Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30332 del 18/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 30332 Anno 2017
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

ORDINANZA

sul ricorso 2272-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

MASSETTI TIZIANA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA ITALO CARLO FALBO 22, presso lo studio
dell’avvocato ANGELO COLUCCI, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato MASSIMO MONALDI,
giusta delega in atti;

Data pubblicazione: 18/12/2017

- controricorrente –

avverso la sentenza n. 5/2012 della CORTE D’APPELLO di

ANCONA, depositata il 13/01/2012 R.G.N. 196/2008.

RG 2272\13

Che la Corte d’appello di Ancona, con sentenza depositata il 13 gennaio 2012,
confermava parzialmente la pronuncia del primo giudice con cui venne
dichiarata l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato da
Poste Italiane s.p.a. con Tiziana Massetti il 1.2.01, ai sensi dell’art. 25 del
c.c.n.l. 11.1.01, per “esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi
di riorganizzazione, ivi ricom prendendo un più funzionale riposizionamento di
risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero
conseguenti all’introduzione e\o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti
o servizi”, nonché a fronte della “necessità di espletamento del servizio in
concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno settembre” riducendo
tuttavia il risarcimento del danno dovuto ad otto mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi
maturati.
Che per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso
affidato a quattro motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste la Massetti con
controricorso.
CONSIDERATO
Che la Corte territoriale ha escluso la sussistenza di una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso; ha ritenuto illegittimo il contratto per mancanza
di prova circa le causali di assunzione ed il nesso con l’attività lavorativa svolta
dalla Latini; non provato il cd. contingentamento, riducendo invece l’indennità
dovuta ex art. 32 L. n. 183\10 ad otto mensilità.
Che la sentenza è stata censurata dalla società ricorrente con quattro motivi
inerenti: a) l’erroneo disconoscimento della risoluzione del rapporto per mutuo
consenso; b) la pretesa mancanza di prova delle esigenze di lavoro
temporaneo; c) la pretesa mancanza di prova dei limiti percentuali di assunti a
termine; d) la determinazione dell’indennità di cui all’art. 32 L. n. 183\10,
anche considerata l’esistenza di accordi di stabilizzazione ai sensi del citato art.
32, comma 6.
Che il primo motivo è infondato, avendo questa Corte più volte chiarito (cfr. da
ultimo Cass. n. 5240\15, Cass. n. 1780\14, Cass. n. 5887\11, ex aliis) che ai
fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo
consenso -costituente una eccezione in senso stretto, Cass. n. 10526\09, il cui
onere della prova grava evidentemente sull’eccepiente, Cass. n. 227910- non
è di per sé sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del
licenziamento, essendo piuttosto necessario che sia fornita la prova di altre
significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo.
Tali significative circostanze non possono ravvisarsi, come ritenuto da Poste,
nella mera percezione del t.f.r., trattandosi di emolumento connesso alle
esigenze alimentari del lavoratore, la cui pur volontaria accettazione non può
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RILEVATO

costituire indice di una volontà di risoluzione del rapporto (cfr. da ultimo, Cass.
ord. n. 10776\17), e neppure nel reperimento di nuova occupazione, che,
rispondendo ad esigenze di sostentamento quotidiano, non indica la volontà del
lavoratore di rinunciare ai propri diritti verso il precedente datore di lavoro (cfr.
Cass. ord. n. 10776\17, Cass.n. 21310\14, Cass. n. 8061\14, Cass. n.
663214).
Che il secondo motivo, circa la mancata o carente dimostrazione delle esigenze
organizzative e del nesso causale tra le prime e la singola assunzione a
termine, è teoricamente fondato, trattandosi di disciplina collettiva delegata ex
art. 23 L. n. 56\87 (cfr., per tutte, Cass. n. 20608\07), e tuttavia assorbito
dalla conferma della sentenza impugnata circa la mancanza di prova della
clausola di contingentamento (su cui infra).
Che il terzo motivo è (infatti) infondato non essendovi dubbi che la prova del
rispetto della clausola di contingentamento (con l’indicazione del numero dei
contratti a termine e del numero dei lavoratori a tempo indeterminato
nell’anno di riferimento) grava sul datore di lavoro (Cass. n. 14283\11; Cass.
n.7469\12; Cass. n. 7810\12; Cass. n. 701\13) e che l’accertamento della
corte di merito circa il mancato assolvimento della stessa non viene censurata
adeguatamente da Poste, che si limita ad invocare i poteri ufficiosi del giudice e
la mancata ammissione di capitoli di prova, non contenenti dati numerici sugli
assunti a termine, che peraltro neppure prova di aver ritualmente richiesto in
sede di merito.
Che il quarto motivo è infondato, avendo questa Corte ritenuto che la
determinazione tra il minimo il massimo della misura dell’indennità de qua
spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per
motivazione assente, illogica o contraddittoria (Cass. ord. n.27465\14, Cass. n.
7458\14, Cass. n. 1320\14), nella specie invece sussistente. Al riguardo deve
inoltre osservarsi che la dedotta presenza di accordi di riassunzione, o
stabilizzazione (rilevanti ai fini del contenimento entro sei mensilità di
retribuzione dell’indennità di cui al’art. 32, comma 6), è inammissibile per non
avere la società Poste prodotto tali accordi ed inoltre per non esserne
verificabile la fruibilità da parte del lavoratore alla data della cessazione del
rapporto e la effettiva e concreta possibilità per il lavoratore di aderirvi (Cass.
n.3027\14).
Che il ricorso deve essere pertanto rigettato, con pronuncia sulle spese
secondo soccombenza e come da dispositivo, da distrarsi in favore del
difensore della Massetti, dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società Poste Italiane al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in €.200,00 per
esborsi, €.4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella
misura del 15%, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore dell’avv. M. Monaldi.
Così deciso in Roma, nella Adunanza del 12 luglio 2017

RG 2272\13

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