Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30331 del 18/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 30331 Anno 2017
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

ORDINANZA

sul ricorso 2236-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2017
3191

PUGLIA ALESSIO MARIA, domiciliato in ROMA PIAZZA
CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA
RITA PUGLIA, giusta delega in atti;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 18/12/2017

avverso la sentenza n. 9/2012 della CORTE D’APPELLO di

ANCONA, depositata il 13/01/2012 R.G.N. 172/2008.

RG2236\13

RILEVATO
Che la Corte d’appello di Ancona, con sentenza depositata il 13.1.12,
confermava l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato da
Poste Italiane s.p.a. con Alessio M. Puglia il 1.6.2001, ai sensi dell’art. 25 del
c.c.n.l. 11.1.01, per “esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi
di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di
risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero
conseguenti all’introduzione e\o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti
o servizi”, nonché la “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di
assenze per ferie nel periodo giugno-settembre”, riducendo tuttavia l’indennità
dovuta ex art. 32 L. n. 183\10 a 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale
di fatto, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali maturati.
Che per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso
affidato a quattro motivi, cui resiste il Puglia con controricorso. Entrambe le
parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
Che la sentenza è stata censurata dalla società ricorrente con quattro motivi
inerenti: a) l’erroneo disconoscimento della risoluzione del rapporto per mutuo
consenso; b) la pretesa mancanza di prova dei limiti percentuali di assunti a
termine; c) la pretesa mancanza di prova delle esigenze di lavoro temporaneo;
d) la condanna di interessi legali e rivalutazione monetaria sulla indennità di
cui all’art. 32 L. n. 183\10.
Che il primo motivo è infondato, avendo questa Corte più volte chiarito (cfr. da
ultimo Cass. n. 5240\15, Cass. n. 1780\14, Cass. n. 5887\11, ex aliis) che ai
fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo
consenso -costituente una eccezione in senso stretto, Cass. n. 10526\09, il cui
onere della prova grava evidentemente sull’eccepiente, Cass. n. 227910- non
è di per sé sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del
licenziamento, essendo piuttosto necessario che sia fornita la prova di altre
significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo.
Tali significative circostanze non possono ravvisarsi, come ritenuto da Poste,
nella mera percezione del t.f.r. (recte:indennità di fine lavoro), trattandosi di
emolumento connesso alle esigenze alimentari del lavoratore, la cui pur
volontaria accettazione non può costituire indice di una volontà di risoluzione
del rapporto (cfr. da ultimo, Cass. ord. n. 10776\17), né può tenersi conto,
essendo successivo alla sentenza di primo grado, il dedotto successivo
licenziamento da parte di Poste nel 2007, che potrà semmai formare oggetto di
altro giudizio (cfr. Cass.n. 3693\15).
Che il secondo motivo è parimenti infondato non essendovi dubbi che la prova
del rispetto della clausola di contingentamento (con l’indicazione del numero
dei contratti a termine e del numero dei lavoratori a tempo indeterminato
3

nell’anno di riferimento) grava sul datore di lavoro (Cass. n. 14283\11; Cass.
n.7469\12; Cass. n. 7810\12; Cass. n. 701\13) e che l’accertamento della
corte di merito circa il mancato assolvimento della stessa non viene censurata
adeguatamente da Poste, che si limita ad invocare i poteri ufficiosi del giudice e
la mancata valutazione di documenti di cui non è chiarito il contenuto.
Che il ricorso, quanto alla ritenuta illegittimità del contratto a termine de quo,
deve dunque rigettarsi, restando infatti assorbito il terzo motivo circa la
mancata o carente dimostrazione delle esigenze organizzative e del nesso
causale tra le prime e la singola assunzione a termine, censura pur
teoricamente fondata, trattandosi di disciplina collettiva delegata ex art. 23 L.
n. 56\87 (cfr., per tutte, Cass. n. 20608\07).
Che il quarto motivo è fondato posto che dalla natura di liquidazione
“forfettaria” e “onnicomprensiva” del danno relativo al periodo che va dalla
scadenza del termine alla data della sentenza di conversione del rapporto (ex
art. 32 L. n. 183\10) deriva che gli accessori ex art. 429, terzo comma, c.p.c.
sono dovuti soltanto a decorrere dalla data della detta sentenza (Cass. ord. n.
27279\14), conseguendone la cassazione della sentenza impugnata sul punto,
con decisione nel merito direttamente da parte di questa Corte, non essendo
necessari ulteriori accertamenti.
Che l’esito complessivo della lite consiglia di lasciare immutate le statuizioni
sulle spese inerenti la fase di merito, mentre quelle del presente giudizio di
legittimità, considerato il principio della soccombenza prevalente, vanno poste
per 3\4 a carico della ricorrente, compensato il residuo quarto,nella misura
indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie, nei termini di cui in motivazione, il quarto motivo del
ricorso, e rigetta i restanti, assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, condanna la società Poste Italiane al pagamento di
interessi e rivalutazione monetaria sull’indennità dovuta ex art. 32 L. n.
183\10, a far data dalla sentenza che ha dichiarato l’illegittimità del contratto
in esame. Conferma le statuizioni sulle spese inerenti la fase di merito e
condanna la società Poste Italiane al pagamento dei tre quarti delle spese del
presente giudizio di legittimità, che si liquidano per l’intero in €.200,00 per
esborsi, €.4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella
misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.
Così deciso in Roma, nella Adunanza del 12 luglio 2017

RG 2236\13

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