Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30324 del 18/12/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 30324 Anno 2017
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso 2917-2016 proposto da:
ANANIA NICODEMO C.F. NNANDM71D22C726E, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA OTRANTO, 12, presso lo studio
dell’avvocato DOMENICO C7-.3CIARO, rappresentato e
difeso dall’avvocato JACOPO MARIA PITORRI giusta
delega in atti;
– ricorrente-

2017
contro

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DERICO NEW GEO S.R.L.;

– intimata Nonché da:

Data pubblicazione: 18/12/2017

DE.RI.CC . NEW GEO S.R,L.,

in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA ERITREA N.21, presso lo studio
dell’avvocato LUIGI LUCENTE, rappresentato e difeso
dall’avvocato DOMENICO GUALTIERI MARINO giusta delega

-controricorrente e ricorrente incidentale contro
ANANIA NICODEMO C.F. NNANDM71D22C726E;

intimato

avverso la sentenza n. 1496/2015 della CORTE D’APPELLO
di CATANZARO, depositata il 24/11/2015 R.G.N.
814/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/06/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIO
AMENDOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale DOTT. ALBERTO CELESTE, che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale ed inammissibilità del
ricorso incidentale;
udito l’Avvocato MARCO VIGLIETTA per delega verbale
Avvocato JACOPO MARIA PITORRI;
udito l’Avvocato MARINO GUALTIERI.

in atti;

R.G. n. 2917/2016

Fatti di causa

1. La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza del 24.11.2015, in riforma
della pronuncia di primo grado, ha accertato l’illegittimità del licenziamento
intimato a Nicodemo Anania dalla Derico New Geo Srl ed ha condannato la

retribuzione globale di fatto, richiamando il comma sesto dell’art. 18 della I.
n. 300 del 1970 come novellato dalla I. n. 92 del 2012.
La Corte territoriale ha preliminarmente ritenuto che il licenziamento fosse
riconducibile non ad un illecito disciplinare bensì ad un fatto oggettivo che
non aveva reso possibile la prosecuzione del rapporto di lavoro, nella specie
consistente in una interdittiva prefettizia che aveva evidenziato il pericolo di
infiltrazioni mafiose nell’azienda in ragione della presenza di lavoratori aventi
precedenti penali e comunque vicini, per rapporti di parentela o affinità, ad
esponenti dei locali clan mafiosi. Tale provvedimento aveva comportato una
modifica dell’organizzazione dell’impresa, “pacificamente votata in via
esclusiva o comunque prevalente all’acquisizione ed esecuzione di appalti
pubblici (raccolta e smaltimento dei rifiuti e nettezza urbana)”, al fine di
evitare la perdita di commesse.
Premesso che il provvedimento prefettizio che aveva originato tale
riorganizzazione era successivamente venuto meno, perché dichiarato
illegittimo dal giudice amministrativo, la Corte calabra ha considerato che
non sussistesse il giustificato motivo oggettivo di licenziamento, tanto che il
provvedimento de quo era stato tempestivamente ritenuto illegittimo dal
datore ed impugnato dinanzi agli organi della giustizia amministrativa. Ha
aggiunto che “il datore, infatti, nelle more del ricorso giurisdizionale
amministrativo, ben avrebbe potuto procedere ad una temporanea
sospensione del rapporto con i lavoratori, indicati come segno di infiltrazione
mafiosa, trattandosi di circostanza che sottoposta a vaglio giurisdizionale ben
poteva essere ritenuta temporanea”.
Quindi, una volta accertata la mancanza di un “giustificato motivo oggettivo
di licenziamento”, la Corte di Appello ha considerato però che non potesse

società al pagamento di una somma pari a sei mensilità dell’ultima

R.G. n. 2917/2016

“qualificarsi la fattispecie come priva in modo manifesto dei fatti
astrattamente idonei a cagionare i licenziamenti”.
La sentenza d’appello ha poi così testualmente concluso: “non può, allora,
ad avviso della Corte, farsi applicazione alla fattispecie in esame del quarto
comma del novellato art. 18, bensì del comma sesto che richiama il quinto”.

quattro motivi. Ha resistito la società con controricorso, contenente ricorso
incidentale affidato ad un motivo.

Ragioni della decisione
1. Per ragioni di carattere logico-giuridico deve essere prioritariamente
esaminato il ricorso incidentale della società, in quanto con esso si contesta
l’illegittimità del licenziamento ritenuta dalla Corte territoriale.
Con un unico motivo si denuncia testualmente “violazione e falsa
applicazione di norme e principi di diritto”; sarebbe viziato l’iter motivazionale
della sentenza impugnata che violerebbe il principio secondo cui “la sentenza
fa stato fra le parti presenti nel processo”, atteso che il lavoratore non aveva
partecipato al processo amministrativo sicché gli effetti della sentenza che
aveva caducato il provvedimento prefettizio potevano prodursi
esclusivamente nei confronti della società e delle amministrazioni pubbliche
presenti in detto giudizio; si deduce che sulla valutazione della legittimità del
licenziamento non potevano influire fatti successivi quali la sentenza del TAR
Calabria.
Il motivo, così come formulato, è inammissibile.
Non solo nella rubrica di esso, ma anche nell’illustrazione non viene indicata
in alcun modo norma di diritto alla quale parametrare la denunciata
violazione e falsa applicazione di legge, in modo da consentire a questa Corte
il sindacato sulla sentenza impugnata previsto secondo i canoni della critica
rigorosamente vincolata dall’art. 360 c.p.c..
Infatti secondo il costante insegnamento di questa Corte, proprio con
riferimento all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., il vizio va dedotto, a pena di

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2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il lavoratore con

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inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto
asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle
affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che
motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della
fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di

valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti
consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare
il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n.
635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n.
3010 del 2012).
Inoltre le doglianze proposte appaiono prive di adeguata specificità ed
inconferenti rispetto al decisum atteso che la Corte territoriale non ha affatto
ritenuto l’illegittimità del licenziamento in ragione di un preteso giudicato
amministrativo.
2. Posta quindi l’illegittimità del licenziamento con una statuizione della
Corte calabra che, per quanto innanzi esposto, ha superato il vaglio di
legittimità, è possibile esaminare i motivi di ricorso principale che riguardano
le tutele riconosciute dai giudici del merito nella vigenza dell’art. 18 I. n. 300
del 1970, come novellato dalla I. n. 92 del 2012.
3. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di tale
norma per avere la sentenza impugnata negato la tutela reintegratoria
prevista dal quarto comma, richiamata dal settimo comma di detto art. 18. Si
sostiene infatti che il giustificato motivo oggettivo era costituito da una
interdittiva antimafia improduttiva di effetti, perché caducata a seguito di
sentenza del giudice amministrativo, “con conseguente inesistenza della
esigenza di riorganizzazione aziendale (rispetto alla quale l’interdittiva era
l’unico presupposto)”, sicché il recesso restava sprovvisto di qualsiasi
giustificazione.
Il motivo è infondato, considerando la natura residuale della tutela
reintegratoria, prevista dall’art. 18 I. n. 300/70 novellato, già affermata da
questa Corte (v. Cass. n. 14021 del 2016).

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legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una

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Invero la I. n. 92 del 2012, graduando le tutele in caso di licenziamento
illegittimo, ha previsto al quarto comma del nuovo art. 18 una tutela
reintegratoria definita “attenuata” (per distinguerla da quella più incisiva di
cui al primo comma), in base alla quale il giudice annulla il licenziamento e
condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore ed al

quello dell’effettiva reintegrazione, in misura comunque non superiore a 12
mensilità; al quinto comma dello stesso articolo è prevista, invece, una tutela
meramente indennitaria per la quale il giudice dichiara risolto il rapporto di
lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore al
pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un
minimo di 12 mensilità e un massimo di 24, tenuto conto di vari parametri
contenuti nella disposizione medesima.
La linea di confine tra le due tutele, in caso di licenziamento per giustificato
motivo oggettivo illegittimo, è disegnata dal settimo comma dell’art. 18
novellato secondo la seguente formulazione testuale per cui il giudice: “Può
altresì applicare la predetta disciplina (ndr. quella di cui al quarto comma)
nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui
accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il
giudice applica la disciplina di cui al quinto comma”.
Da più parti è stata segnalata l’incertezza di portata applicativa cui può dar
luogo la norma citata che ricollega alla nozione di “manifesta insussistenza
del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”
conseguenze rilevanti quali il riconoscimento di una tutela di tipo
reintegratorio in luogo di una mera compensazione economica.
Secondo la pronuncia di questa Corte già citata – che qui si condivide poiché il giudice “può” attribuire la cd. tutela reintegratoria attenuata, tra
tutte le “ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi” del giustificato
motivo oggettivo, esclusivamente nel caso in cui il “fatto posto a base del
licenziamento” non solo non sussista, ma anche a condizione che detta
“insussistenza” sia “manifesta”, non pare dubitabile che l’intenzione del

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pagamento di una indennità risarcitoria dl giorno del licenziamento sino a

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legislatore, pur tradottasi in un incerto testo normativo, sia quella di
riservare il ripristino del rapporto di lavoro ad ipotesi residuali che fungono da
eccezione alla regola della tutela indennitaria in materia di licenziamento
individuale per motivi economici.
Ciò detto nella specie non è in dubbio l’esistenza, al momento del

lavoratore in controversia, potenzialmente idonea ad incidere sul regolare
funzionamento dell’organizzazione del lavoro dell’impresa datrice ai sensi
dell’art. 3 della I. n. 604 del 1966; l’illegittimità del recesso sta piuttosto nel
non avere la società dimostrato le ragioni che rendevano intollerabile
attendere la rimozione dell’impedimento alle normali funzioni del lavoratore,
impedimento che poteva avere una durata temporanea tenuto conto che
l’azienda – come accertato dalla Corte territoriale – aveva “tempestivamente
ritenuto illegittimo” il provvedimento e lo aveva “impugnato dinanzi agli
organi della giustizia amministrativa” (cfr. Cass. n. 7904 del 1998, con cui
questa Corte ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto
sorretto da un giustificato motivo oggettivo il licenziamento intimato da una
società appaltatrice del servizio di nettezza urbana di un Comune siciliano
commissariato ad un proprio dipendente che, da una comunicazione del
Commissario straordinario del Comune stesso, risultava in una condizione di
“incompatibilità ambientale” ad operare nel territorio comunale perché
“affiliato” ad organizzazioni malavitose).
Pertanto tale ipotesi è riconducibile non a quella peculiare che postula un
connotato di particolare evidenza nell’insussistenza del fatto posto a
fondamento del recesso, bensì è sussumibile nell’alveo di quella di portata
generale per la quale è sufficiente che “non ricorrano gli estremi del predetto
giustificato motivo” oggettivo.
4. Subordinatamente, con il secondo motivo del ricorso principale l’istante
lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 18 novellato per avere la
sentenza impugnata applicato il sesto comma della disposizione (cd. tutela
indennitaria debole con risarcimento del danno dalle 6 alle 12 mensilità) in
luogo del precedente comma quinto (risarcimento del danno dalle 12 alle 24

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licenziamento, dell’interdittiva prefettizia, afferente anche la posizione del

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mensilità). La stessa statuizione viene impugnata con il terzo motivo per vizi
di motivazione.
I motivi, congiuntamente esaminabili per connessione, sono fondati.
La tutela del sesto comma dell’art. 18 I. n. 300 del 1970 modificato dalla I.
n. 92 del 2012, “con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria

mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto”, applicata dalla Corte
territoriale, opera esclusivamente nelle ipotesi in cui il licenziamento sia
dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione del
licenziamento, della procedura di cui all’art. 7 della I. n. 300 del 1970 o della
procedura conciliativa prevista dall’art. 7 della I. n. 604 del 1966.
Ipotesi all’evidenza non ricorrenti nella specie.
Una volta esclusa “la manifesta insussistenza del fatto posto a base del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo … nelle altre ipotesi – come
quella in controversia – in cui accerta che non ricorrono gli estremi del
predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto
comma”, condannando il datore di lavoro al pagamento di una indennità
risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 ed un massimo
di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in base alla
valutazione degli elementi indicati nel medesimo comma.
5.

L’accoglimento di tali motivi comporta la cassazione della sentenza

impugnata in relazione ad essi, con conseguente assorbimento del quarto
mezzo di ricorso principale con cui si denuncia la violazione dell’art. 92 c.p.c.
per avere la Corte di Appello integralmente compensato le spese di lite,
atteso che le spese del giudizio di merito andranno riliquidate all’esito del
giudizio di rinvio.
6. Conclusivamente, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, quello
principale, respinto il primo motivo, va accolto nel solo suo secondo e terzo
mezzo di gravame, assorbito l’ultimo, con cassazione della sentenza
impugnata in relazione ai motivi accolti al fine di stabilire l’indennità
risarcitoria onnicomprensiva commisurata tra un minimo di 12 mensilità ad

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onnicomprensiva determinata … tra un minimo di sei ed un massimo di dodici

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un massimo di 24, secondo quanto previsto dal quinto comma dell’art. 18
novellato dalla I. n. 92 del 2012.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese,
comprese quelle del giudizio di legittimità.
Occorre dare atto della sussistenza, per la sola ricorrente incidentale, dei

modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

P.Q.M.

La Corte, rigettato il primo motivo del ricorso principale, accoglie il secondo
ed il terzo, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai
motivi accolti, rinvia alla Corte di Appello di Catanzaro, in diversa
composizione, anche per le spese; dichiara inammissibile il ricorso
incidentale.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente
incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art.
13.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 giugno 2017

presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come

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