Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30315 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. III, 21/11/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 21/11/2019), n.30315

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9587-2018 proposto da:

B.G., IMPRESA EDILE B.C. & C SRL in persona

del liquidatore e legale rappresentante B.C.,

elettivamente domiciliati presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati ALESSANDRA CAPELLI

e ERMES ANNOVI;

– ricorrenti –

contro

F.G., domiciliata ex lege in ROMA presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

PAOLO ANDREOLI;

– controricorrente –

e contro

CIA SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2214/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 17/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/09/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato ALESSANDRA CAPELLI;

udito l’Avvocato PAOLO ANDREOLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2012 F.G. con ricorso proposto ai sensi dell’art. 447 bis c.p.c., convenne dinanzi al Tribunale di Modena B.G., esponendo:

-) di avere concesso in comodato a B.G. l’immobile sito in (OMISSIS);

-) che il comodato era avvenuto senza fissazione di termine;

-) che la comodataria, nonostante l’invito della comodante, non aveva restituito l’immobile.

Chiese pertanto la condanna della convenuta al rilascio del suddetto immobile.

2. Nel medesimo anno la società CIA s.r.l. convenne dinanzi al medesimo Tribunale la società “Impresa Edile B.” s.r.l., sostenendo anch’essa di avere concesso in comodato senza fissazione di termine alla convenuta un capannone industriale sito a Magreta di Formigine, via Zambelli, e che la comodataria aveva rifiutato di restituire l’immobile.

3. B.G. e la Impresa Edile B. si costituirono nei due giudizi sopra indicati, prospettando una situazione di fatto diversa da quella dedotta dagli attori.

Dedussero che:

-) la CIA (proprietaria del capannone) aveva due soci palesi ( F.G., proprietaria della villetta, ed B.E.) ed un socio occulto o di fatto ( Br.Ga., fratello di E.);

-) Br.Ga. era il padre di B.G. e di B.C., socio ed amministratore della Impresa Edile B.;

-) i due fratelli E. e Br.Ga. avevano edificato vari immobili, per poi di comune accordo concedere in comodato una villetta alla figlia di E.; una seconda villetta alla figlia di Ga., ed il capannone al secondo figlio di quest’ultimo, B.C..

La concessione in comodato dei due immobili da ultimo indicati, secondo la prospettazione dei due convenuti, sarebbe dovuta essere una soluzione temporanea, fino a quando i due fratelli E. e Br.Ga., tra i quali erano nel frattempo insorte controversie sulla conduzione dell’attività sociale, non avrebbero sciolto la società e diviso tra loro i beni di questa.

4. Riuniti i giudizi, il Tribunale di Modena con sentenza 16.12.2016 n. 2347 accolse le domande attoree.

Ritenne non provata, da parte dei convenuti, la circostanza che i due comodati fossero stati stipulati con la fissazione implicita di un termine di durata (rappresentato dalla sistemazione delle controversie societarie tra i due fratelli E. e Br.Ga.).

Di conseguenza qualificò il contratto come precario, e ritenne legittimo il recesso ad nutum da parte dei due comodanti.

5. La Corte d’appello di Bologna con sentenza 17.1.2018 n. 2214 rigettò il gravame proposto da Br.Gr. e dalla Impresa Edile B. s.r.l..

Ritenne che correttamente il Tribunale avesse escluso esservi la prova d’un comodato a termine, e che la deduzione svolta da Br.Gr., secondo cui la casa le era stata concessa per le esigenze del suo nucleo familiare, fosse nuova e perciò inammissibile.

6. Avverso la sentenza d’appello ricorrono per cassazione Br.Gr. e la Impresa Edile B., con un ricorso unitario fondato su undici motivi ed illustrato da memoria.

Resistono con controricorso unitario F.G. e la CIA, le quali hanno depositato anch’esse memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.

1.1. Con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. le due controricorrenti hanno dedotto che la società Impresa Edile B. s.r.l. è stata, nelle more del giudizio, cancellata dal registro delle imprese. Hanno di conseguenza chiesto che il ricorso da questa proposto fosse dichiarato inammissibile, per sopravvenuta perdita della legittimazione ad agire.

1.2. Tale eccezione va rigettata, come correttamente rilevato anche dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni.

I principi invocati dai controricorrenti (secondo cui l’estinzione della società comporta la sua perdita della capacità di stare in giudizio) non trovano infatti applicazione nel giudizio di legittimità.

Questo, infatti, è governato dal principio dell’impulso d’ufficio ed è insensibile alle ordinarie cause di interruzione, con la conseguenza che l’avvenuta cancellazione dal registro delle imprese d’una società, dopo la proposizione del ricorso per cassazione non è causa di interruzione del processo (Sez. 1 -, Sentenza n. 2625 del 02/02/2018, Rv. 646866 – 01; Sez. L, Sentenza n. 3323 del 13/02/2014, Rv. 629652 – 01).

2. Esame dei motivi primo, secondo, terzo, quarto, quinto, ottavo e decimo.

2.1. Sette degli undici motivi proposti dai ricorrenti (il 1, il 2, il 3, il 4, il 5, l’8 ed il 10) sono sostanzialmente coincidenti e possono essere esaminati congiuntamente.

Tutti questi motivi lamentano sotto vari aspetti la violazione del principio di non contestazione.

Sostengono che i due comodatari convenuti, senza negare l’esistenza del comodato, avevano però dedotto varie circostanze di fatto idonee a dimostrare che il comodato venne concordato con fissazione d’un termine implicito; che questo termine non era scaduto; che tali circostanze di fatto non erano state contestate e dovevano perciò darsi per ammesse.

Le circostanze dedotte dai convenuti e non contestate, e che perciò dovevano darsi per ammesse, erano:

-) che la villetta fu concessa in comodato a B.G. dalla CIA, la quale solo in seguito la vendette a F.G.;

-) che la CIA era di fatto incarnata e gestita dai due fratelli E. e Br.Ga. (quest’ultimo padre della convenuta);

-) che la villetta era stata concessa in comodato nell’attesa della divisione del patrimonio della CIA e della sistemazione dei rapporti patrimoniali tra i due fratelli, i cui rapporti si erano nel frattempo compromessi.

Deducono i ricorrenti che tali fatti, non essendo stati contestati dagli attori, dovevano darsi per ammessi ex art. 115 c.p.c., e non poteva pertanto il giudice di merito esigere dai convenuti la prova di essi.

2.2. Le censure dei ricorrenti, nella parte in cui prospettano il vizio di motivazione (3 motivo, col quale si invoca la nullità della sentenza per carenza di motivazione), sono inammissibili, dal momento che il vizio o la mancanza di motivazione sono concepibili solo con riferimento all’accertamento dei fatti, ma non rispetto agli errores in procedendo quale sarebbe, in tesi, la violazione del principio di non contestazione.

Quando, infatti, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un error in procedendo, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (Sez. 2 -, Ordinanza n. 20716 del 13/08/2018, Rv. 650015 – 02).

2.3. Tutte le altre censure prospettate dai ricorrenti nei motivi sopra indicati sono infondate.

Questa Corte ha infatti già stabilito che la contestazione da parte del convenuto dei fatti affermati o negati nell’atto introduttivo del giudizio non ribalta sull’attore l’onere di “contestare l’altrui contestazione”, dal momento che questi ha già esposto la propria posizione a riguardo (Sez. L, Sentenza n. 6183 del 14/03/2018, Rv. 647534 – 01).

L’attore infatti, nel momento in cui nell’atto di citazione allega i fatti costitutivi della propria pretesa, con tale sola allegazione nega la sussistenza di fatti estintivi o modificativi di essa. Se, dunque, il convenuto deduca fatti modificativi od estintivi di quella pretesa, l’attore non deve formulare altra specifica contestazione a fronte delle contrarie allegazioni.

Se così non fosse, il processo si trasformerebbe in una sorta di gioco di specchi contrapposti che rinviano all’infinito le immagini riflesse, per cui ciascuna parte avrebbe sempre l’onere di contestare l’altrui contestazione e così via, in una sorta di agone dialettico in cui prevale l’ultimo che contesti (magari con mera formula di stile) l’avverso dedotto (così, testualmente, Cass. 6183/18, cit.; nello stesso senso, Sez. L, Sentenza n. 18046 del 20/08/2014, non massimata).

3. Il sesto motivo di ricorso.

3.1. Col sesto motivo le ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c..

Sostengono che la sentenza d’appello sarebbe erronea nella parte in cui ha ritenuto che solo in appello, per la prima volta e dunque inammissibilmente, B.G. dedusse che l’immobile le era stato concesso in comodato per le esigenze del nucleo familiare, e quindi a tempo determinato, fino alla cessazione delle suddette esigenze, con conseguente inammissibilità del recesso ad nutum del comodante.

Deducono in contrario che tale eccezione era stata sollevata già in primo grado; che la circostanza non era stata contestata dall’attrice F., e che comunque (questa parrebbe l’unica interpretazione plausibile del penultimo capoverso di p. 42 del ricorso, non del tutto chiaro) la suddetta circostanza poteva essere rilevata dal giudicante anche d’ufficio.

3.2. Nella parte in cui lamenta la violazione dell’art. 345 c.p.c. il motivo è infondato.

In primo grado B.G. ha sì allegato in punto di fatto (molto fugacemente) che la villetta concessale in comodato era adibita ad abitazione sua e della sua famiglia, ma non ha mai dedotto che il comodato era a tempo determinato per questa ragione.

Aveva, invece, dedotto che il comodato era stato pattuito a tempo determinato per una diversa ragione, e cioè la necessità di attendere che i due fratelli B. componessero le controversie societarie tra essi insorte.

Il tema della esistenza o meno di una destinazione a scopi familiari del comodato non era mai entrato a far parte del dibattito processuale, noto essendo che il thema decidendum deve essere prospettato in modo chiaro e netto, e non ambiguo o sottinteso.

3.3. Nella parte in cui lamenta il mancato rilievo officioso della questione il motivo è del pari infondato.

L’eccezione con cui si allega che il comodato è a tempo determinato per esigenze della famiglia è intesa a far valere un diritto che, in teoria, potrebbe essere azionato in via autonoma.

E’, di conseguenza – secondo la nota distinzione – un’eccezione che si fonda su un diritto potestativo, e dunque una eccezione in senso stretto, come tale non rilevabile d’ufficio.

E’ infatti pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che “l’eccezione in senso stretto è non solo quella prevista dalla legge, ma anche quella con cui, coerentemente alla natura di controdiritto rivolto all’impugnazione del diritto dell’attore, si fa valere contro la domanda dell’attore un diritto che potrebbe azionarsi separatamente in via autonoma, ed il cui esercizio si configura come necessario perchè si verifichi un mutamento della situazione giuridica” (Cass., sez. I, 0702-2000, n. 1320; il principio è consolidato: nello stesso senso Cass. civ., sez. lav., 15-05-2007, n. 11108; Cass. civ., sez. lav., 21-08-2004, n. 16501; Cass. civ., 06-04-1983, n. 2403).

Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha (implicitamente) qualificato la suddetta eccezione come eccezione in senso stretto, e l’ha ritenuta non rilevabile d’ufficio.

4. Il settimo motivo di ricorso.

4.1. Col settimo motivo le ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per inintelligibilità della motivazione, nella parte in cui avrebbe (secondo i ricorrenti) rigettato nel merito il terzo motivo d’appello, vale a dire quello con cui le appellanti assumevano l’erroneità della sentenza di primo grado, per non avere considerato che la villetta era stata concessa in comodato a B.G. per esigenze familiari.

4.2. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

Il terzo motivo d’appello, col quale le allora appellanti (odierne ricorrenti) ponevano il tema della destinazione a scopi familiari dell’immobile dato in comodato, è stato dichiarato dalla Corte d’appello inammissibile per la sua novità.

Stabilito ciò, la Corte d’appello ha comunque ritenuto ad abundantiam di esaminarlo nel merito, ritenendolo sotto tale profilo infondato.

Ma ciò non toglie che quel motivo di appello sia stato comunque ritenuto inammissibile perchè nuovo, e non infondato nel merito. Di conseguenza tùtte le valutazioni della Corte d’appello sul merito della questione devono ritenersi tamquam non essent.

Questa Corte infatti ha ripetutamente affermato che, quando il giudice rilevi una causa impeditiva dell’esame del merito della domanda a lui sottoposta (quale è, appunto, la formulazione d’una domanda nuova in grado di appello), statuendo su tale questione preliminare egli si spoglia della potestas iudicandi, e qualsiasi altra affermazione contenuta nella sentenza deve ritenersi tamquam non esset (ex multis, Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007, Rv. 595555 – 01).

5. Il nono motivo di ricorso:

5.1. Col nono motivo le ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, che la Corte d’appello sarebbe incorsa nel vizio di omessa pronuncia. Espongono, in particolare, che la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame con cui la società “Impresa Edile B.” s.r.l. aveva dedotto che il capannone le era stato concesso in comodato a tempo determinato (con impossibilità dunque del recesso ad nutum del comodante), sino a quando non sarebbero state risolte le controversie tra i due soci (uno occulto e l’altro palese) della CIA s.r.l., proprietaria dell’immobile.

5.2. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha premesso all’intera motivazione che le ragioni per le quali ha ritenuto fondata la domanda di rilascio della villetta data in comodato a B.G. “dovevano intendersi estese” anche all’accoglimento della domanda di rilascio del capannone dato in comodato alla Impresa Edile B. s.r.l. (p. 4, quinto capoverso, della sentenza impugnata). Ha, poi, aggiunto che le prove raccolte escludevano la sussistenza d’un comodato a tempo (p. 6, ultimo capoverso). Tale ultima affermazione, in virtù della premessa di “comunanza” delle motivazioni, deve intendersi perciò riferita anche alla domanda proposta dalla CIA nei confronti della Impresa Edile B., con la conseguenza che il lamentato vizio di omessa pronuncia non sussiste.

6. L’undicesimo motivo di ricorso.

6.1. Con l’undicesimo motivo le ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, l’erroneità della sentenza d’appello nella parte in cui ha attribuito efficacia probatoria decisiva alla registrazione del contratto di comodato, unilateralmente compiuta dai due comodanti.

Deducono che quella registrazione, di per sè, nulla poteva dimostrare circa l’intenzione delle parti di sottoporre o non sottoporre ad un termine il contratto di comodato.

6.2. Il motivo è innanzitutto inammissibile, nella parte in cui censura il modo in cui il giudice di merito ha valutato la prova documentale.

Una censura di questo tipo infatti cozza contro il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, secondo cui non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”).

6.2. Nella parte, invece, in cui prospetta la violazione delle regole sul riparto dell’onere della prova il motivo è infondato.

Dinanzi ad una domanda di rilascio proposta da chi assume essere comodante, la Corte d’appello doveva innanzitutto accertare se l’attore avesse provato l’esistenza e l’efficacia del contratto: e la Corte d’appello su questo punto correttamente ha ritenuto esistente un contratto di comodato, dal momento che la circostanza non era mai stata contestata dai convenuti.

La circostanza, poi, che quel contratto fu pattuito con un termine implicito costituiva un fatto impeditivo o modificativo della pretesa attorea, e in quanto tale doveva essere provato dai convenuti. E poichè la Corte d’appello è dai convenuti che ha preteso la relativa prova, essa non ha violato i criteri di riparto dell’onere della prova.

7. Le spese.

7.1. La circostanza che la presente controversia coinvolge membri del medesimo nucleo familiare; l’esito alterno dei gradi di merito e la natura degli interessi coinvolti nella lite costituiscono gravi motivi, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

7.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di B.G. e della Impresa Edile B. s.r.l., se dovuto, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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