Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30329 del 18/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 30329 Anno 2017
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

ORDINANZA

sul ricorso 2228-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017
3187

LATINI PAOLA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
ITALO CARLO FALBO 22, presso lo studio dell’avvocato
ANGELO COLUCCI, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato MASSIMO MONALDI, giusta delega
in atti;

Data pubblicazione: 18/12/2017

- controricorrente –

avverso la sentenza n. 6/2012 della CORTE D’APPELLO di

ANCONA, depositata il 13/01/2012 R.G.N. 179/2008.

RG 2228\13

Che la Corte d’appello di Ancona, con sentenza depositata il 13 gennaio 2012,
confermava parzialmente la pronuncia del primo giudice con cui venne
dichiarata l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato da
Poste Italiane s.p.a. con Paola Latini il 7.4.01, ai sensi dell’art. 25 del c.c.n.l.
11.1.01, per “esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di
riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di
risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero
conseguenti all’introduzione e\o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti
o servizi”, riducendo tuttavia il risarcimento del danno dovuto ad otto mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre a rivalutazione monetaria ed
interessi maturati.
Che per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso
affidato a cinque motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste la Latini con
controricorso.
CONSIDERATO
Che la Corte territoriale ha escluso la sussistenza di una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso; ha ritenuto illegittimo il contratto per mancanza
di prova circa le causali di assunzione ed il nesso con l’attività lavorativa svolta
dalla Latini; non provato il cd. contingentamento, riducendo invece l’indennità
dovuta ex art. 32 L. n. 183\10 ad otto mensilità.
Che la sentenza è stata censurata dalla società ricorrente con cinque motivi
inerenti: a) l’erroneo disconoscimento della risoluzione del rapporto per mutuo
consenso; b) la pretesa mancanza di prova dei limiti percentuali di assunti a
termine; c) la pretesa mancanza di prova delle esigenze di lavoro temporaneo;
d) la determinazione dell’indennità di cui all’art. 32 L. n. 183\10; e) la
condanna di interessi legali e rivalutazione monetaria su tale indennità.
Che il primo motivo è infondato, avendo questa Corte più volte chiarito (cfr. da
ultimo Cass. n. 5240\15, Cass. n. 1780\14, Cass. n. 5887\11) che ai fini della
configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso costituente una eccezione in senso stretto, Cass. n. 10526\09, il cui onere della
prova grava evidentemente sull’eccepiente, Cass. n. 227910- non è di per sé
sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del
licenziamento, essendo piuttosto necessario che sia fornita la prova di altre
significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo.
Tali significative circostanze non possono ravvisarsi, come ritenuto da Poste,
nella mera percezione del t.f.r. (recte:indennità di fine lavoro), trattandosi di
emolumento connesso alle esigenze alimentari del lavoratore, la cui pur
volontaria accettazione non può costituire indice di una volontà di risoluzione
del rapporto (cfr. da ultimo, Cass. ord. n. 10776\17), e neppure nel
reperimento di nuova occupazione, che, rispondendo ad esigenze di

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RILEVATO

sostentamento quotidiano, non indica la volontà del lavoratore di rinunciare ai
propri diritti verso il precedente datore di lavoro (cfr. Cass. ord. n. 10776\17,
Cass.n. 21310\14, Cass. n. 8061\14, Cass. n. 663214).
Che il secondo motivo è parimenti infondato non essendovi dubbi che la prova
del rispetto della clausola di contingentamento (con l’indicazione del numero
dei contratti a termine e del numero dei lavoratori a tempo indeterminato
nell’anno di riferimento) grava sul datore di lavoro (Cass. n. 14283\11; Cass.
n.7469\12; Cass. n. 7810\12; Cass. n. 701\13) e che l’accertamento della
corte di merito circa il mancato assolvimento della stessa non viene censurata
adeguatamente da Poste, che si limita ad invocare i poteri ufficiosi del giudice e
la mancata ammissione di capitoli di prova, non contenenti dati numerici sugli
assunti a termine, che peraltro neppure prova di aver ritualmente richiesto in
sede di merito.
Che il ricorso, quanto alla ritenuta illegittimità del contratto a termine de quo,
deve dunque rigettarsi, restando infatti assorbito il terzo motivo circa la
mancata o carente dimostrazione delle esigenze organizzative e del nesso
causale tra le prime e la singola assunzione a termine, censura pur
teoricamente fondata, trattandosi di disciplina collettiva delegata ex art. 23 L.
n. 56\87 (cfr., per tutte, Cass. n. 20608\07).
Che il quarto motivo è infondato, avendo questa Corte ritenuto che la
determinazione tra il minimo il massimo della misura dell’indennità de qua
spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per
motivazione assente, illogica o contraddittoria (Cass. ord. n.27465\14, Cass. n.
7458\14, Cass. n. 1320\14), nella specie invece sussistente.
Che il quinto motivo è fondato posto che dalla natura di liquidazione
“forfettaria” e “onnicomprensiva” del danno relativo al periodo che va dalla
scadenza del termine alla data della sentenza di conversione del rapporto (ex
art. 32 L. n. 183\10) deriva che gli accessori ex art. 429, terzo comma, c.p.c.
sono dovuti soltanto a decorrere dalla data della detta sentenza (Cass. ord. n.
27279\14), conseguendone la cassazione della sentenza impugnata sul punto,
con decisione nel merito direttamente da parte di questa Corte, non essendo
necessari ulteriori accertamenti.
Che l’esito complessivo della lite consiglia di lasciare immutate le statuizioni
sulle spese inerenti la fase di merito, mentre quelle del presente giudizio di
legittimità, considerato il principio della soccombenza prevalente, vanno poste
per 3\4 a carico della ricorrente, compensato il residuo quarto,nella misura
indicata in dispositivo, con distrazione in favore del difensore della Latini
dichiaratosi antecipante.
P.Q.M.
La Corte accoglie, nei termini di cui in motivazione, il quinto motivo del
ricorso, e rigetta i restanti, assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, condanna la società Poste Italiane al pagamento di
interessi e rivalutazione monetaria sull’indennità dovuta ex art. 32 L. n.
183\10, a far data dalla sentenza che ha dichiarato l’illegittimità del contratto

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RG 2228\13

RG 2228\13
in esame. Conferma le statuizioni sulle spese inerenti la fase di merito e
condanna la società Poste Italiane al pagamento dei tre quarti delle spese del
presente giudizio di legittimità, che si liquidano per l’intero in €.200,00 per
esborsi, €.4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella
misura del 15%, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore dell’avv. M. Monaldi.

Così deciso in Roma, nella Adunanza del 12 luglio 2017

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