Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3032 del 01/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 01/02/2022, (ud. 31/03/2021, dep. 01/02/2022), n.3032

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16816-2020 proposto da:

G.M. elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato DIROMA ANDREA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto n. cronol. 656/2020 del TRIBUNALE di TRIESTE,

depositato il 16/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 31/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANDREA

FIDANZIA.

 

Fatto

RILEVATO

che viene proposto ricorso avverso il decreto del Tribunale di Trieste del 16 marzo 2020, il quale ha rigettato il ricorso proposto da G.M., cittadino del Senegal, avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale;

– che il Ministero si è costituito tardivamente in giudizio ai soli fini di un’eventuale partecipazione all’udienza di discussione;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

1. che con il primo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, sul rilievo che non sono state acquisite dal Tribunale informazioni sulla condizione socio-economica del paese di provenienza del richiedente;

2. che con il secondo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, sul rilievo che l’approfondimento svolto dal Tribunale non è stato sufficiente a completare l’attività istruttoria secondo il principio di collaborazione;

3. che i due motivi da esaminare unitariamente in relazione alla stretta correlazione delle questioni trattate sono inammissibili, atteso che il ricorrente, con l’apparente deduzione della violazione di legge, non fa che svolgere censure di merito in ordine alle modalità con cui il Tribunale ha provveduto ad approfondire la situazione del suo paese di provenienza, che sono finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dal Tribunale di Trieste;

– che, in ogni caso, dall’esame delle fonti citate dal ricorrente a pag. 9 non emerge affatto che l’ambito delle forze di polizia sia caratterizzato da un largo uso di pratiche corruttive – ciò spiegherebbe il motivo per cui, a dire del richiedente, non è stata chiesta la protezione – bensì una considerazione di carattere ben più generale in ordine alla distribuzione delle funzioni di sicurezza in Senegal tra più centri di potere, ed alla effettiva capacità del governo di poter reprimere la corruzione e l’abuso;

– che, infine, quanto ai dedotti maltrattamenti e vessazioni in Libia, posto che la censura difetta di autosufficienza, il ricorrente ha allegato un’ampia violazione dei diritti umani nel paese di transito senza neppure evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, profilo che comunque può essere valutato solo ai fini della ricostruzione della vicenda individuale e, di conseguenza della credibilità del dichiarante (Cass., 06/02/2018, n. 2861; Cass., 20/11/2018, n. 29875; Cass., 06/12/2018, n. 31676; Cass., 05/06/2020, n. 10835);

– che, in particolare, non è nemmeno stato indicato il periodo di permanenza in Libia;

4. che con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 16 direttiva n. 32/2013 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1, sul rilievo che il giudice di merito non ha posto alcuna domanda di approfondimento in ordine alle minacce di morte o ad altri aspetti della sua vicenda, non ponendogli alcuna domanda specifica e ciò in violazione al dovere di cooperazione istruttoria;

5. che il motivo è manifestamente infondato;

che, in particolare, va osservato che questa Corte, nella recente sentenza n. 21584/2020, depositata il 7 ottobre 2020, all’esito di una pubblica udienza, ha evidenziato che il dovere di cooperazione istruttoria deve correlarsi al principio dispositivo (Cass. 27336/2018; Cass. n. 3016/2019; Cass. n. 19197/2015), con la conseguenza che è onere del cittadino straniero indicare i chiarimenti e/o le eventuali precisazioni che intende fornire al giudice in relazione alle valutazioni svolte dalla Commissione territoriale nel decreto di rigetto della sua domanda di protezione;

che, in ogni caso, la doglianza del ricorrente è generica, non avendo neppure indicato in via sommaria quali sono i chiarimenti o precisazioni che il giudice avrebbe dovuto richiedergli in sede di interrogatorio libero;

6. che con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione apparente o apodittica sulla condizione di vulnerabilità del ricorrente;

7. che con il quinto motivo è stata dedotta la violazione del gli D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19 in combinato disposto con il gli D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e art. 8 CEDU in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria ed alla mancata comparazione tra il contesto di integrazione in Italia e la condizione soggettiva ed oggettiva del richiedente nel paese d’origine sotto il profilo del rischio di privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani;

8. che il quarto ed il quinto motivo, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta correlazione delle questioni trattate sono rispettivamente infondati ed inammissibili;

che, in particolare, la motivazione del Tribunale sulla condizione di vulnerabilità, pur molto sintetica, soddisfa il requisito del “minimo costituzionale” secondo i parametri della sentenza delle S.U. n. 8053/2014, essendo stato evidenziato, sul punto, il difetto di allegazione da parte del ricorrente di elementi individualizzanti;

che, in proposito, va preliminarmente osservato che questa Corte ha già affermato che, nella valutazione di vulnerabilità, pur dovendosi partire dalla situazione oggettiva di paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, dal momento che, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018);

– che, nel caso di specie, il ricorrente ha allegato l’esistenza di una condizione di vulnerabilità, ponendola in relazione alla situazione generale del Senegal (lesione della libertà personale nei confronti di cittadini dissidenti, diffuse, ma imprecisate, violazione dei diritti umani da parte della pubblica autorità etc), ma senza fornire elementi individualizzanti legati alla sua situazione personale, se non con esclusivo riferimento alla vicenda narrata alla Commissione (maltrattamenti da parte del padre), che è stata, tuttavia, coerentemente ritenuta non rilevante dal Tribunale, non avendo il richiedente chiesto protezione alla pubblica autorità;

– che quindi il giudice di merito non è stato posto in condizione di effettuare la valutazione comparativa tra i contesti di vita del richiedente nel paese d’origine ed in quello di accoglienza;

9. che la soccombenza del ricorrente non comporta la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali, in ragione della inammissibilità della costituzione tardiva del Ministero.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2022

 

 

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