Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30315 del 18/12/2017


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 30315 Anno 2017
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: FEDERICO GUIDO

SENTENZA

sul ricorso 24516-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA G.G. PORRO 26, presso lo studio dell’avvocato GUIDO
ANASTASIO PUGLIESE, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro
2017
2538

CANIGGIA

EMANUELE,

GIOVANNINI

FEDERICO,

CANIGGIA

VINCENZA, ROMITELLI MAURIZIO,V – NUNZI GABRIELLA,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ATTILIO REGOLO
12-D, presso lo studio dell’avvocato ITALO CASTALDI,
che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato
EDMONDO PESCATORI;

Data pubblicazione: 18/12/2017

- controricorrenti nonchè contro

MINISTERO SVILUPPO ECONOMICO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 3781/2013 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 02/07/2013;

udienza del 17/10/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO
FEDERICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato CINTI Giuseppe con delega depositata
in udienza dell’Avvocato PUGLIESE Anastasio Guido,
difensore del ricorrente che si riporta agli atti
depositati;
udito

l’Avvocato

CASTALDI

Italo,

difensore

resistenti che si riporta agli atti depositati.

dei

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Esposizione del fatto
L’ing. Giulio Rispoli conveniva innanzi al Tribunale di Roma il
Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, esponendo che:

– dopo aver lavorato, con altri professionisti, alla progettazione del
Nuovo Centro Intercompartimentale, con comunicazione del 30 ottobre
1980 era stato incaricato, unitamente ad altro professionista, della
collaborazione artistica alla direzione dei lavori di costruzione del
complesso del fabbricato, incarico che egli aveva accettato il 6 novembre
1980.
I lavori erano stati avviati, ma successivamente sospesi ed il cantiere era
stato sequestrato per ordine dell’autorità giudiziaria.
Successivamente, approvata la variante al PRG, era stato conferito
all’ing. Rispoli l’incarico di redigere gli elaborati tecnici per ottenere la
concessione edilizia per la costruzione del complesso suddetto.
In data 23 dicembre 1983 l’incarico veniva espletato e gli elaborati
consegnati.
Con comunicazione del 16 novembre 1990, l’Amministrazione gli aveva
peraltro comunicato che, non essendosi realizzate le condizioni per
conseguire i risultati perseguiti, l’incarico doveva ritenersi risolto.
Tanto premesso e considerato di aver regolarmente espletato l’incarico e
rilevato altresì che la unilaterale risoluzione del contratto doveva ritenersi
illegittima, chiedeva la condanna del Ministero al pagamento di onorari
e rimborsi per le proprie prestazioni professionali, oltre al risarcimento
dei danni, o, in via subordinata, all’indennizzo ex art. 2041 c.c.
Il Tribunale di Roma, espletata consulenza tecnica diretta ad accertare la
prestazione effettuata dall’attore in esecuzione della convenzione del 23

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dicembre 1983, con sentenza depositata il 30 dicembre 2002, condannava
Poste Italiane spa, subentrata al Ministero delle Poste e Comunicazioni,
al pagamento di 1.088.320,00 euro, oltre ad interessi ed iva.

La Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo
grado, condannava Poste Italiane spa al pagamento della minor somma di
544.161,79 euro in favore di Maurizio e Laura Romitelli, Federico
Giovannini, Gabriella Nunzi, Vincenza e Emanuele Caniggia, subentrati

iure hereditatis all’ing. Rispoli.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n.5146 del 24.1.2012, dichiarava
la nullità della sentenza impugnata, per difetto di integrità del
contraddittorio, e rimetteva la causa alla Corte d’Appello di Roma in
diversa composizione, poichè il giudizio di appello, instaurato su
impugnazione proposta da Poste spa, si era svolto senza la necessaria
partecipazione del Ministero.
Romitelli Federico, in proprio e quale procuratore speciale di Romitelli
Laura, Nunzi Gabriella, Giovannini Federico, Caniggia Emanuele e
Caniggia Vincenza, riassumeva il giudizio ai sensi dell’art. 392 cpc
chiedendo il rigetto dell’appello proposto da Poste Italiane spa e la
conferma della sentenza di primo grado.
Poste Italiane resisteva, chiedendo il rigetto della domanda o, in
subordine, la rideterminazione del compenso, previo espletamento di
nuova ctu.
Il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni restava contumace.
Con la sentenza n.3781/2013 la Corte d’Appello di Roma rigettava
l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma, che confermava
integralmente.

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Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione Poste Italiane, con
tre motivi.
Romitelli Federico, Romitelli Laura, Nunzi Gabriella, Giovanni Federico,

Caniggia Emanuele e Caniggia Vincenza resistono con controricorso,
illustrato da memorie ex art. 378 cpc.
Il Ministero dello Sviluppo Economico non ha svolto, nel presente
giudizio, attività difensiva.
Ragioni della decisione
Il primo motivo denuncia la nullità della sentenza ex art. 360 n.4) cpc,
lamentando la insufficiente e contraddittoria motivazione sulla
statuizione che ha affermato la legittimità della condotta
dell’Amministrazione.
In particolare, secondo l’assunto della ricorrente nessuna arbitrarietà era
riscontrabile nel comportamento della committente, la quale aveva risolto
nel febbraio del 1990 il contratto con l’ing. Rispoli in considerazione del
lasso di tempo trascorso dal conferimento dell’incarico, senza il
raggiungimento di risultati concreti.
Il motivo è inammissibile poiché esso, nei termini in cui è formulato, non
denuncia l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le
parti, ma evidenzia, piuttosto, una insufficiente motivazione, non più
censurabile alla luce del nuovo disposto del n.5) comma 1 dell’art. 360
codice di rito, ( Cass. Ss.Uu. n.8053/2014), lamentando, in buona
sostanza, che la Corte territoriale non abbia adeguatamente argomentato
la propria statuizione, secondo cui era maturato il diritto del
professionista al compenso per l’attività professionale espletata.

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Nel caso di specie, la Corte territoriale ha peraltro evidenziato che, in
assenza di specifica doglianza al riguardo, dovevano ritenersi
definitivamente accertati i fatti posti a fondamento della domanda di

condanna al pagamento del compenso professionale: vale a dire
l’esistenza di una convenzione tra le parti, l’espletamento dell’incarico
affidato ed il rilascio della concessione per la realizzazione del
complesso edilizio.
Tale accertamento della Corte territoriale costituisce adeguata

ratio

decidendi, idonea a fondare la statuizione di rigetto dell’impugnazione
proposta dalla committente, e non risulta specificamente contestata.
Deve dunque escludersi tanto la “mancanza assoluta della motivazione
sotto l’aspetto materiale e grafico”, quanto la “motivazione apparente”, o
il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, figure queste
che circoscrivono l’ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità
sulla motivazione dopo la riforma dell’art. 360 cod. proc. civ. operata
dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012,
n. 134, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori — ai
sensi del nuovo testo del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. — non integra, di
per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto
storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione
dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le
risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv.
629830 e 629831).
Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza ex art. 360 n.4) cpc, in
relazione alla insufficiente motivazione sul rigetto dell’eccezione,
sollevata dalla ricorrente, di incompletezza e contraddittorietà della

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perizia; la ricorrente censura sia la pronuncia di tardività dell’eccezione,
sia, nel merito, il fatto che la Ctu non abbia tenuto conto degli accordi
espressi nella convenzione.

Pure tale motivo non ha pregio.
Quanto alla statuizione di tardività dell’eccezione, formulata peraltro solo

incidenter tantum dalla Corte territoriale, la stessa è conforme a diritto.
Si osserva infatti che il successore a titolo particolare ex art. 111 cpc può
svolgere le ( sole) attività processuali consentite al suo dante causa (Cass.
6220 del 3.6.1993) e con le preclusioni che già gravano su quest’ultimo.
Se, dunque ,il successore a titolo particolare può proporre appello anche
al di fuori dei limiti nei quali ex art. 344 cpc è ammesso l’intervento di
un terzo, il divieto di proporre nuove domande e nuove eccezioni, di cui
all’art. 345 cpc, in quanto concerne una preclusione maturata a carico
della parte originaria, si estende anche al suo successore.
La seconda censura è inammissibile in quanto, nei termini in cui è
formulata, non censura l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di
discussione tra le parti, ma evidenzia, piuttosto, una insufficiente
motivazione non più censurabile alla luce del nuovo disposto del n.5)
comma l dell’art. 360 codice di rito, ( Cass. Ss.Uu. n.8053/2014),
lamentando, in buona sostanza, che la Corte territoriale non abbia
valutato in modo adeguato talune carenze dell”espletata ctu.
Orbene, giusta la nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.,
è consentito denunciare in Cassazione solo il vizio specifico relativo
all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che sia
stato oggetto di discussione tra le parti, ed abbia carattere decisivo.

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Ne consegue che il ricorrente non può limitarsi a denunciare
l’incompletezza della espletata consulenza tecnica d’ufficio, ma deve
indicare che ciò si sia tradotto nell’omesso esame di “fatti” decisivi da

parte del giudice di merito, indicando il dato, testuale o extratestuale, da
cui essi risultino, il “come” ed il “quando” tali fatti siano stati oggetto di
discussione processuale tra le parti e la loro decisività (Cass. 7472/2017).
In ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al
carattere limitato del mezzo di impugnazione, inoltre, il ricorrente ha
l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi, decisivi,
rispetto ai quali deduce il mancato esame, trascrivendo integralmente nel
ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e
riportando il contenuto specifico delle critiche che ad essi siano state
sollevate, onde possa ritenersi che essi siano stati oggetto di discussione
tra le parti.
Nel caso di specie, la Corte ha specificamente preso in esame e rigettato,
nel merito, la doglianza sull’elaborato peritale sollevata dall’odierna
ricorrente nel giudizio di merito, evidenziando che il ctu determinò
correttamente il compenso del professionista, in relazione all’importo dei
lavori, sulla base dei criteri contenuti nella convenzione di incarico e
secondo le disposizioni della 1.143/49.
A fronte tale accertamento e della specifica indicazione dei criteri cui si è
uniformato il ctu, la censura del ricorrente è inammissibile per genericità,
atteso che non viene neppure specificato se si deduca l’applicazione di
parametri errati, ovvero l’errata applicazione in concreto dei corretti
parametri di riferimento.

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Il terzo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 7
1.143/1949, per aver erroneamente attribuito al professionista l’intero
compenso, a fronte di prestazioni professionali rese da più soggetti

incaricati; ad avviso della ricorrente, l’art. 7 1.143/1949 non trova
applicazione quando, come nel caso di specie, risulti che l’incarico sia
stato conferito a più professionisti congiuntamente, nel qual caso il
compenso pattuito dovrà essere suddiviso tra tutti i professionisti
incaricati.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
La ricorrente, infatti, nel dedurre l’errata applicazione al caso di specie
dell’art. 7 1./143/1949, in forza del quale, “quando un incarico viene
affidato dal committente a più professionisti riuniti in collegio, a
ciascuno dei membri del collegio è dovuto l’intero compenso risultante
dall’applicazione della presente tariffa”, ha omesso di riportare in ricorso,
se non integralmente, almeno i passi rilevanti della convenzione di
conferimento dell’incarico, onde consentire a questa Corte di verificare la
denunciata carenza dei presupposti di applicabilità della norma e dunque
l’errore nella riconduzione del caso concreto alla suddetta previsione
normativa.
In ogni caso l’assunto non è fondato.
E’ infatti irrilevante la circostanza dedotta dal ricorrente, del
conferimento in via congiuntiva dell’incarico professionale, posto che il
menzionato art. 7 1./143/1949, come questa Corte ha già affermato, trova
fondamento nella unitarietà delle prestazioni dei singoli componenti il
collegio in relazione alla realizzazione dell’unico incarico, a fronte della

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quale a ciascuno di costoro è legittimamente liquidata per intero la tariffa
fissata “ex lege” (Cass. 2668/2001).

ai resistenti delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da
dispositivo.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo
unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater dpr 115/2002, applicabile
ai procedimenti instaurati dal trentesimo giorno successivo alla data di
entrata in vigore della legge, avvenuta il 30 gennaio 2013.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla refusione ai resistenti delle spese del presente
giudizio, che liquida in 18.200,00 €, di cui 200,00 € per riniorso spese,
oltre a rimborso forfettario per spese generali in misura del 15%, ed
accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del
contributo unificato ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 30 maggio
2002 n.115.
Cosi deciso in Roma il 17 ottobre 2017
Il Presidente

v

nario Giudiziario
i NERI

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
Roma,

18 DICI 2017

Il ricorso va dunque respinto e la ricorrente va condannata alla refusione

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