Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30329 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 23/11/2018, (ud. 15/03/2018, dep. 23/11/2018), n.30329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9764-2017 proposto da:

S.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE.

ANGELICO 205, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA TULANTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato CLAUDIA POLACCHI;

– ricorrente –

contro

P.S.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6230/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/03/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO.

Fatto

RILEVATO

che:

è stata impugnata da S.R. la sentenza n. 6230/2016 della Corte di Appello di Roma con ricorso fondato su due ordini di motivi.

Non ha svolto attività difensiva la parte intimata.

Giova, anche al fine di una migliore comprensione della fattispecie in giudizio, riepilogare in breve e tenuto conto del tipo di decisione da adottare, quanto segue.

La gravata decisione della Corte territoriale ha riformato la sentenza n. 682/2010 del Tribunale di Viterbo che aveva respinto la domanda di P.S.E. volta all’accertamento della nullità parziale dell’atto di compravendita del 19 ottobre 1994 ed all’accertamento che gli immobili acquistati di cui al detto atto rientravano nella comunione legale fra essi coniugi e parti in causa.

Con la gravata decisione della Corte territoriale riteneva l’insussistenza dei presupposti di cui all’art. 179 c.c., comma 1, e l’assenza di valenza confessoria della dichiarazione del P. che confermava quanto asserito dalla coniuge ovvero che il denaro impiegato per l’acquisto degli immobili era di sua esclusiva provenienza.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.- Col motivo del ricorso si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 179 c.c., comma 1, lett. a) ed f) e dell’art. 2732 c.c..

1.1- L’impugnata sentenza ha ritenuto che nella fattispecie, all’esito della completa e puntuale verifica della sussistenza dei requisiti di cui all’alt. 179 c.c. (dei quali la dichiarazione resa dal coniuge “è condizione necessaria, ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione”), non ricorreva la possibilità di ritenere la detta esclusine, con conseguente necessità di accoglimento della svolta azione di accertamento negativo.

Quest’ultimo, nella fattispecie, non era escluso della partecipazione all’atto di acquisto del coniuge non acquirente anche con eventuale adesione allo stesso.

In ciò la Corte distrettuale ha deciso, previa propria congrua valutazione dei fatti nel merito (non più sindacabile innanzi a questa Corte) uniformandosi al noto principio affermato con Cass. S.U. n. 22755/2009.

Nulla viene decisamente addotto dalla parte ricorrente al fine di confutare, in punto di diritto, esattezza della decisione gravata.

Al riguardo va ribadito ii principio per cui “in materia di procedimento civile, nel ricorso per cassazione, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, giusto il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena di inammissibilità, dedotto mediante la specifica (e pertinente) indicazione delle affermazioni di diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse” (Cass. n. 1317/2004).

Tanto con la conseguenza che spetta alla parte ricorrente l’onere (nella fattispecie non adempiuto) di svolgere “specifiche argomentazioni intese a dimostrare come e perchè determinate affermazioni contenute nella sentenza gravata siano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità” (Cass. n. 635/2015).

Alla stregua di un costante orientamento che, nel tempo, è stato già più volte ribadito, si è chiarito come la corretta invocazione del vizio di violazione di legge deve prevedere – per l’appunto – la specificazione della norma violata o falsamente applicata (Cass. 21659/2005) e specificare conseguentemente le ragioni della pretesa violazione per contrasto con la norma (Cass. n.ri 5148/2003 e 2270/2006).

Il motivo va, dunque, respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso di deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della decisione gravata, ex art. 112 c.p.c..

2.1.- Il motivo non può essere accolto.

La ricorrente si duole che le sue “pregnanti considerazioni”, in particolare sulla prospettata “configurabilità della c.d. donazione indiretta” non sarebbero state valutata dalla Corte distrettuale con “omissione di qualsivoglia pronuncia sul punto”.

Il motivo è carente sotto il profili dell’ossequio degli oneri conseguenti al noto principio dell’autosufficienza giacchè non trascrive e specifica dettagliatamente dove e quando ha svolto le pretese “pregnanti considerazioni” e se esse costituivano domanda o eccezione (Cass. Sez. 6, n. 22607/2014).

In ogni caso, anche ritenendo per correttamente formulata domanda o eccezione (e non mera prospettazione di semplice argomentazione), il vizio denunciato non sussiste giacchè era implicito nella pronuncia gravata il rigetto della argomentazione o domanda o eccezione prospettata in quanto incompatibile con la ratio prevalente in base alla quale la decisione oggi gravata innanzi a questa Corte fu adottata (Cass. n. 17956/2015 e Cass. n. 20311/2011). Il motivo è, quindi, infondato nel suo complesso e va respinto.

2.- Il ricorso deve, dunque, essere rigettato.

3.- Non sussistono i presupposti per il versamento

dell’ulteriore importo, a norma del D.P.R. n.115 del 2002, art. 13, da parte della ricorrente stante l’ammissione della stessa al patrocinio a spese dello Stato ai sensi del D.L. n. 113 del 2002, art. 126.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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