Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30317 del 18/12/2017


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Cassazione civile, sez. II, 18/12/2017, (ud. 20/10/2017, dep.18/12/2017),  n. 30317

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con la sentenza n. 921 del 24 maggio 2012 la Corte d’Appello di Torino rigettava il gravame proposto dalle odierne ricorrenti avverso la sentenza del Tribunale di Aosta che aveva accolto la domanda di V.P.C. costituendo la servitù di passaggio a favore del fondo dell’attore, ubicato nel Comune di Ayas al foglio (OMISSIS), mappale n. (OMISSIS) ed a carico dei fondi delle convenute di cui ai mappali nn. (OMISSIS), ritenendo che vi fosse l’attualità dell’interesse dell’istante alla costituzione della servitù, attese le previsioni del locale strumento urbanistico che imponevano per le nuove costruzioni, quale era quella da realizzarsi sul fondo del V., la presenza di un posto auto coperto e di uno scoperto, sicchè era necessaria anche la creazione di un passo carraio.

A fondamento del rigetto del gravame, i giudici di appello osservavano che allo stato il fondo dell’attore godeva di un solo passaggio pedonale, sempre attraverso il fondo delle appellanti, che però non si prestava ad ampliamento al fine di assicurare anche il passaggio carraio.

L’unico tracciato possibile a tal fine era individuabile in una striscia di terreno della profondità media di 5 metri e della larghezza massima di 4,80 metri, che a differenza del passaggio pedonale, risponde ai requisiti che le NTA dello strumento urbanistico locale impongono per la realizzazione di nuovi accessi alla rete viaria.

Per l’effetto, poichè il fondo del V. è da reputarsi intercluso ai fini del passaggio con veicoli, correttamente la domanda attorea è stata intesa dal Tribunale come proposta ai sensi dell’art. 1051 c.c., in quanto finalizzata alla costituzione di un nuovo accesso, e ciò conformemente alle conclusioni rese in primo grado, laddove l’istante aveva qualificato la domanda come di costituzione di servitù coattiva.

Inoltre il tracciato individuato dal CTU si palesava come quello più breve e che reca minor danno al fondo servente, tenuto conto che l’area asservita, posta al limite esterno del fondo, è di circa 24 mq e la creazione della servitù non stravolge la destinazione a verde dell’area circostante, non senza dimenticare che, trattandosi di fondo del tutto intercluso, non può opporsi il limite costituito dall’attraversamento del tracciato della servitù di un’area adibita a giardino.

Quanto alla contestazione circa le modalità concrete di attuazione della servitù, l’ausiliario aveva espresso un giudizio di piena fattibilità, e con opere che potrebbero al più interessare il fondo dominante.

Inoltre sicuramente sussisteva l’interesse dell’attore alla creazione della servitù, essendo stata versata in atti la domanda volta al rilascio della concessione edilizia, in funzione della quale è stata richiesta la servitù.

Infine del pari inconsistenti erano le critiche alla determinazione dell’ammontare dell’indennità, essendosi tenuto conto dei disagi provocati dallo scorporo della porzione destinata ad accogliere il tracciato della servitù, tenuto conto comunque del fatto che il bene già subiva il disagio dell’essere prospiciente alla strada regionale, e della presenza di una diversa servitù di passo pedonale.

Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso C.A.M., G.F., G.L. e G.M. sulla base di tre motivi.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Si evidenzia che l’attore con la citazione introduttiva del giudizio, dopo avere premesso che il suo terreno godeva solo di un accesso pedonale attraverso il fondo delle convenute, e dichiarando che era intenzionato ad edificare il terreno, ribadiva la necessità di munirsi di un passaggio carraio.

A tal fine richiamava le previsioni di cui ai primi tre commi dell’art. 1051 c.c., facendo più volte riferimento alla possibilità di ampliamento della servitù preesistente, ampliamento che non costituiva una mera comodità, ma una necessità alla luce del progetto edilizio che intendeva porre in essere.

A tal fine concludeva affinchè si dichiarasse che le convenute erano tenute a concedere servitù di passo carraio, mentre solo in sede di conclusioni in primo grado, si era richiesto in ogni caso procedersi alla costituzione di servitù secondo le modalità indicate dal CTU.

Già con l’atto di appello si era denunziato che il Tribunale, accogliendo la domanda attorea, aveva statuito su di una domanda diversa da quella effettivamente proposta, e come tale limitata al solo ampliamento della servitù preesistente, ma il motivo è stato disatteso dai giudici di appello che hanno ritenuto che correttamente il Tribunale aveva qualificato la domanda come intesa alla costituzione di servitù coattiva ai sensi del primo comma dell’art. 1051 c.c..

Trattasi di conclusione che però, a detta delle ricorrenti, è erronea, in quanto, oltre a prendersi in considerazione le conclusioni non già formulate in citazione, ma in sede di precisazione delle conclusioni, con un’evidente modifica di quelle ormai cristallizzate alla scadenza dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., non tiene conto del fatto che il V. aveva richiesto l’ampliamento coattivo della servitù gravante sul fondo altrui, come peraltro confermato anche nelle difese sviluppate in grado di appello, con la conseguenza che i giudici di merito hanno accolto una domanda diversa da quella effettivamente e ritualmente proposta.

Il motivo è fondato.

Ed, invero, anche in ragione del vizio denunziato, erroneamente ricondotto alla previsione di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ma correttamente inquadrabile, anche alla luce delle argomentazioni spese a suo sostegno, nella diversa previsione dell’error in procedendo di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 4, alla Corte è dato accedere direttamente agli atti di causa, onde verificare la fondatezza delle censure mosse (così Cass. S.U. n. 8077/2012).

Dalla lettura dell’atto di citazione, occorrendo avere riguardo alle conclusioni formulate in questo atto onde riscontrare la corrispondenza del contenuto della pronuncia impugnata alla domanda proposta, e da reputarsi ammissibile nel rispetto del principio delle preclusioni, emerge che l’attore richiamava i primi tre commi dell’art. 1051 c.c., al fine di giustificare la richiesta di ampliamento coatto della servitù pedonale, di cui attestava la preesistenza a carico del fondo delle convenute, e facendo in più momenti riferimento proprio alla necessità di dover assicurare l’ampliamento della servitù.

Orbene, e con riferimento alla fattispecie concretamente sottoposta all’esame del Tribunale, questa Corte ha avuto modo di precisare che (cfr. Cass. n. 7996/1991) qualora il titolare di servitù di passaggio pedonale sul fondo altrui, deducendo che le proprie esigenze di coltivazione esigono anche il transito veicolare, chieda non l’ampliamento di tale preesistente passaggio, in quanto non attuabile, nè la costituzione di passaggio coattivo su un fondo diverso, bensì la costituzione di un nuovo passaggio coattivo su altra porzione dello stesso fondo servente, la relativa domanda esula dalle previsioni dell’art. 1051 c.c., comma 3 e rientra nella disciplina dettata dall’art. 1052 c.c., in tema di passaggio a favore del fondo non intercluso, restando consequenzialmente soggetta alle più rigorose condizioni fissate da tale ultima norma (in senso conforme Cass. n. 1597/1981, secondo cui, proposta da chi ha un passaggio sul fondo altrui domanda di ampliamento del passaggio stesso per il transito dei veicoli, a norma dell’art. 1051 c.c., comma 3, costituisce domanda nuova, e non modificazione di quella proposta, la domanda volta ad ottenere, nella constatata impossibilità tecnica di realizzare detto ampliamento, un passaggio coattivo su un diverso tracciato, a norma dell’art. 1052 c.c., trattandosi oltre che di un diverso petitum anche di una diversa causa petendi, venendo in evidenza – nella nuova situazione – le esigenze dell’agricoltura e dell’industria, laddove, nella domanda originaria, assume rilievo la coltivazione e il conveniente uso del fondo; in senso sostanzialmente conforme anche Cass. n. 5168/1985).

Alla luce di tali precedenti si palesa già in maniera evidente l’erroneità dell’inquadramento giuridico della vicenda operato dalla sentenza gravata laddove, per giustificare il rigetto del motivo di appello con il quale già si contestava la violazione dell’art. 112 c.p.c., ha affermato che, in palese contrasto con quanto affermato da questa Corte, laddove non sia possibile far luogo ad un semplice ampliamento del passaggio già esistente per assicurare un passo carraio, ma occorra costituire un nuovo accesso, si rimane sempre nell’ambito di applicazione dell’art. 1051 c.c., laddove a contrario, questa Corte ha ribadito che in presenza di un precedente accesso, ritenuto tuttavia insufficiente da parte del titolare del fondo dominante, la creazione di un nuovo passaggio, sia pure a carico dello stesso fondo già gravato dall’accesso inadeguato, impone la qualificazione della domanda come proposta ai sensi dell’art. 1052 c.c..

Peraltro la differenza tra le due ipotesi normative è stata costantemente ribadita nel corso degli anni dalla giurisprudenza di legittimità, essendosi anche di recente affermato che (Cass. n. 14788/2017) in tema di servitù coattive, ricorrono le condizioni per disporre il passaggio necessario ex art. 1051 c.c., allorchè il fondo sia circondato da fondi altrui e non abbia uscita sulla strada pubblica o non possa procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio, mentre, laddove un immobile non sia intercluso, ma il suo accesso alla via pubblica sia inadatto od insufficiente ai relativi bisogni e non possa essere ampliato, si verte in ipotesi di passaggio coatto, che può essere disposto “officio iudicis”, ex art. 1052 c.c. e che in tale ultimo caso la costituzione della servitù è condizionata, oltre al rispetto dei requisiti predetti, alla rispondenza alle esigenze di sfruttamento agricolo od industriale del fondo dominante, senza compromettere analoghe utilizzazioni di quello servente, e la ricorrenza di tale requisito deve essere valutata con riguardo allo stato attuale dei terreni ed alle effettive possibilità di un loro più ampio o migliore impiego.

Emerge quindi in maniera evidente che la norma di cui all’art. 1052 c.c., impone una valutazione diversa e ben più rigorosa di quella invece richiesta dall’art. 1051 c.c., per l’ipotesi di interclusione assoluta ovvero di ampliamento del passaggio preesistente, come appunto ribadito da Cass. n. 5489/2006, che ha affermato che la costituzione coattiva di una servitù di passaggio a favore di un fondo non intercluso postula, ai sensi dell’art. 1052 c.c., la rispondenza della domanda alle esigenze dell’agricoltura o dell’industria, che trascende gli interessi individuali e giustifica l’imposizione coattiva solo se rispondente ad un interesse generale, potendo quindi essere ravvisato solo se il richiedente dimostri che attraverso la costituzione della servitù è possibile realizzare un più intenso sfruttamento del proprio fondo, a vantaggio sia del proprio interesse che di quello generale della produzione agricola (conf. Cass. n. 15110/2000, secondo cui per accogliere la domanda di costituzione di una servitù di passaggio coattivo a favore di un fondo non intercluso, il giudice non può limitarsi ad accertare l’inidoneità del passaggio esistente e l’impossibilità ad ampliarlo, ma deve altresì accertare se la maggiore utilità che ne deriverebbe risponde alle esigenze dell’agricoltura o dell’industria, mirando l’art. 1052 c.c., a differenza dell’ art. 1051 c.c., che tutela l’interesse individuale del fondo intercluso, a tutelare un effettivo interesse della collettività, da accertare dal giudice in concreto; conf. Cass. n. 3125/2012, nonchè Cass. n. 8196/1990, che evidenzia che la previsione di cui all’art. 1052 c.c., pur avendo in comune con quella contemplata dall’art. 1051 c.c., comma 3, il presupposto di una uscita già esistente sulla via pubblica, ne differisce per il fatto che mentre l’ampliamento coattivo è realizzabile solo a danno del fondo già servente, ai fini della coltivazione e del conveniente uso del fondo dominante, il passaggio coattivo in questione è realizzabile anche a danno di altro fondo nel concorso però del riconoscimento da parte dell’autorità giudiziaria delle peculiari esigenze poste dalla legge).

Appare pertanto del tutto condivisibile, e deve essere confermata la conclusione di questa Corte secondo cui (cfr. Cass. n. 21597/2007) trattasi di domande affatto diverse, dovendosi ritenere che implichi mutatio libelli l’accoglimento di una domanda in luogo dell’altra ab origine proposta (cfr. Cass. n. 12814/1997, che afferma che le domande di cui agli artt. 1051 e 1052, hanno titolo diverso, atteso che i fatti ai quali le due disposizioni citate legano il diritto potestativo del proprietario del fondo assolutamente o relativamente intercluso o il diritto del proprietario del fondo non sufficientemente collegato sono rispettivamente individuabili, per il fondo assolutamente intercluso, nella totale assenza di una uscita sulla via pubblica (art. 1051 c.c., comma 1), per il fondo relativamente intercluso nella insufficiente ampiezza del passaggio esistente (art. 1051 c.c., comma 3), per il fondo non intercluso, nella inadeguatezza del passaggio sulla via pubblica rispetto alle esigenze dell’agricoltura e dell’industria e nell’impossibilità di ampliamento di detto passaggio (art. 1052 c.c.); Cass. n. 9643/1994; Cass. n. 6673/2005).

Alla luce di tali considerazioni, e tenuto conto del tenore della domanda originaria, fondata espressamente sulle previsioni di cui al solo art. 1051 c.c. e sul presupposto della fattibilità di un ampliamento del tracciato preesistente, al fine di renderlo conforme alle esigenze del passaggio di veicoli, in vista della futura edificazione del terreno, la Corte di merito non poteva pervenire all’accoglimento della domanda attorea con la creazione di un nuovo passaggio, diverso da quello preesistente, avendo in tal modo deciso su una domanda diversa da quella effettivamente avanzata, e sulla quale potevano legittimamente pronunziarsi i giudici di merito, palesandosi inammissibile la mutatio libelli compiuta dall’attore in sede di conclusioni (in tal senso si veda anche la narrazione in fatto compiuta dalla sentenza gravata, laddove a pag. 5, nel riassumere le tesi difensive dell’appellato, ricorda come lo stesso V. abbia riconosciuto che inizialmente aveva inteso agire per l’ampliamento del tracciato di passo pedonale, e che nella comparsa conclusionale aveva chiesto la concessione di passo carraio secondo le modalità indicate dal CTU, ritenendo essere indifferente se la domanda dovesse essere accolta ai sensi dell’art. 1051, ovvero dell’art. 1052 c.c.). Nè appare possibile fare richiamo alla circostanza che il fatto storico della non interclusione fosse stato dedotto da parte dell’attore sin dall’inizio, posto che, anche a voler accedere alla soluzione di cui alle Sezioni Unite n. 12310/2015 che ha riconosciuto la possibilità di modificare la domanda, purchè la stessa, pur nella diversità della causa petendi e del petitum, resti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, anche l’intervento giurisprudenziale in esame individua un limite alla possibilità di mutamento costituito dalla maturazione delle preclusioni di cui all’art. 183 c.p.c., in materia di fissazione del thema decidendum, laddove nel caso in esame, la richiesta di costituzione della servitù su di un nuovo tracciato è stata avanzata solo in sede di conclusioni.

Il motivo deve quindi essere accolto con la conseguente cassazione della sentenza impugnata.

L’accoglimento del primo motivo rende poi evidente l’assorbimento dei restanti due motivi, con i quali si lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 1051 e 1052 c.c. e l’omessa motivazione su di un punto controverso e decisivo, in quanto il riconoscimento di un nuovo passaggio carraio poteva essere attribuito solo se ritenuto rispondente alle esigenze dell’agricoltura e dell’industria, verifica che i giudici di appello non avevano affatto compiuto, omettendo anche di motivare al riguardo, nonchè la violazione e falsa applicazione sempre degli artt. 1051 e 1052 c.c., oltre la contraddittoria ed insufficiente motivazione, nella parte in cui si era valutato condivisibile il tracciato individuato dal CTU, senza tenere conto delle osservazioni critiche in ordine alla fattibilità del passaggio, tenuto conto delle caratteristiche dei luoghi e della impossibilità di poter conformare l’accesso alle prescrizioni del codice della strada.

La sentenza deve quindi essere cassata in relazione al motivo accolto.

Tuttavia, avendo la Corte d’Appello, con affermazione non oggetto di contestazione da parte dell’originario attore, ritenuto che non era possibile procedere ad un ampliamento del passaggio già esistente, unica domanda legittimamente suscettibile di poter essere esaminata, ed essendosi ribadita l’inammissibilità della domanda ex art. 1052 c.c., non va disposto alcun rinvio, ricorrendo i presupposti di cui all’art. 382 c.p.c., u.c..

Le spese dei tre gradi di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Accoglie il primo motivo, ed assorbiti gli altri, cassa senza rinvio la sentenza impugnata;

Condanna V.P.C. al rimborso delle spese di lite che liquida per il giudizio dinanzi al Tribunale in complessivi Euro 1.700,00 di cui Euro 100,00 per spese vive ed Euro 700,00 per diritti, oltre spese di CTU come liquidate con separato decreto, per il giudizio di appello in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, e per il giudizio in cassazione in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 12,5% sugli onorari ed al 15% sui compensi, ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2017

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