Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30320 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. III, 21/11/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 21/11/2019), n.30320

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15779-2016 proposto da:

I.M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GIUSEPPE MERCALLI 46, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA

D’ADDARIO, rappresentato e difeso dall’avvocato LAURA MORREALE;

– ricorrente –

contro

N.E., elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE GORIZIA 22,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE LUDOVICO MOTTI BARSINI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GABRIELE DARA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 537/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 01/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/09/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il 25.3.1998 I.M.G., dichiarando di agire sia per sè che quale rappresentante della società “Antica Fattoria Case Grandi di Maragani” di Arturo, Laura e Luigi Morreale di Macalube & C. s.n.c., convenne dinanzi al Pretore di Sciacca N.E., esponendo che:

-) era proprietaria della porzione di un immobile sito nel (OMISSIS) (porzione indicata negli atti come “stallone” o “vano n. (OMISSIS)”);

-) al fine di accedere a tale immobile, circondato ed intercluso da un fondo di proprietà esclusiva di N.E., essa ricorrente godeva di una servitù di passaggio sul fondo di quest’ultima;

-) N.E. aveva clandestinamente impedito l’esercizio di tale servitù, ostruendo il passaggio con reti metalliche e pali.

Chiese pertanto al Pretore di essere reintegrata nel possesso della servitù di passaggio.

2. Il Tribunale di Sciacca (cui la causa pervenne in conseguenza della soppressione degli uffici di Pretura) con ordinanza possessoria del 10.1.2001 ordinò la reintegra di I.M.G. “nel possesso della servitù di passaggio sul fondo della sig.a N.E., al fine di accedere al locale c. d. “stallone” (vano (OMISSIS))”.

Alcun’altra precisazione il Tribunale aggiunse nella suddetta ordinanza circa le modalità di esercizio del possesso della servitù di passo sul fondo di N.E..

E’ pacifico tra le parti che l’ordinanza possessoria del 10.1.2001 sia stata eseguita da N.E..

3. Con sentenza 7.11.2002 n. 350 il Tribunale di Sciacca, all’esito della fase di merito del giudizio possessorio, accolse la domanda attorea dichiarando di “confermare l’ordinanza del 10.1.2001”.

Anche in questo caso l’organo giudicante non aggiunse al proprio provvedimento ulteriori precisazioni circa le modalità di esercizio del possesso della servitù di passaggio.

4. Tale sentenza venne appellata da N.E. nel 2003.

La Corte d’appello di Palermo, trattenuta in decisione la causa all’udienza del 10.11.2006, la decise con sentenza depositata il 9.9.2008 n. 1130.

Per quanto in questa sede ancora rileva, nella motivazione di tale sentenza la Corte d’appello di Palermo, sollecitata dalle parti a “chiarire la portata dell’ordine di reintegrazione”, si sbarazzò della questione osservando che:

– I.M.G. non aveva, nel ricorso possessorio introduttivo del giudizio, “indicato le caratteristiche del passaggio”;

– le precisazioni al riguardo compiute da I.M.G. in grado di appello erano “inammissibili”.

La Corte d’appello pertanto concluse che l’ordine di reintegra contenuto nella sentenza di primo grado andava confermato “solo nei termini evincibili dal dispositivo” di quella sentenza, e che di conseguenza andasse “confermato l’ordine, generico, a N.E. di consentire ad I.M.G. il passaggio nel fondo della N. (…) per accedere al vano così detto “stallone”, senza che occorra alcuna precisazione in dispositivo”.

5. Nelle more del giudizio di appello I.M.G. notificò il 10.2.2005 ad N.E. un atto di precetto.

In tale atto l’intimante esponeva che:

-) il titolo esecutivo posto a base dell’intimazione era la sentenza conclusiva del primo grado del giudizio possessorio (Tribunale di Sciacca, sentenza n. 350/02);

-) che dopo la pronuncia di quella sentenza N.E. aveva compiuto, a gennaio 2005, un nuovo atto di spoglio, consistito nell’installare sul proprio fondo una sbarra in ferro chiusa da un lucchetto, la quale impediva l’accesso sia al locale detto “stallone” (espressamente indicato, come già detto, nella sentenza di primo grado), sia “alla porta ovest” (indicazione, quest’ultima, che non compariva nè nella ordinanza possessoria del 10.1.2001, nè nella sentenza sul merito possessorio del 7.11.2002 -” nè nella sentenza d’appello del 9.9.2008).

6. N.E. propose opposizione all’esecuzione, convenendo I.M.G. dinanzi al Tribunale di Sciacca.

A fondamento dell’opposizione dedusse, per quanto in questa sede ancora rileva, che il titolo esecutivo posto a base del precetto (la sentenza n. 350/02 del Tribunale di Sciacca) non legittimava affatto l’intimante a pretendere la rimozione della sbarra in ferro. Questa infatti era stata infissa in un punto (la particella n. (OMISSIS) del Nuovo Catasto Terreni del Comune di Sciacca) sul quale I.M.G. non poteva vantare alcuna servitù di passaggio.

In sostanza, l’opponente dedusse che il titolo esecutivo vantato da I.M.G. le consentiva l’esercizio del passaggio (rectius, il possesso della servitù di passaggio) attraverso un percorso diverso da quello da essa ostruito con la sbarra ed il lucchetto.

7. Con sentenza 16.9.2010 n. 329 il Tribunale di Sciacca rigettò l’opposizione.

Il Tribunale ritenne che il titolo esecutivo (la sentenza 350/02 del Tribunale di Sciacca) non contenesse alcuna specifica limitazione all’esercizio, da parte di I.M.G., del passaggio attraverso il fondo di N.E. per raggiungere il vano di sua proprietà. Tale passaggio, pertanto, poteva essere esercitato quomodolibet sull’intero fondo di N.E., “ivi compreso il passaggio sulla stradella che costeggia il caseggiato”, sulla quale per quanto è dato a questa Corte comprendere – era stata infissa la sbarra ostruttiva del passaggio.

8. La sentenza venne appellata dalla soccombente.

La Corte d’appello di Palermo, con sentenza 22.3.2016 n. 537, accolse il gravame e dichiarò “inefficace” il precetto notificato undici anni prima da I.M.G. a N.E..

A fondamento della propria decisione la Corte d’appello pose le seguenti considerazioni:

-) la domanda di spoglio, conclusa dalla sentenza divenuta titolo esecutivo (Tribunale di Sciacca, n. 350/02), aveva ad oggetto soltanto la reintegrazione del possesso della servitù di passaggio “attraverso il portale o cancello del vestibolo prospiciente su(l) fondo N.”;

-) il precetto, invece, aveva ad oggetto la pretesa esecutiva di esercitare il passaggio attraverso un altro e diverso percorso, “ricadente sulla pista in terra battuta che costeggia esternamente il caseggiato di (OMISSIS)”;

-) il titolo esecutivo non poteva essere interpretato estensivamente sulla base di “elementi estrinseci”, come aveva fatto il giudice di primo grado (il quale aveva interpretato il titolo alla base anche del contenuto dell’ordinanza cautelare possessoria e di quella con cui era stato deciso il reclamo in sede cautelare), giacchè ciò avrebbe comportato una “generale e generalizzata compressione del diritto di proprietà”.

9. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da I.M.G. con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria.

Ha resistito N.E. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per “illogicità e contraddittorietà della motivazione”.

Nella illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello avrebbe interpretato in modo erroneo il titolo esecutivo posto a fondamento del precetto.

Deduce la ricorrente che quel titolo legittimava I.M.G. ad accedere all’immobile di sua proprietà sia “dall’interno”, cioè dall’area cortilizia del caseggiato in cui era compreso (il che non era in contestazione), sia dall’esterno, ovvero attraverso la stradina interclusa dalla controparte con una sbarra.

Sostiene che tale conclusione era imposta sia dai termini ampi e generici impiegati nella sentenza posta a fondamento dell’esecuzione (Trib. Sciacca, 350/02); sia dai contenuti e dalle ammissioni contenute nell’atto d’appello proposto da N.E. avverso quella sentenza.

1.2. Il motivo è inammissibile.

In primo luogo lo è perchè “la illogicità e contraddittorietà della motivazione”, dopo la novella dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non sono più vizi censurabili in questa sede.

Le Sezioni Unite di questa Corte, nel chiarire il senso della riforma, hanno infatti stabilito che per effetto della riforma “è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Nel caso di specie, per contro, la motivazione della sentenza impugnata non manca, nè è oscura o contraddittoria: la Corte d’appello ha ritenuto che il titolo esecutivo non potesse essere interpretato estensivamente, come preteso dalla odierna ricorrente, perchè ciò avrebbe comportato “una compressione del diritto di proprietà”.

Giusta o sbagliata che fosse tale valutazione in punto di diritto (sotto questo aspetto essa non è stata censurata dalla ricorrente e non può questa Corte occuparsene), essa costituisce pur sempre una motivazione, idonea a sorreggere la sentenza impugnata.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo.

Espone la ricorrente che il fatto trascurato dalla Corte d’appello è rappresentato dalla circostanza che lo spoliator aveva intercluso all’odierna ricorrente ben due vie di accesso alla sua proprietà: dall’esterno (mediante la sbarra) e dall’interno del caseggiato in cui la proprietà I. era inclusa (mediante la chiusura d’un cancello); che ambedue tali condotte, e non solo la seconda, erano state inibite dalla pronuncia conclusiva del giudizio di spoglio.

2.2. Il motivo è inammissibile.

Esso infatti riproduce, sotto le vesti del vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, la medesima censura già prospettata col primo motivo di ricorso: e cioè che la sentenza d’appello avrebbe malamente interpretato il titolo esecutivo.

Ma il vizio di “omesso esame d’un fatto decisivo”, che l’art. 360 c.p.c., n. 5 consente di prospettare in sede di legittimità, è cosa ben diversa: esso sussiste quando il giudice di merito trascuri di considerare una circostanza di fatto, e non quando compia una valutazione in diritto (quale è, per l’appunto, l’interpretazione d’un titolo esecutivo al fine di stabilirne la portata precettiva).

Giova aggiungere che, in ogni caso, che la Corte d’appello non ha affatto trascurato di considerare se il titolo esecutivo inibisse o non inibisse la condotta consistita nell’installazione della sbarra: lo ha fatto, ed ha concluso che, dovendosi interpretare il titolo esecutivo in modo restrittivo, quella condotta non poteva ritenersi da esso vietata.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del giudicato esterno, con riferimento all’art. 2909 c.c. e all’art. 324 c.p.c..

Sostiene che la sentenza pronunciata in grado di appello nel giudizio di spoglio (App. Palermo, 9.9.2008 n. 1130), reiettiva dell’appello stesso, avrebbe espressamente attribuito alla spoliata il diritto di reintegra nell’esercizio della propria servitù di passaggio attraverso due modalità: sia passando dall’esterno del caseggiato, sia passando dall’interno, e che dunque su tale statuizione si era formato il giudicato.

La sentenza qui impugnata, pertanto, ritenendo che il titolo esecutivo consentiva di pretendere in executivis soltanto il passaggio dall’interno del caseggiato, avrebbe violato le statuizioni irrevocabili contenute nella sentenza 1130/08 della Corte d’appello di Palermo.

3.2. Il motivo è infondato, per più concorrenti ragioni.

3.3. In primo luogo, è infondato perchè l’eventuale errore commesso dal giudice dell’opposizione esecutiva nell’interpretare il titolo esecutivo posto a fondamento dell’esecuzione non costituisce, di per sè, violazione del giudicato esterno.

Nel giudizio di opposizione all’esecuzione si controverte se il creditore abbia il diritto di procedere all’esecuzione: nel presente giudizio, infatti, si controverte se I.M.G., in virtù della sentenza 350/02 del Tribunale di Sciacca, possa o non possa pretendere esecutivamente la rimozione della sbarra, ostruttiva del passaggio, installata sul proprio fondo da N.E..

Nel giudizio di spoglio si controverte invece sul diritto del possessore alla reintegra nel suo possesso: nel giudizio concluso in primo grado dalla sentenza 350/02 (ed in appello dalla sentenza 130/08 della Corte d’appello di Palermo) il giudice era infatti chiamato a stabilire se e quali condotte illegittime di spoglio avesse tenuto N.E..

La diversità di oggetto tra il giudizio di cognizione e quello di opposizione esecutiva (l’accertamento del diritto nel primo; la precisazione dei termini in cui quell’accertamento è avvenuto, nel secondo) fa sì che non è concepibile – salvo casi patologici ed eccezionali che qui non ricorrono – la violazione, da parte del giudice dell’opposizione all’esecuzione, del giudicato formatosi nel processo di cognizione: per l’ovvia ragione che il primo deve statuire su questioni diverse dal secondo (Sez. 2, Sentenza n. 6148 del 30/03/2016, Rv. 639398 – 01).

Ovviamente ben può accadere che sorga controversia tra le parti circa il contenuto e la portata precettiva del titolo esecutivo giudiziale, a causa della sua ambiguità (come purtroppo è avvenuto nel caso di specie, in cui nè in sede cautelare, nè il giudice di primo grado del giudizio di spoglio, nè quello di secondo grado del giudizio di spoglio, hanno mai ritenuto di dover precisare analiticamente come e dove potesse esercitarsi il possesso che intesero tutelare coi rispettivi provvedimenti).

In tal caso spetterà al giudice dell’esecuzione – ovvero a quello dell’opposizione all’esecuzione – interpretare il titolo esecutivo: ma se tale interpretazione dovesse in tesi essere erronea, la sentenza che la mutui non sarà viziata da una violazione del giudicato, ma dalla violazione delle regole sull’interpretazione degli atti giuridici.

3.4. In secondo luogo, il terzo motivo di ricorso è infondato perchè l’interpretazione del titolo esecutivo compiuta dal giudice dell’opposizione costituisce una valutazione di fatto, come tale incensurabile in Cassazione.

Tanto meno è possibile chiedere al giudice di legittimità di interpretare il giudicato esterno rappresentato dal titolo esecutivo, giacchè in sede esecutiva il provvedimento passato in giudicato non opera come decisione della controversia, bensì come titolo esecutivo e, pertanto, “non va inteso come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, ma come presupposto fattuale dell’esecuzione, ossia come condizione necessaria e sufficiente per procedere ad essa” (così, testualmente, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15538 del 13/06/2018, Rv. 649428 – 01; nello stesso senso, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 32196 del 12/12/2018, Rv. 651979 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3786 del 14/03/2003, Rv. 561151 – 01; il principio peraltro è del tutto pacifico, e risalente a Sez. 3, Sentenza n. 864 del 28/03/1970, Rv. 346229 – 01).

3.5. In terzo luogo, il terzo motivo di ricorso è infondato, perchè l’interpretazione del titolo esecutivo deve avvenire in base a quanto risulta dallo stesso titolo in forza del quale è stato intimato il precetto, senza ricorrere ad elementi estranei al titolo, e tantomeno a fatti estranei all’azione esecutiva (Sez. 3, Sentenza n. 12854 del 02/12/1992, Rv. 479848 – 01).

4. Il quarto motivo di ricorso.

4.1. Col quarto motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 336 e 474 c.p.c..

Il motivo contiene due censure.

Con una prima censura la ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 336 c.p.c., per non avere tenuto conto del fatto che la Corte d’appello di Palermo, nella sentenza conclusiva del giudizio di spoglio, qualificò come “generico” il diritto di passaggio vantato da I.M.G., e quindi attuabile con ogni mezzo e in ogni dove.

Con una seconda censura la ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe altresì violato l’art. 474 c.p.c., per non aver tenuto che la sentenza 1130/08 della Corte d’appello di Palermo, conclusiva del secondo grado del giudizio di spoglio, aveva efficacia di titolo esecutivo, ed aveva espressamente riconosciuto il diritto della odierna ricorrente ad accedere alla sua proprietà sia dall’esterno, sia dall’interno, e di conseguenza il diritto di far rimuovere le opere ostacolanti l’accesso dall’esterno.

4.2. Il motivo è infondato in tutte e due le censure in cui si articola.

Con riferimento alla violazione dell’art. 336 c.p.c., esso non fa che riproporre sotto un diverso profilo la medesima doglianza prospettata col terzo motivo, e cioè che il giudice dell’opposizione all’esecuzione avrebbe dovuto interpretare il titolo esecutivo alla luce della sentenza 1130/08, conclusiva del giudizio di spoglio. Ma, per quanto già detto, l’interpretazione del titolo esecutivo costituisce un apprezzamento di merito non sindacabile in sede di legittimità, salvo che non si deduca la violazione delle regole legali di ermeneutica, nella specie mai prospettata.

Con riferimento, poi, alla violazione dell’art. 474 c.p.c., il motivo è infondato per l’evidente ragione che il titolo indicato nel precetto fu unicamente la sentenza 350/02, conclusiva del giudizio di primo grado, non quella 1130/08, conclusiva del giudizio di secondo grado.

5. Le spese.

5.1. Il nutrito contenzioso esistente tra le parti; la necessità di prevenirne dell’ulteriore; l’oggettiva ambiguità dei provvedimenti adottati dai giudici di merito in sede di spoglio (la quale potrebbe avere indotto in errore la difesa della ricorrente circa la fondatezza delle proprie ragioni), costituiscono gravi motivi, ex art. 92 c.p.c., per compensare tra le parti la metà delle spese del presente giudizio. La restante metà va posta a carico della parte ricorrente.

5.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna I.M.G. alla rifusione in favore di N.E. del 50% delle spese del presente giudizio di legittimità, che al netto della suddetta decurtazione si liquidano nella somma di Euro 1.250, di cui 100 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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