Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30319 del 18/12/2017


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Cassazione civile, sez. II, 18/12/2017, (ud. 07/11/2017, dep.18/12/2017),  n. 30319

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con ricorso depositato il 26 marzo 2008, N.E. ha proposto opposizione avverso l’ordinanza emessa dalla Prefettura-Ufficio territoriale del Governo di Rieti, notificata il 23 gennaio 2008, con la quale gli era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 40.279, oltre spese, per la violazione della L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 174-bis (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), per avere illecitamente riprodotto n. 178 CD, n. 196 files MP3 e n. 17 programmi per computer.

A sostegno dell’opposizione, il ricorrente ha tra l’altro dedotto che l’ordinanza-ingiunzione era stata emessa da autorità incompetente, in quanto la sanzione avrebbe dovuto essere irrogata dal giudice penale, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 24.

Si è costituita la Prefettura di Rieti, resistendo.

2. – L’adito Tribunale di Rieti, con sentenza in data 12 gennaio 2010, ha rideterminato in Euro 38.528 la sanzione pecuniaria, rateizzandola in rate di Euro 1.284,26 mensili, compensando tra le parti le spese processuali.

Il Tribunale ha rilevato che la sanzione amministrativa era stata legittimamente emessa dal Prefetto, non essendo ravvisabile alcun rapporto di pregiudizialità logico-giuridica con i reati contestati al N.. Ha osservato il primo giudice che l’art. 174-bis della legge sul diritto d’autore punisce con la sanzione amministrativa le stesse condotte già qualificate come reato dalla sezione 2, capo 3, titolo 3 della medesima legge, e che solo nel caso di pregiudizialità tra sanzione amministrativa e reato la L. n. 689 del 1981, art. 24 dispone che competente all’applicazione della sanzione è il giudice penale.

3. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 5 settembre 2013, la Corte d’appello di Roma ha respinto il gravame del N..

La Corte territoriale ha preliminarmente rilevato che il motivo di appello non contiene specifiche censure alla parte della sentenza in base alla quale, essendo uguali le condotte di abusiva duplicazione dei supporti informatici (ad esclusione dei programmi per computer), punite sia penalmente che sanzionate amministrativamente dalla legge sul diritto d’autore, non si poneva alcuna pregiudizialità logico-giuridica tra l’accertamento del giudice penale e la violazione amministrativa, cosicchè restava esclusa l’applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 24. L’appello – ha proseguito la Corte capitolina – si è appuntato solo sull’aspetto, irrilevante, della pregiudizialità logica tra duplicazioni dei supporti e loro diffusione.

La Corte distrettuale ha quindi affermato che, poichè la sanzione amministrativa applicata, ai sensi dell’art. 174-bis della legge sul diritto d’autore, si riferisce alle stesse condotte già qualificate come reato dalla sezione 2, capo 3, titolo 3 della stessa legge e, nella specie, all’illecita duplicazione dei supporti, manca qualsivoglia nesso di pregiudizialità logico-giuridica tra la violazione amministrativa e quella penale. Stante l’identità della condotta sanzionata, cioè l’illecita duplicazione, il giudice penale non è tenuto logicamente ad accertare se vi sia violazione amministrativa prima di valutare la sussistenza del reato, cosicchè viene a cadere il presupposto di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 24, che attribuisce, esclusivamente per tale ragione, al giudice penale il potere di irrogare la sanzione amministrativa, in vece dell’amministrazione.

4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il N. ha proposto ricorso, con atto notificato il 23 ottobre 2014, sulla base di due motivi.

La Prefettura ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (insufficiente e contraddittoria motivazione per omesso esame circa un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) ci si duole che Corte territoriale abbia ritenuto che con l’atto d’appello il N. non avrebbe formulato specifiche censure nei confronti di quella parte della sentenza di primo grado in cui si escludeva un nesso di pregiudizialità logico-giuridica tra l’illecito penale e quello amministrativo, limitandosi a considerazioni sulla pregiudizialità logica tra la duplicazione dei supporti e la loro duplicazione. Al contrario, il N. avrebbe ampiamente e specificamente censurato la sentenza del Tribunale, in parte qua, rilevando e deducendo, in modo puntuale, l’erroneità dell’interpretazione giuridica assunta, la sussistenza di un nesso di pregiudizialità logico-giuridica tra illecito amministrativo e illecito penale, proprio in ragione del fatto che con la medesima condotta viene violata la norma costituente parimenti illecito penale e amministrativo, di talchè la violazione amministrativa si pone come elemento costitutivo del reato tale da poter essere indicata in termini di incorporazione.

1. – Il motivo è inammissibile.

Esso non coglie la ratio decidendi, ma censura un mero obiter. La Corte d’appello non ha infatti dichiarato inammissibile il motivo per difetto di specificità, ma, esaminandolo nel merito, ha poi spiegato (come emerge dalla pagina 5 della sentenza impugnata) le ragioni per le quali la L. n. 689 del 1981, art. 24 non viene in considerazione, mancando “qualsivoglia nesso di pregiudizialità logico-giuridica tra la violazione amministrativa e quella penale”, “stante l’identità della condotta sanzionata, cioè l’illecita duplicazione”. Così decidendo, la Corte di Roma, scrutinando il fondo della censura, ha escluso la sussistenza del vincolo di pregiudizialità invocato dalla parte appellante.

2. – Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 24) il ricorrente sostiene che la pregiudizialità che fa scattare la competenza del giudice penale ad irrogare la sanzione amministrativa, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 24, sarebbe ravvisabile anche “quando, come nel caso, vi sia una perfetta corrispondenza tra la condotta considerata che è parimenti sanzionata in sede amministrativa e in sede penale”. Anche in questo caso – osserva il ricorrente – il giudice penale dovrebbe verificare la sussistenza della violazione amministrativa, con ciò accertando la sussistenza del reato nella sua componente materiale, e dovrebbe poi appurare l’esistenza dell’elemento psicologico e l’insussistenza delle cause di giustificazione proprie del sistema penale, così svolgendo l’ulteriore attività di accertamento dell’antigiuridicità, parimenti essenziale ai fini dell’affermazione della responsabilità penale. E in ciò si sostanzierebbe, appunto, quella pregiudizialità logico-giuridica tra violazione amministrativa e reato che costituisce il presupposto per la deroga della competenza in favore dell’autorità giudiziaria stabilita dalla L. n. 689 del 1981, art. 24. La diversa interpretazione fatta propria dai giudici di merito, al contrario, si porrebbe in contrasto con la ratio della citata disposizione, che risponde all’esigenza di economia processuale e di semplificazione: ratio rispettata solo se si individua la competenza di un unico organo per tutti e due gli illeciti quando tale organo debba accertare il medesimo fatto che li integra entrambi. Di qui l’incompetenza del Prefetto ad irrogare la sanzione amministrativa, stante l’operatività della deroga in favore dell’autorità giudiziaria.

2. – La censura è infondata.

In tema di diritto d’autore, la condotta di abusiva riproduzione e di illecita duplicazione è prevista sia come illecito penale ai sensi della L. n. 633 del 1941, art. 171-ter, e successive modificazioni, sia come illecito amministrativo, ex art. 174-bis della stessa legge.

Tale condotta è sottoposta ad un regime di doppia punibilità, come si desume dal tenore letterale del citato art. 174-bis, il quale, mantenendo “ferme le sanzioni penali applicabili” e stabilendo la punizione con la sanzione amministrativa pecuniaria delle stesse violazioni delle disposizioni previste nella medesima sezione della legge e qualificate come reato, ha inteso assicurare l’effettività della risposta sanzionatoria per la protezione del diritto d’autore, configurando come illecito amministrativo le stesse condotte che integrano fattispecie autonome di reato.

La sanzionabilità dell’abusiva riproduzione e della illecita duplicazione altresì a titolo di illecito amministrativo e l’identità della condotta materiale integrante le fattispecie amministrativa e penale escludono che l’esistenza del reato dipenda dall’accertamento della violazione amministrativa (cfr. Cass., Sez. 2, 22 dicembre 2011, n. 28381).

Resta pertanto esclusa la sussistenza della connessione obiettiva per pregiudizialità di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 24, richiesta per radicare la competenza del giudice penale nell’accertamento della responsabilità per l’illecito amministrativo.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, la connessione obiettiva dell’illecito amministrativo con un reato che, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 24, determina lo spostamento della competenza all’applicazione della sanzione dall’organo amministrativo al giudice penale, rileva esclusivamente nel caso in cui l’accertamento dell’illecito amministrativo costituisca l’antecedente logico necessario per l’esistenza dell’altro, mentre, in difetto di tale rapporto di pregiudizialità, la pendenza del procedimento penale non fa venir meno detta competenza all’irrogazione della sanzione (Cass., Sez. 1, 19 ottobre 2006, n. 22362; Cass., Sez. 1, 9 novembre 2006, n. 23925).

3. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

4. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dall’Amministrazione controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, – la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 7 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2017

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