Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30323 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. III, 21/11/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 21/11/2019), n.30323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

1699sul ricorso 20008-2016 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CLELIA, 18,

presso lo studio dell’avvocato R.A., che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

I.G. M.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

CAVA AURELIA 193, presso lo studio dell’avvocato

I.G.M.P., che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3755/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/09/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.A. iniziò l’esecuzione forzata nei confronti di I.G. sulla base di due titoli giudiziali (le sentenze pronunciate dal Tribunale di Roma n. 16522/07 e 24336/06).

L’importo complessivo dei due precetti era circa 6.000 Euro.

2. I.G. propose opposizione all’esecuzione, sostenendo che il complessivo credito azionato dal creditore procedente doveva ritenersi compensato in virtù del controcredito da lui vantato per effetto della sentenza non definitiva 11361/95 del Tribunale di Roma.

Tale sentenza aveva sciolto la comunione tra R.A. e I.G. avente ad oggetto un appartamento, ed aveva condannato il primo a pagare al secondo un’indennità di occupazione (500.000 Lire mensili) per tutto il periodo in cui aveva detenuto in via esclusiva l’immobile comune (dal 1992 in poi).

3. Il Tribunale di Roma accolse l’opposizione; la Corte d’appello di Roma confermò tale decisione.

Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne che:

-) la condanna di R.A. a pagare a I.G. la suddetta indennità, stabilita dalla sentenza 11361/95, era divenuta definitiva per effetto della sentenza 15725/00 di questa Corte;

-) la suddetta condanna doveva interpretarsi nel senso che l’obbligo di pagamento dell’indennità da parte di R.A. sussistesse anche per il periodo successivo alla sentenza, fino a quando l’immobile non fosse stato liberato;

-) l’occupazione dell’immobile già oggetto di comunione da parte di R.A. era continuata sino al momento della decisione d’appello (2016);

-) di conseguenza il controcredito vantato da I.G. (debitore esecutato) nei confronti di R.A. (creditore esecutante) era idoneo a compensare il credito azionato esecutivamente da quest’ultimo.

4. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione R.A. con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria.

Ha resistito con controricorso I.G., il quale ha chiesto la condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari:

1.1. Il controricorrente ha eccepito la tardività del ricorso.

L’eccezione è infondata: la sentenza d’appello è stata infatti notificata al soccombente il 27 giugno 2016, mentre il ricorso è stato consegnato per la notifica il 25 agosto 2016, e dunque nei termini prescritti dall’art. 325 c.p.c..

2. Il primo motivo di ricorso.

2.2. Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione, da parte della Corte d’appello, delle regole sulla compensazione di cui agli artt. 1241 e 1243 c.c.

Sostiene che il credito opposto in compensazione da I.G. non era liquido, nè fu liquidato dal giudice d’appello, ed era dunque inidoneo a produrre l’effetto estintivo dei crediti da lui azionati esecutivamente.

2.2. Il motivo è infondato.

Si rileva dalla sentenza 8298/11 di questa Corte che R.A. (oggi creditore procedente) era stato condannato a pagare a I.G. (oggi debitore esecutato) la somma di Lire 500.000 mensili a decorrere dal 11 maggio 1992, con una sentenza pronunciata in primo grado nel 1995.

La Corte d’appello di Roma, con la sentenza qui impugnata, ha affermato con statuizione non oggetto di censura che tale debito non risultava adempiuto da R.A..

Ne consegue che, al momento della pronuncia della sentenza di condanna (1995) il debito portato dalla suddetta sentenza ascendeva quanto meno a 18 milioni di Lire, vale a dire Euro 9.296,22, importo superiore a quello posto a fondamento dell’esecuzione forzata intrapresa da R.A. in danno di I.G..

La Corte d’appello, pertanto, accogliendo l’opposizione di quest’ultimo ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui è consentito al debitore esecutato opporre in compensazione al creditore esecutante un controcredito che, anche se ancora illiquido, sia di importo certamente superiore al credito azionato esecutivamente.

In tali casi l’illiquidità del controcredito opposto in compensazione non impedisce al giudice dell’opposizione di accertarne la sussistenza e l’entità, ma ha il solo effetto, nelle more del giudizio di opposizione, di precludere al giudice dell’esecuzione la sospensione di quest’ultima (Sez. 3, Sentenza n. 11449 del 23/07/2003, Rv. 565364 – 01).

3. Il secondo motivo di ricorso.

3.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta contemporaneamente sia il vizio di nullità della sentenza, sia il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo.

Deduce che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che al momento della decisione d’appello del giudizio di opposizione all’esecuzione (anno 2016) R.A. si trovasse ancora nel possesso dell’immobile già oggetto di comunione, e per il quale era stato condannato a pagare l’indennità di occupazione fino al momento del rilascio.

3.2. Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza, per le ragioni già esposte con riferimento al primo motivo di ricorso.

Ed infatti, anche se si volessero ritenere corrette le deduzioni del ricorrente, per quanto già detto il controcredito maturato da I.G. tra il 1992 (inizio dell’obbligo di pagamento dell’indennità da parte di R.A.) ed il 1995 (data della sentenza che condannò R.A. al pagamento dell’indennità) era comunque superiore a quello azionato da R.A..

4. Il terzo motivo di ricorso.

4.1. Col terzo motivo il ricorrente censura la sua condanna ex art. 96 c.p.c.

Lamenta che la Corte d’appello ha fatto discendere la responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. dalla mera soccombenza, senza indagare ed accertare il requisito della colpa grave. Aggiunge che la tesi da lui sostenuta nell’atto d’appello è stata condivisa dal giudice dell’esecuzione presso il Tribunale di Roma, nel separato giudizio avente ad oggetto l’esecuzione contro di lui intrapresa da I.G. sulla base della sentenza 11361/95 del Tribunale di Roma, e cioè quella contenente la condanna di R.A. al pagamento dell’obbligazione posta da I.G. a fondamento della propria eccezione di compensazione.

4.2. Il motivo è infondato.

E’ principio pacifico e risalente, nella giurisprudenza di questa Corte, che gli atti giudiziari vanno interpretati e valutati nel loro complesso e tenendo presenti tutte le parti che li compongono, e non già in modo atomistico, estrapolandone solo alcune parti e soffermandosi su quelle.

Nel caso di specie, se è vero che a p. 10 della sentenza d’appello la Corte, dopo avere affermato giustifica la condanna dell’appellante ex art. 96 c.p.c. limitandosi a dichiarare che “l’appello era palesemente infondato”, è altresì vero che aggiunge a tale affermazione l’espressione “come sopra si è spiegato”; e nelle precedenti pagg. 6-9 la sentenza d’appello illustra con dovizia di argomenti gli argomenti per i quali l’appello di R.A. doveva ritenersi manifestamente infondato.

Ritiene pertanto questa Corte che la sentenza d’appello non abbia affatto omesso di motivare in merito alla sussistenza del requisito della “colpa grave”, richiesta dall’art. 96 c.p.c. per pronunciare la condanna ivi prevista. Lo abbia, invece, fatto per relationem, evidentemente ritenendo che le ragioni esposte a fondamento della ritenuta infondatezza dell’appello fossero di per sè indicative quanto meno di una censurabile superficialità, da parte dell’appellante, nel proporre il proprio gravame.

Non sussiste dunque nè il vizio di nullità della sentenza, perchè la motivazione esiste; nè quello di omesso esame d’un fatto decisivo, perchè la Corte d’appello ha scelto di motivare per relationem, rinviando alle pagine precedenti della stessa sentenza, l’affermazione di sussistenza della responsabilità ex art. 96 c.p.c., tecnica scrittoria che ovviamente non le era inibita.

5. La domanda di condanna del ricorrente ex art. 96 c.p.c..

5.1. La domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. formulata dal controricorrente è infondata.

In particolare, la necessità che la sentenza d’appello abbia dovuto essere interpretata da questa Corte, per giungere alla conclusione dell’infondatezza del terzo motivo di ricorso, esclude che possa ritenersi in “colpa grave” il ricorrente il quale abbia fondato la propria impugnazione su una diversa e non manifestamente implausibile interpretazione dell’atto impugnato.

6. Ordine di cancellazione.

6.1. Il controricorso depositato e notificato da I.G. contiene molteplici espressioni sconvenienti, rivolte tanto alla controparte, quanto all’attività giudiziaria svolta da uno giudici di merito che si era occupato di un segmento del giudizio di esecuzione.

Esse sono le seguenti:

-) a p. 5 del controricorso, rigo 27 e 28, l’espressione “l’esecuzione PT37854/14 assegnata a S.W. che gli ha scritto quel bel pezzo di carta che è stato stracciato poi dal Collegio”; -) a p. 6 del controricorso, rigo 21, l’espressione “ad capocchiam”;

-) a p. 6 del controricorso, rigo 24, l’espressione “il pezzo di carta 5.12.14 elargito da S.W.”;

-) a p. 6 del controricorso, righi 29 e 30, l’espressione “del pezzo di carta di S.W. e sostiene che avendo S.W. (GOT dalla laurea e dalla stessa eterna praticante avvocato)”.

Di tali espressioni va ordinata, d’ufficio, la cancellazione ex art. 89 c.p.c. sull’originale e nelle copie, a cura della cancelleria.

7. Ordine di trasmissione degli atti.

7.1. Le espressioni indicate al p. che precede, nella parte in cui qualificano ripetutamente come “pezzo di carta” il provvedimento giudiziario adottato da un magistrato, sia pure onorario; e nella parte in cui aggiungono – senza alcuna connessione con i fatti di causa che quest’ultimo è “eterno praticante avvocato” esprimono, ad avviso del Collegio, disprezzo non solo verso il singolo provvedimento giudiziario adottato dal magistrato, ma verso l’intera sua attività in quanto tale.

Ricorrendo dunque i presupposti di cui all’art. 331 c.p.p., il suddetto atto andrà trasmesso alla Procura Generale in sede ed al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma, per le valutazioni di rispettiva competenza.

8. Le spese.

8.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno compensate integralmente tra le parti, in considerazione della soccombenza reciproca.

8.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di R.A. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione;

(-) manda alla Cancelleria di cancellare, dall’originale e dalle copie del controricorso, le espressioni indicate al p. 6.1 della motivazione.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA