Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30324 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. III, 21/11/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 21/11/2019), n.30324

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23835-2016 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANAPO 29,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO GIZZI, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

L.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MUGGIA 21,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO LIBERATORE, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

Z & P REAL ESTATE SRL, CIMAF SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2300/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/09/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza 13.4.2016 n. 2300 la Corte d’appello di Roma dichiarò inammissibile il gravame proposto da F.M. avverso la sentenza di primo grado con cui era stata rigettata l’opposizione esecutiva da questi proposta, qualificata dalla Corte d’appello come opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.;

ritenne la Corte d’appello che il Tribunale avesse qualificato la domanda attorea come opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., e che – giusta o sbagliata che fosse tale qualificazione – in virtù del principio dell’apparenza la sentenza di primo grado poteva solo essere impugnata per cassazione, e non appellata;

tale sentenza è stata impugnata per cassazione da F.M.; hanno resistito con controricorso la Z&P Real Estate s.r.l. e L.P., eccependo preliminarmente la tardività del ricorso, per essere stato notificato dopo lo spirare del termine di cui all’art. 325 c.p.c., decorrente dalla notifica della sentenza, avvenuta a mezzo PEC il 13 aprile 2016;

nella memoria il ricorrente principale nulla osserva su tale eccezione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il ricorso è inammissibile per tardività;

la sentenza d’appello risulta infatti regolarmente notificata e pervenuta al difensore dell’odierno ricorrente a mezzo PEC in data 13.4.2016, mentre il ricorso per cassazione è stato notificato a mezzo PEC con messaggio spedito il 7.10.2016;

le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo;

il giudizio concluso della presente sentenza è iniziato in primo grado nel 2010;

ad esso, pertanto, è applicabile l’art. 96 c.p.c., comma 3, nel testo aggiunto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 12, il quale stabilisce che “quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”;

questa Corte ritiene che il ricorrente nel caso di specie abbia effettivamente agito quanto meno con colpa grave;

agire con mala fede o colpa grave vuol dire infatti azionare la propria pretesa, o resistere a quella avversa, con la coscienza dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione; oppure senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione;

nel caso di specie, non solo il ricorrente ha proposto il proprio (t ricorso quattro mesi dopo lo spirare del termine di cui all’art. 325 c.p.c., circostanza che era agevolmente accertabile; ma per di più ha proposto un ricorso che, se fosse stato esaminato nel merito, comunque non sarebbe sfuggito ad una pronuncia di inammissibilità, per totale estraneità alla ratio decidendi;

la Corte d’appello, infatti, ha reputato inammissibile il gravame proposto da F.M., sul presupposto che la sentenza di primo grado avesse qualificato l’opposizione esecutiva proposta da F.M. come “opposizione agli atti esecutivi” agli atti esecutivi, e che pertanto in virtù del c.d. principio dell’apparenza la sentenza del Tribunale andava impugnata per cassazione;

F.M., per contro, ha censurato tale decisione sostenendo che la propria opposizione doveva qualificarsi come “opposizione all’esecuzione” ex art. 615 c.p.c.;

ma la sentenza d’appello ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta da F.M. non già perchè l’abbia qualificata come “opposizione agli atti esecutivi”; ma per la diversa ragione che, secondo la Corte d’appello, in tal modo l’aveva qualificata il giudice di primo grado, e di conseguenza l’impugnazione doveva essere nelle forme previste per quel tipo di domanda, quand’anche la qualificazione del giudice di primo grado fosse stata sbagliata;

tale ratio decidendi non viene in alcun modo censurata nel ricorso;

il ricorrente ha dunque tenuto un contegno processuale connotato quanto meno da colpa grave, consistito nel non rilevare il giudicato interno e nel non “centrare” col proprio ricorso la quaestio iuris posta dalla Corte d’appello a fondamento ella propria decisione;

il ricorrente va di conseguenza condannato d’ufficio, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, al pagamento in favore delle controparti costituite, in aggiunta alle spese di lite, d’una somma equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno;

tale somma viene stabilita assumendo a parametro di riferimento l’importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di giudizio, e nella specie può essere fissata in via equitativa ex art. 1226 c.c. nell’importo di Euro 6.000 attuali, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente ordinanza;

l’inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna F.M. alla rifusione in favore di L.P. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 6.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) condanna F.M. alla rifusione in favore di Z.&P. Real Estate s.r.l. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 6.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) condanna F.M., ex art. 96 c.p.c., comma 3, al pagamento in favore di L.P. e della di Z.&P. Real Estate s.r.l. della somma di Euro 6.000 ciascuno, oltre interessi dalla data di deposito della presente ordinanza.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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