Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30328 del 18/12/2017

Cassazione civile, sez. lav., 18/12/2017, (ud. 11/07/2017, dep.18/12/2017),  n. 30328

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 1036 del 10 dicembre 2015, ha confermato la pronuncia di primo grado con cui era stata rigettata la domanda proposta da A.G.A. nei confronti del Comune di Milano, avente ad oggetto: a) l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento di trasferimento del 9 marzo 2009, con richiesta di condanna del Comune al risarcimento del danno e richiesta di assegnazione alle mansioni precedenti; b) l’accertamento della condotta di mobbing e demansionamento, con conseguente condanna dell’Ente al risarcimento dei danni patrimoniali e non; c) l’accertamento dell’illegittimità della sanzione disciplinare del richiamo scritto comminata il 15 luglio 2009 e del licenziamento per giusta causa intimato il 2 marzo 2011, con richiesta di condanna del Comune alla reintegra in servizio ex art. 18 Stat. lav..

2. A fondamento del decisum, la Corte di appello ha svolto le seguenti osservazioni:

– quanto al trasferimento dagli uffici di via (OMISSIS) a quelli di via (OMISSIS), il provvedimento era stato disposto “per esigenze di servizio e di sostituzione di B.R. trasferita dal servizio” e dunque sussisteva una legittima causale, rappresentata dalla necessità di coprire un posto resosi vacante;

– il licenziamento era legittimo, a norma dell’art. 3, comma 8, lett. e) CCNL di settore, il quale prevede il licenziamento senza preavviso in caso di “condanna passata in giudicato per un delitto commesso in servizio o fuori servizio che, pur non attenendo in via diretta di rapporto di lavoro, non ne consenta neanche provvisoriamente la prosecuzione per la specifica gravità”: la A. aveva riportato in sede penale, a seguito di patteggiamento, la condanna alla pena di anni due e mesi otto di reclusione per avere indotto alla prostituzione S.B., sua collega d’ufficio, e per avere sfruttato tale attività approfittando della minorazione psichica della stessa; la sentenza di patteggiamento ha piena efficacia probatoria nel giudizio civile, atteso che anche in tal caso l’imputato non nega la propria responsabilità e accetta la condanna chiedendone l’applicazione; non vi era dubbio che la condotta posta in essere in danno della collega, che condivideva con la ricorrente anche la sede lavorativa, integrava una grave lesione del vincolo fiduciario, idonea a giustificare la sanzione espulsiva;

– quanto al prospettato mobbing, erano insussistenti i relativi presupposti, poichè alcuna condotta vessatoria consapevolmente posta in essere dal datore di lavoro finalizzata ad isolare o espellere la dipendente dal contesto lavorativo era ravvisabile agli atti di causa; ai fini della fattispecie, occorre che sia provata non solo l’effettività di reiterati atti, eventualmente illegittimi, posti in essere dal soggetto mobbizzante, ma è necessario dimostrare il loro nesso causale con l’intento discriminatorio, vessatorio e persecutorio; nel caso di specie, nessuno di questi caratteri era ravvisabile; gli unici fatti menzionati dalla lavoratrice erano costituiti dal trasferimento della sede lavorativa e dalla sanzione del rimprovero scritto, entrambi peraltro risultati legittimi e privi di alcuna volontà vessatoria, mentre del tutto generiche e indeterminate erano le affermazioni, contenute nel ricorso di primo grado, relative a “continue e ripetute vessazioni”, “indebite pressioni psicologiche”, “quotidiane umiliazioni davanti a dei colleghi”;

– quanto all’asserito demansionamento, era emerso in giudizio che la A. nella nuova sede aveva svolto compiti di sorveglianza al piano rientranti nell’ambito delle incombenze proprie della qualifica ricoperta; il fatto che presso quegli uffici non vi fosse pubblico e che quindi vi fosse un minor numero di incombenti da espletare non poteva assumere alcun rilievo giuridico; occorreva pure tenere conto che, a fronte delle lamentele della dipendente, il Comune, pur non riconoscendone la fondatezza, aveva proposto ben cinque diverse sedi, ricevendo sempre una risposta negativa, a riprova della insussistenza della situazione lamentata.

3. Per la cassazione di tale sentenza A.G.A. propone ricorso affidato a tre motivi. Resiste con controricorso il Comune di Milano. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. con riguardo all’effettività delle ragioni del trasferimento disposto in data 9 marzo 2009: le testimonianze acquisite in primo grado avevano evidenziato che presso la sede di largo (OMISSIS) l’organico era di circa cinquanta commessi, mentre presso la sede di via (OMISSIS) era di una decina di unità, in via di eliminazione in vista della futura chiusura della sede.

2. Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 444 c.p.p. e dell’art. 2119 c.c., dell’art. 3 CCNL per il personale non dirigente del comparto Regioni e autonomie locali 2006/2009, si censura la sentenza per avere recepito la sentenza penale di patteggiamento senza procedere alle riesame dei fatti, dando per pacifici e provati gli addebiti di cui alla sentenza penale.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2103 c.c. in relazione al rigetto dei motivi di appello vertenti sul mobbing e sul demansionamento: la sentenza aveva omesso di considerare alcuni documenti decisivi: nn. 3, 4, 5, 10, 11, 15, 16, 17, 20, 22, 23, 24, 28 e 33 del fascicolo di parte ricorrente (v. pagg. 15-19 ricorso per cassazione).

4. Il primo motivo è inammissibile, in quanto verte su censure di puro fatto, peraltro neppure relative alla ragione sottesa al provvedimento. L’odierna ricorrente, sotto l’apparente veste dell’error in iudicando, tende a contestare la ricostruzione della vicenda accreditata dalla sentenza impugnata. In proposito, giova ribadire che il vizio di falsa applicazione di legge o consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. n.7394 del 2010, n. 8315 del 2013, n. 26110 del 2015, n. 195 del 2016). E’ dunque inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione – e dunque un errore interpretativo di diritto – su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa.

4.1. Giova poi ribadire che è costante nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (v. ex plurimis, Cass. n. 27197 del 2011 e n. 24679 del 2013).

4.2. La Corte di appello, sulla base delle risultanze istruttorie (testimoniali e documentali), ha ritenuto che il trasferimento di sede lavorativa si fondasse su una valida ragione (esigenza di copertura di un posto resosi vacante). L’operazione di sussunzione di tale fattispecie in quella astratta è conforme a diritto, mentre la prospettata configurabilità di un trasferimento pretestuoso muove da una diversa ricostruzione delle risultanze processuali, inammissibile in questa sede.

5. Il secondo motivo è infondato.

5.1. Quanto alla valenza probatoria della sentenza di patteggiamento nel giudizio disciplinare, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione (v. tra le altre, Cass. n. 2168 del 2013, Cass. n. 4060 del 2011, nonchè Cass. n. 9458 del 2010 e, tra le più risalenti, Cass. n. 9358 del 2005 e Cass. 18635 del 2006). Detto riconoscimento di responsabilità, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova nel corrispondente giudizio di responsabilità in sede civile (Cass. n. 9358 del 2005 e n. 18635 del 2006 cit.).

5.2. Va quindi ribadito che, in sede civile può legittimamente attribuirsi piena efficacia probatoria alla sentenza di patteggiamento, atteso che in tal caso l’imputato non nega la propria responsabilità e accetta una determinata condanna, chiedendone o consentendone l’applicazione, il che sta univocamente a significare che il medesimo ha ritenuto di non contestare il fatto e la propria responsabilità, dovendo invece il giudice civile – nel caso in cui non intenda attribuire tale efficacia alla sentenza di patteggiamento – spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione.

5.3. Vale ricordare, al riguardo, quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza 18 dicembre 2009 n. 336: “…la scelta del patteggiamento, infatti, rappresenta un diritto per l’imputato – espressivo, esso stesso del più generale diritto di difesa (v., al riguardo, l’excursus contenuto nella ordinanza n. 309 del 2005) -, al quale si accompagna la naturale accettazione di tutti gli effetti – evidentemente, sia favorevoli che sfavorevoli – che il legislatore ha tassativamente tracciato come elementi coessenziali all’accordo intervenuto tra l’imputato ed il pubblico ministero ed assentito dalla positiva valutazione del giudice. Effetti tra i quali – per quel che si è detto, non irragionevolmente – il legislatore ha ritenuto di annoverare anche il valore di giudicato sul fatto, sulla relativa illiceità e sulla responsabilità, ai fini del giudizio disciplinare davanti alle pubbliche autorità. La circostanza, invero, che l’imputato, nello stipulare l’accordo sul rito e sul merito della regiudicanda, “accetti” una determinata condanna penale, chiedendone o consentendone l’applicazione, sta infatti univocamente a significare che l’imputato medesimo ha ritenuto, a quei fini, di non contestare “il fatto” e la propria “responsabilita”: con l’ovvia conseguenza di rendere per ciò stesso coerente, rispetto ai parametri di cui si assume la violazione, la possibilità che, intervenuto il giudicato su quel “fatto” e sulla relativa attribuibilità allo stesso imputato, simili componenti del giudizio si cristallizzino anche agli effetti del giudizio disciplinare”.

5.4. Alla stregua di tali principi, le censure che involgono questioni di diritto circa la prova del fatti ascritti sono del tutto infondate.

6. In merito all’integrazione della giusta causa di licenziamento, va ribadito il principio già affermato da questa Corte (Cass. nn. 776 e 3136 del 2015, n. 2168 del 2013) secondo cui la condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poichè il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso; tali condotte possono anche determinare l’irrogazione della sanzione espulsiva ove siano presenti caratteri di gravità da apprezzarsi diversamente in relazione alla natura privatistica o pubblicistica dell’attività svolta.

6.1. Se il datore è un ente pubblico, l’assoggettamento dell’attività ai principi di imparzialità e buon andamento, di cui agli artt. 3 e 97 Cost., comporta che il lavoratore è tenuto, anche fuori dal lavoro, ad assicurare affidabilità nei confronti del datore di lavoro e dell’utenza (cfr. Cass. n. 776 del 2015).

6.2. I gravi delitti commessi in danno di una collega, ulteriormente aggravati dall’avere approfittato della sua condizione di minorazione psichica, per procurarsi profitto con svolgimento di attività illecita, integrano la giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c., costituendo grave violazione dei doveri collaterali ed accessori che fanno capo al pubblico dipendente. I fatti, come accertati dalla sentenza di patteggiamento, non richiedevano alcun riesame da parte del giudice civile, se non per verificare l’idoneità degli stessi a ledere il vincolo fiduciario. Nel caso di specie, tale giudizio è stato svolto e la fattispecie concreta è stata correttamente sussunta in quella astratta della giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c..

7. Il terzo motivo, sostanzialmente incentrato sulla omessa considerazione di documenti, riguarda una diversa ricostruzione degli elementi di fatto ritenuti decisivi e non l’interpretazione ad applicazione alla fattispecie di norme di legge. Valgono anche per il terzo motivo gli stessi rilievi di inammissibilità svolti con riferimento al primo motivo di ricorso.

8. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

8.1.. Sussistono i presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (legge di stabilità 2013).

9. Visto il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, la Corte dispone che, a cura della Cancelleria, sia apposto, sull’originale della presente sentenza, il divieto di indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi della parte lesa (dei reati sopra menzionati), in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica, su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Dispone l’oscuramento dei dati D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA