, spettando alla Agenzia delle entrare dimostrare le ragioni della contestazione della deducibilità degli interessi passivi, una volta che è pacifico che il conto corrente era proprio della società e che su tale conto sono maturati gli interessi passivi.

Gli interessi passivi sono, infatti, sempre inerenti all’attività dell’impresa (Cass.Civ., 21 novembre 2011, n. 14702; Cass.Civ., 6 febbraio 2006, n. 2495), sicchè spetta all’Agenzia dimostrare che, in realtà, tale inerenza non sussiste per l’improprio utilizzo del contò corrente bancario della società mediante prelevamenti dei soci. I versamenti dei soci, invece, come detto, riducono i debiti e, dunque, anche l’ammontare degli interessi passivi.

Sempre con il terzo motivo di impugnazione si deduce l’insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine alla mancata compensazione delle perdite degli anni pregressi relative ai soci.

Tale motivo è anch’esso fondato.

Invero, la sentenza della Commissione regionale si è limitata ad affermare che la “società”, “per l’anno in questione e precedenti”, aveva agito in regime di contabilità semplificata, compilando il modello RB, il quale non permetteva di riportare le perdite degli anni precedenti non compensate.

Tuttavia, la società Magnolia s.a.s. ha operato negli anni 1995 e 1996 in regime di contabilità ordinaria e non semplificata, sicchè la Commissione regionale è incorsa in errore su tale questione.

Inoltre, la richiesta di compensazione delle perdite pregresse riguarda i soci e non la società. Pertanto, la Commissione regionale avrebbe dovuto esaminare le dichiarazioni dei redditi dei soci, ritualmente prodotte in giudizio.

Invero, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 4, all’epoca vigente, prevedeva che “Per le perdite derivanti dalla partecipazione in società in nome collettivo e in accomandita semplice si applicano le disposizioni dell’art. 8, comma 2”. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 8, comma 2, prevedeva, all’epoca, che “le perdite delle società in nome collettivo ed in accomandita semplice di cui all’art. 5 … si sottraggono per ciascun socio o associato nella proporzione stabilita dall’art. 5”.

4.La sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo e il terzo motivo; dichiara inammissibile il primo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della puglia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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