Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30333 del 18/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 30333 Anno 2017
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

ORDINANZA

sul ricorso 2273-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017
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CICCOLINI FRANCESCO, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA FABIO NUMERIO, 46, presso lo studio
dell’avvocato SIMONA SERAFINI, rappresentato e difeso
dall’avvocato MARGHERITA MASSETTI, giusta delega in
atti;

Data pubblicazione: 18/12/2017

- controricorrente

avverso la sentenza n. 1/2012 della CORTE D’APPELLO di

ANCONA, depositata il 13/01/2012 R.G.N. 170/2008.

RG 2273\13

RILEVATO
Che la Corte d’appello di Ancona, con sentenza depositata il 13.1.12,
confermava l’illegittimità, per difetto di prova circa l’esistenza della causale
e del nesso tra essa e l’assunzione de qua, dell’apposizione del termine al
contratto di lavoro stipulato tra la società Poste Italiane e Francesco
Ciccolini, ex art. 1 d.lgs n. 368 del 2001, 1’1.10.2002 (“per sostenere il

tuttora in fase di completamento, di cui agli Accordi del 17,18 e 23 ottobre,
11 dicembre 2001, 11 gennaio 2002, 13 febbraio, 17 aprile e 30 luglio e 18
settembre 2002, che prevedono il riposizionamento su tutto il territorio
degli organici della società”), nonché la sussistenza tra le parti un rapporto
di lavoro subordinato da tale data, con condanna di Poste al risarcimento
del danno, pari ad otto mensilità dell’ultima retribuzione ex art. 32 L. n.
183\10.
Che avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società
Poste, affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste il Ciccolini
con controricorso.

CONSIDERATO
Che con il primo motivo la società la società ricorrente denuncia violazione
e falsa applicazione dell’art. 1372, oltre a vizio di motivazione in ordine alla
ritenuta insussistenza della risoluzione del rapporto per mutuo consenso,
pur a fronte del notevole lasso di tempo intercorso dalla cessazione di fatto
del rapporto (quattro anni) al primo atto di costituzione in

mora

accipiendi, oltre alla percezione del t.f.l.
Che il motivo è infondato, avendo questa Corte più volte affermato (cfr. da
ultimo Cass. n. 14422\2015, Cass. 9 aprile 2015 n. 7156; Cass. 12
gennaio 2015 n.231) che ai fini della configurabilità della risoluzione del
rapporto di lavoro per mutuo consenso (costituente una eccezione in senso
stretto, Cass. 7 maggio 2009 n. 10526, il cui onere della prova grava
evidentemente sull’eccepiente, Cass. 1°febbraio 2010 n. 2279), non è di
per sé sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del
licenziamento, o il semplice ritardo nell’esercizio dei suoi diritti, essendo
piuttosto necessario che sia fornita la prova di altre significative circostanze
denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre definitivamente
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servizio recapito durante la fase di realizzazione dei processi di mobilità,

RG 2273\13

fine ad ogni rapporto lavorativo, circostanze non adeguatamente
evidenziate dalla ricorrente. Deve inoltre rammentarsi che tali significative
circostanze non possono ravvisarsi, come ritenuto dalla ricorrente, nella
mera percezione del t.f.r. (indennità di fine lavoro), trattandosi di
emolumento connesso alle esigenze alimentari del lavoratore, la cui pur
volontaria accettazione non può costituire indice di una volontà di
risoluzione del rapporto (cfr. da ultimo, Cass. ord. n. 10776\17).

245, 421 e 437 c.p.c., oltre a vizio di motivazione, per non avere i giudici
di appello ammesso la prova richiesta da Poste circa l’esistenza della
causale e del nesso tra essa e l’assunzione in questione, ritenendola
generica e senza esercitare i poteri ufficiosi. Che il motivo è infondato,
avendo la sentenza impugnata accertato adeguatamente la genericità della
prova offerta da Poste, e comunque per non avere la ricorrente indicato
specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, al fine di
consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da
provare e, quindi, delle prove stesse che, per il principio di autosufficienza
del ricorso, la Corte di cassazione dev’essere in grado di compiere solo
sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è
consentito sopperire con indagini integrative, Cass. sez.un. n. 28336 del
22/12/2011.
Che con il terzo motivo la ricorrente Poste si duole della misura
dell’indennità ex art. 32 L. n. 183\10 riconosciuta al lavoratore, senza
peraltro considerare la presenza di accordi di riassunzione, o
stabilizzazione (rilevanti ai fini del contenimento entro sei mensilità di
retribuzione dell’indennità di cui al’art. 32, comma 6).
Che il motivo è inammissibile avendo questa Corte più volte stabilito che la
determinazione tra il minimo il massimo della misura dell’indennità de qua
spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per
motivazione assente, illogica o contraddittoria (Cass. ord. n.27465\14,
Cass. n. 7458\14, Cass. n. 1320\14); parimenti inammissibile per non
avere la società Poste prodotto i dedotti accordi di stabilizzazione, di cui
comunque andava provata la fruibilità da parte del lavoratore alla data
della cessazione del rapporto (Cass. n.3027\14).
Che il ricorso deve pertanto rigettarsi, con conseguente condanna alle
spese come da dispositivo.
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Che con secondo motivo la società denuncia la violazione degli artt. 115,

RG 2273\13

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese
del presente giudizio di legittimità che si liquidano in €.200,00 per esborsi,
€.4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura
del 15%, i.v.a. e c.p.a.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 12 luglio 2017

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