Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30316 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. III, 21/11/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 21/11/2019), n.30316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11786-2018 proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE ROMA (OMISSIS), in persona del Direttore

Generale e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 24, presso lo studio dell’avvocato

GIACOMO DE LUCA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SAN FELICIANO SRL, in persona del Consigliere Delegato e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

G. PISANELLI 40, presso lo studio dell’avvocato LUCIA SCOGNAMIGLIO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato BRUNO BISCOTTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6406/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/09/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato DE LUCA GIACOMO;

udito l’Avvocato SCOGNAMIGLIO LUCIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società San Feliciano s.r.l. nel 2044 chiese ed ottenne dal Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo nei confronti della Azienda Sanitaria Locale (OMISSIS) di Roma (in seguito, “Azienda Sanitaria Locale Roma (OMISSIS)”; d’ora innanzi, per brevità, “la ASL”) per l’importo di Euro 167.926,50.

A fondamento del ricorso monitorio la San Feliciano dedusse che:

-) gestiva una struttura sanitaria che eseguiva trattamenti dialitici in regime di accreditamento;

-) non era stata rimborsata dalla ASL numerose prestazioni emodialitiche effettuate nel mese di marzo dell’anno 2004.

2. In accoglimento del ricorso il Tribunale di Roma emise il decreto ingiuntivo n. 19539/04, col quale ingiunse alla ASL il pagamento della somma suddetta, oltre interessi e spese.

La ASL propose tempestiva opposizione al decreto, sostenendo che:

-) la normativa regionale del Lazio, nel marzo 2004, consentiva ai privati di effettuare dialisi solo con la tecnica “in acetato o in bicarbonato”. La San Feliciano, invece, aveva eseguito emodialisi con altre e più aggiornate (e costose) tecniche, senza esservi legittimata;

-) la San Feliciano aveva comunque determinato i compensi da essa pretesi in misura erronea ed eccessiva, applicando non già la tariffa prevista all’epoca dei fatti per le emodialisi in acetato, ma quella per le emodialisi “ad alta efficienza e biocompatibili”;

-) la San Feliciano, per esigere il proprio credito, avrebbe dovuto preventivamente trasmettere alla ASL per via informatica i dati inerenti le prestazioni eseguite, onere che non era stato assolto.

Contestava altresì che vi fosse la prova dell’effettiva erogazione delle prestazioni, e la misura degli interessi pretesa dalla San Feliciano ed accordata dal decreto ingiuntivo.

3. Con sentenza 3.12.2010 n. 24076 il Tribunale di Roma rigettò l’opposizione, salvo che sul punto degli interessi, i quali vennero rideterminati al saggio legale.

Il Tribunale ritenne da un lato che vi fosse la prova dell’effettiva esecuzione delle prestazioni, e dall’altro che la Regione Lazio, con la Delib. Regionale n. 1458 del 2002, avesse autorizzato i soggetti privati accreditati ad erogare anche le emodialisi “ad alta efficienza”, che dovevano perciò essere remunerate con la più alta tariffa prevista dalla Delib. Regionale n. 899 del 2003.

4. Con sentenza 10.10.2017 n. 66406 la Corte d’appello di Roma rigettò il gravame proposto dalla ASL.

La Corte d’appello condivise l’opinione del Tribunale e, richiamando una decisione del TAR del Lazio, ricostruì il quadro normativo come segue:

(a) la regione Lazio con la Delib. n. 1458 del 2002, ritenuta dal Tribunale “immediatamente efficace”, stabilì che i privati potessero erogare le prestazioni emodialitiche “ad alta efficienza”, se previste nel “nomenclatore tariffario” (ovvero il provvedimento amministrativo nel quale la Regione stabilisce quali prestazioni possono eseguire le strutture sanitarie accreditate, e per quale compenso);

(b) la Regione Lazio con la “Delib. regionale” (così qualificata dalla Corte d’appello) 4 giugno 2003, n. 899/03 aveva per l’appunto previsto una tariffa ad hoc per le emodialisi “ad alta efficienza”, diversa e più alta di quella prevista per le emodialisi “in acetato o bicarbonato”.

Così ricostruito il quadro normativo, la Corte d’appello ne ha tratto le seguenti conclusioni:

(a) la San Feliciano poteva eseguire emodialisi “ad alta efficienza”, perchè ciò le era consentito dalla Delib. n. 1458 del 2002;

(b) la San Feliciano aveva diritto alla più alta tariffa per esse prevista, perchè tale diritto le spettava in base alla Delib. n. 899 del 2003.

5. La sentenza d’appello è impugnata dalla ASL con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria.

Ha resistito la San Feliciano con controricorso illustrato anch’esso da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso la ASL lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione della Delib. Giunta Regionale Lazio 30 dicembre 1997, n. 9376 “e successive modifiche”.

Sostiene che all’epoca dei fatti ((OMISSIS)) le emodialisi eseguite dalla San Feliciano dovevano essere remunerate non con la tariffa più alta prevista per le dialisi “ad alta efficienza”, ma con quella più bassa prevista per le dialisi “in acetato o bicarbonato”.

Illustra il motivo come segue:

-) la tariffa per le emodialisi eseguite da privati in regime di convenzione (e poi di “accreditamento”) furono stabilite dalla Delib. giunta regionale Lazio 30 dicembre 1997, n. 9376, e tale Delib. non prevedeva affatto per i privati la possibilità di eseguire emodialisi “ad alta efficienza”, nè accordava per queste una remunerazione più elevata;

-) la Delib. n. 1458 del 2002, richiamata dalla Corte d’appello a fondamento della propria decisione, non introdusse alcuna nuova tariffa, in quanto si limitò a recepire un accordo tra la Regione e la associazione dei gestori di cliniche private (AIOP);

-) le nuove e più elevate tariffe per le emodialisi “ad alta efficienza” vennero introdotte solo dalla Delib. regionale 9 luglio 2004, n. 603, e quindi dopo l’esecuzione delle prestazioni per le quali la San Feliciano chiedeva il rimborso.

Erroneamente pertanto, conclude la ricorrente, la Corte d’appello aveva accordato alla San Feliciano un compenso per prestazioni non previste, e comunque eccedente quello dovuto.

1.2. Il motivo è fondato.

Nella regione Lazio le tariffe per i trattamenti emodialitici vennero stabilite dalla DGR (Delib. giunta Regionale) 30 dicembre 1997, n. 9376.

Quel tariffario prevedeva solo le emodialisi in acetato o bicarbonato.

Una tariffa ad hoc e maggiore per le dialisi “ad alta efficienza” venne introdotta solo nel 2004, dalla D.G.R. 9 luglio 2004, n. 603, la quale previde una tariffa differenziata:

-) Euro 171,6 (codice 39.95.4) per le dialisi in bicarbonato e membrane biocompatibili;

-) Euro 208,49 (codice 39.95.5) per l’emodiafiltrazione;

-) Euro 206,96 (codice 39.95.7) per “altra emodiafiltrazione”;

-) Euro 208,70 (codici 39.95.8 e 39.95.9) per l’emofiltrazione e l’emodialisi-emofiltrazione.

Nella medesima Delib. n. 603 del 2004 si afferma, nella premessa del provvedimento, che “fino ad ora alle strutture private autorizzate all’emodialisi (…) sono state rimborsate dal Servizio Sanitario Regionale esclusivamente le prestazioni dialitiche in acetato o bicarbonato (codice 39.95.1)”.

La suddetta Delib. n. 603 del 2004, per espressa previsione in essa contenuta, è entrata in vigore “dalla data della sua adozione”, e dunque dal 9.7.2004.

Dalla D.G.R. n. 603 del 2004 dunque risulta che:

a) è entrata in vigore il 9.7.2004, cioè dopo l’esecuzione delle prestazioni effettuate dalla San Feliciano;

b) prima di tale data, alle strutture private venivano rimborsate “solo le dialisi in acetato o bicarbonato”.

Erronea in punto di diritto, pertanto, fu la decisione della Corte d’appello secondo cui a (OMISSIS) la San Feliciano avesse diritto ai maggiori compensi previsti per le dialisi “ad alta efficienza”.

1.3. I contrari argomenti spesi dalla Corte d’appello a fondamento della propria decisione non possono essere condivisi.

La Corte d’appello ha accolto la pretesa della San Feliciano in base a due presupposti:

(a) che sin dal 2002, con la Delib. n. 1458 del 2002, la regione Lazio avesse autorizzato i privati ad eseguire dialisi “ad alta efficienza”.

(b) che sin dal 2003, con la “Delib.” (così qualificata dalla corte d’appello) n. 899 del 2003 la regione Lazio avesse approvato le tariffe per le dialisi “ad alta efficienza” eseguite da privati.

1.4. L’affermazione sub (a) non può essere tuttavia condivisa, perchè la D.G.R. n. 1458 del 2002 non contiene alcuna statuizione in tema di autorizzazione dei privati a svolgere dialisi “ad alta efficienza”.

Quella delibera si limitò a recepire un accordo tra la Regione e la AIOP (l’associazione di categoria dei gestori di cliniche private), nel quale si affermava: “si conviene sulla necessità di adeguare l’accreditamento dei centri dialisi privati con la possibilità di erogare tutte le prestazioni emodialitiche previste dal nomenclatore tariffario con decorrenza immediata dal momento dell’approvazione della Delib. sulle nuove tariffe”.

Quella Delib., dunque, recepiva una mera dichiarazione di intenti e manifestava un mero accordo (“si conviene sulla necessità”), e non dettava alcuna norma in senso giuridico dal contenuto precettivo.

1.5. Anche l’affermazione sub (b) è erronea, perchè la c.d. “Delib.” n. 899 del 2003 non ha affatto approvato le nuove tariffe per le dialisi ad alta efficienza.

Il quadro normativo regionale, e gli effetti di esso, vanno infatti così ricostruiti:

-) nel 2001 la Regione Lazio decise di aggiornare le tariffe per le prestazioni dialitiche, e nominò a tal fine un “gruppo di lavoro” (D.G.R. 13 marzo 2001, n. 366 e successivo Decreto del Presidente Giunta Regionale 23 maggio 2001, n. 302);

-) questo gruppo di lavoro portò a termine i propri lavori due anni dopo, il 17.4.2003;

-) con la D.G.R. 9 maggio 2003, n. 410 la Giunta Regionale del Lazio dichiarò di “recepire in via preliminare” le “conclusioni tecniche” del suddetto gruppo di studio, e delegò il Direttore della Direzione Generale Programmazione e Tutela della Salute di “recepire con proprio atto le conclusioni tecniche del Gruppo di lavoro (…) per la definizione delle tariffe per ogni singola tipologia di prestazione dialitica”;

-) il Direttore della Direzione Generale Programmazione e Tutela della Salute recepì le conclusioni tecniche del gruppo di lavoro con la Det. 4 giugno 2003, n. D0899/03 (in BURL, 19.7.2003 n. 20, Parte prima, pag. 98), con la quale dichiarò di “quantificare le tariffe delle prestazioni dialitiche riportate nell’Allegato 1 del presente provvedimento, di cui ne (sic) fa parte”.

-) infine, con la successiva D.G.R. n. 610 del 2004, adottata come detto a luglio 2004, la Regione autorizzò i privati ad eseguire dialisi “ad alta efficienza”, da remunerare con la nuova e più elevata tariffa.

1.6. Fino al 9.7.2004, pertanto, la Regione Lazio non ha affatto nè consentito emodialisi ad alta efficienza, nè approvato le relative tariffe.

L’errore della Corte d’appello, in definitiva, è consistito nell’attribuire efficacia normativa ad una fonte (la Det. Dirig. D0899/03) che non l’aveva e non poteva averla, sia per il suo contenuto oggettivo, sia per la sua natura.

1.6.1. Dal punto di vista dei contenuti, la Det. Dirig. D0899/03 non contiene alcuna dichiarazione formale di approvazione (del tipo “sono approvate le tariffe”; “si applicheranno le nuove tariffe”, o simili). Quella determinazione si limita infatti a dichiarare di “quantificare le tariffe riportate nell’Allegato”. Ora, anche a prescindere da qualsiasi rilievo sul corretto uso della lingua italiana (una tariffa non si “quantifica”; per il fatto stesso che è una tariffa, essa è già “quantificata”, altrimenti non esisterebbe come tariffa), quel che rileva è che la “quantificazione delle tariffe” non fu che una mera approvazione dei risultati cui era pervenuto il gruppo di lavoro nominato con la D.G.R. n. 366 del 2001, e non l’attribuzione a quelle tariffe di un valore normativo generale ed astratto.

Tanto è confermato dalla stessa Delib. “delegante” (la già ricordata D.G.R. n. 410 del 2003), la quale infatti aveva autorizzato il direttore generale unicamente a “recepire le conclusioni tecniche del gruppo di lavoro”: una “delega” dunque che non aveva affatto ad oggetto l’adozione di atti normativi di rilievo generale, nè poteva considerarsi come una delega anche ad estendere ai privati l’autorizzazione all’esecuzione delle dialisi “ad alta efficienza”.

1.6.2. Dal punto di vista strutturale, poi, deve escludersi che l’incremento delle tariffe per le prestazioni erogate in regime di accreditamento potesse essere adottato da un direttore generale sulla base della D.G.R. n. 410 del 2003.

Ostavano a ciò l’art. 46 dello Statuto della Regione Lazio (che attribuisce alla sola Giunta la funzione regolamentare e di attuazione degli obiettivi); sia gli artt. 66 e 67 del Regolamento regionale 6.9.2002 n. 1 (recante “Regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi della Giunta regionale”), quali attribuiscono ai direttori generali il potere di adottare determinazioni solo nei limiti delle attribuzioni “stabilite dalla normativa vigente, da atti di indirizzo e di direttiva dell’organo di governo ovvero da atti di organizzazione”, oppure da “dirigenti appositamente delegati”. Nel caso di specie tuttavia, per quanto detto, nè la legge, nè la Delib. n. 410 del 2003, attribuirono mai al direttore generale il potere di approvare nuove tariffe con atto avente valore precettivo generale.

Fu certamente singolare che l’amministrazione regionale dapprima abbia approvato le tariffe per la dialisi ad alta efficienza (nel 2003), e solo un anno dopo (nel 2004) abbia autorizzato formalmente i privati ad eseguire questo tipo di trattamento, ma tale circostanza interessa le regole della buona amministrazione e la responsabilità politica del legislatore regionale, e non consente a questa Corte di superare l’inequivoco quadro normativo sopra tracciato.

1.7. La Corte d’appello ha fondato poi la propria decisione su un terzo argomento: ovvero la sentenza pronunciata dal TAR Lazio n. 1599/06 (cui il giudice d’appello si è richiamato integralmente), con la quale il Giudice amministrativo ritenne che “la Delib. 8 novembre 2002, n. 1458 ha previsto la possibilità, per le strutture private accreditate, di erogare tutte le prestazioni emodialitiche, purchè fossero comprese nel nomenclatore tariffario”.

Se con la suddetta motivazione la Corte d’appello avesse inteso unicamente condividere l’opinione del TAR, facendola propria con autonoma valutazione, tale valutazione è erronea in iure per le ragioni già dette.

Se, invece, con la suddetta motivazione la Corte d’appello avesse ritenuto esistente un giudicato amministrativo cui era obbligata a conformarsi, deve in contrario osservarsi che di tale giudicato non vi è traccia: nè nella sentenza impugnata, nè negli atti di parte.

Deve solo aggiungersi che non può operare, con riferimento all’accertamento del giudicato, il principio di non contestazione invocato dalla società controricorrente a p. 4 della propria memoria ex art. 378 c.p.c..

Il principio di non contestazione, infatti, è funzionale a selezionare i fatti bisognosi di istruzione probatoria in un ambito dominato dalla disponibilità delle parti, e cessa pertanto di operare con riferimento alle circostanze che devono essere verificate anche d’ufficio, quale appunto il giudicato esterno (Sez. 2 -, Ordinanza n. 12122 del 17/05/2018, Rv. 648499 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 21176 del 20/10/2015, Rv. 637493 – 01), e solo nel caso in cui la parte contro la quale è invocato il giudicato lo ammetta espressamente viene meno l’onere, per la parte avversa, di produrre la decisione munita della certificazione di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c. (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 4803 del 01/03/2018, Rv. 647893 – 01).

Ad abundantiam, comunque non sarà inutile rilevare che la sentenza del TAR Lazio sopra ricordata aveva ad oggetto l’impugnazione della D.G.R. n. 610 del 2004, e non della D.G.R. n. 1458 del 2002, con la conseguenza che appare arduo ammettere che le osservazioni contenute in quella sentenza e riguardanti quest’ultima delibera possano essere coperte dal giudicato sul piano oggettivo.

1.8. In conclusione:

-) la D.G.R. n. 1458 del 2002 non ha affatto previsto la possibilità per i privati di erogare dialisi, ma ha solo recepito un accordo con cui P.A. e privati “convenivano sulla necessità di adeguare l’accreditamento”;

-) la D.G.R. n. 410 del 2003 ha recepito le conclusioni del gruppo di lavoro e dato mandato alla direzione regionale programmazione e tutela salute unicamente di “recepire le conclusioni tecniche del gruppo di lavoro”;

-) la “determinazione” del direttore non poteva nè approvare tariffe, nè autorizzare dialisi;

-) solo la D.G.R. n. 610 del 2004 ha approvato le tariffe ed autorizzato i centri privati alla dialisi “ad alta efficienza”, tanto è vero che nella stessa D.G.R. n. 610 del 2004 si dichiara che “fino ad oggi solo la dialisi in acetato o bicarbonato è stata rimborsata”.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo la ASL lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c..

Sostiene che erroneamente la Corte d’appello avrebbe confermato la sentenza di rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo, nonostante la ASL non avesse mai dimostrato di avere effettivamente eseguito le prestazioni dialitiche per le quali chiedeva il rimborso.

2.2. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’appello, infatti, ha ritenuto effettivamente esistente il credito vantato dalla ASL fondando la propria decisione non già sul principio dell’onere della prova, ma limitandosi a rilevare che la ASL non aveva contestato, nei tempi e nei modi prescritti dal codice di rito, l’effettiva esecuzione di quelle prestazioni.

Questa ratio decidendi non viene nemmeno sfiorata dal secondo motivo di ricorso.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo di ricorso la ASL lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione della Delib. giunta regionale n. 7940 del 1997.

Espone l’amministrazione ricorrente che con la suddetta Delib. era stato imposto alle strutture private, autorizzate a fornire prestazioni di dialisi, il cosiddetto “obbligo informativo”, ovvero l’onere di trasmettere per via telematica alla Regione i dati concernenti le dialisi effettuate, attraverso un apposito software fornito dalla Regione stessa.

Deduce la ricorrente che la società San Feliciano non aveva mai effettuato queste trasmissioni, e che in mancanza di esse la normativa regionale impediva la liquidazione del compenso.

3.2. Anche questo motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’appello, infatti, ha affermato: “vi è in atti documentazione che dimostra l’avvenuta contabilizzazione delle fatture azionate dalla San Feliciano da parte della ASL (…). Nella citazione (in opposizione a decreto ingiuntivo) la ASL dà conto dell’avvenuta accettazione del flusso informativo della San Feliciano effettuata con protocollo n. 171 del 21 luglio 2004, dandosi altresì atto che (…) “le fatture già contestate erano da ritenersi valide ai fini della liquidazione secondo le regole tecnico-contabili”.

La Corte d’appello, dunque, ha accertato in punto di fatto che il “flusso informativo” concernente le prestazioni effettuate era regolarmente pervenuto alla ASL, e che questa lo aveva accettato e protocollato.

Il ricorso non censura sotto alcun profilo tali conclusioni della Corte d’appello, limitandosi a reiterare l’affermazione secondo cui le fatture non potevano essere pagate perchè non era stato assolto “l’obbligo informativo”, senza farsi carico delle motivazioni con cui la sentenza d’appello aveva, per contro, ritenuto debitamente assolto quell’obbligo.

4. Le spese.

Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) accoglie il primo motivo di ricorso; cassa in relazione a questo la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;

(-) dichiara inammissibili il secondo ed il terzo motivo di ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di cassazione, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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