Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30312 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. III, 21/11/2019, (ud. 08/05/2019, dep. 21/11/2019), n.30312

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 26631/2017 R.G. proposto da:

Curatela del fallimento (OMISSIS) s.r.l., in persona del Curatore

fallimentare, all’uopo autorizzato dal giudice delegato,

rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Caiafa, con domicilio

eletto presso il suo studio in Roma, via Alfredo Fusco, n. 104;

– ricorrente –

contro

Castelcervo Vacanze s.r.l., TRR Santavenera s.r.l. Investimenti Sardi

s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore,

tutte rappresentate e difese dagli Avv.ti Massimo Petroni e Carmine

Bevilacqua, con domicilio presso lo studio di quest’ultimo eletto in

Roma, via Antonio Bertoloni, n. 26/b;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di depositata il gg mese

aaaa.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’8 maggio 2019

dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo;

uditi gli Avv. Antonio Caiafa e Massimo Petroni;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Fresa Mario, che ha concluso chiedendo che il ricorso

sia dichiarato inammissibile o, in via subordinata, che sia

rigettato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Curatela del fallimento (OMISSIS) S.r.l. conveniva in giudizio la Castelcervo Vacanze S.r.l., chiedendo che fossero revocati, ai sensi dell’art. 2901 c.c. e della L. Fall., art. 61, gli atti di alienazione – aventi ad oggetto taluni beni immobili – effettuati dalla società poi fallita in favore della convenuta nel “periodo sospetto”; in via subordinata, chiedeva che fosse dichiarata la risoluzione dei medesimi contratti di compravendita, non avendo l’acquirente corrisposto il prezzo pattuito.

Successivamente, la Curatela conveniva in giudizio anche la Investimenti Sardi S.r.l. e la TTR Santasevera S.r.l., alle quali i medesimi immobili erano stati successivamente trasferiti dalla Castelcervo Vacanze S.r.l., chiedendo l’accertamento della natura simulata degli atti di vendita o, in via subordinata, che fosse dichiarata l’inefficacia degli stessi ai sensi dell’art. 2901 c.c.

Il Tribunale di Roma, riunite le cause, rigettava la domanda revocatoria, ravvisando il difetto di prova in ordine ai crediti ammessi al passivo fallimentare (con particolare riferimento all’epoca in cui erano sorti). Rigettava, altresì, la domanda subordinata di risoluzione per inadempimento, poichè il pagamento del prezzo era quietanziato negli stessi rogiti notarili.

La Corte d’appello di Roma, con la sentenza ora impugnata, rigettava il gravame interposto dalla Curatela, confermando integralmente la pronuncia di primo grado.

Avverso tale decisione la Curatela fallimentare ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.

La Castelcervo Vacanze S.r.l., la TTR Santasevera S.r.l. e la Investimenti Sardi S.r.l. hanno resistito con un unico controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., consistita nell’aver ritenuto inammissibili in sede di appello alcune produzioni documentali tardivamente prodotte in primo grado.

La Curatela ricorrente si lamenta, inoltre, della circostanza che la Corte d’appello abbia ritenuto non utilizzabili in fase di gravame alcuni elementi probatori allegati nell’ambito di un giudizio cautelare (sequestro giudiziario) azionato nel corso del giudizio di primo grado. Nello specifico, la Curatela sostiene che la corte territoriale avrebbe potuto e dovuto tenere in considerazione gli elementi istruttori acquisiti nel corso del giudizio cautelare, non solo poichè tali elementi erano indispensabili ai fini della decisione di merito (in accordo alla versione dell’art. 345 c.p.c. applicabile ratione temporis al giudizio di appello), ma anche in virtù del carattere tipicamente strumentale del procedimento cautelare, necessariamente correlato al giudizio di merito e ad esso funzionale. Quanto meno, conclude la ricorrente, la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare tali elementi istruttori sotto forma di argomenti di prova, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2727 c.c. e dell’art. 116 c.p.c.

1.2 Il motivo è inammissibile.

Risulta decisivo il rilievo che nel ricorso non si indica quali siano, in concreto, i documenti di cui la Corte d’appello avrebbe dovuto disporre l’ammissione ai sensi dell’art. 345 c.p.c. nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012.

Il motivo è quindi carente di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Tale carenza è altrettanto evidente anche con riferimento al materiale probatorio asseritamente acquisito nel corso del giudizio cautelare. Infatti, la Curatela sostiene di aver tempestivamente depositato in quel giudizio taluni documenti indispensabili ai fini della decisione. Tuttavia, essa si limita a riportare dei passaggi del provvedimento di sequestro conservativo nei quali non si coglie alcuno specifico riferimento ai documenti asseritamente depositati dalla ricorrente; nè viene riportato il contenuto di tali documenti o la loro collocazione topografica all’interno del fascicolo del subprocedimento cautelare.

L’omessa specificazione del contenuto dei documenti in questione determina l’inammissibilità del motivo. Non si tratta, infatti, di una violazione meramente formale. Le Sezioni unite hanno chiarito che costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c. (nella versione applicabile ratione temporis al presente giudizio) quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio (Sez. U, Sentenza n. 10790 del 04/05/2017, Rv. 643939 01). Pertanto, il ricorrente che, in sede di legittimità, denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c. ha l’onere di indicare, mediante specifica allegazione autosufficiente, quali siano i documenti di cui è stata illegittimamente esclusa l’acquisizione in grado d’appello e, per ciascuno di essi, di dimostrarne la decisività.

2. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. La censura si rivolge contro la sentenza impugnata nella parte in cui non ha valutato gli elementi probatori acquisiti nel procedimento cautelare svoltosi in pendenza del giudizio di primo grado, nemmeno quali argomenti di prova. A sostegno, la Curatela richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il giudice di merito può utilizzare, quale fonte del proprio convincimento, anche prove raccolte in un diverso giudizio tra le stesse parti, purchè formatesi nel rispetto del principio del contraddittorio.

Il motivo è infondato.

La giurisprudenza richiamata dal ricorrente non è confacente al caso di specie, poichè essa è relativa a prove formatesi in un altro processo, ma tempestivamente prodotte nel giudizio in cui le si vuoi far valere (v. Sez. L. Sentenza n. 4652 del 25/02/2011, Rv. 616152 -01; Sez. Un. Sentenza n. 9040 del 08/04/2008, Rv. 602752 -01). Diversamente opinando, si verrebbe a determinare una inammissibile e non contemplata rimessione in termini per le prove formate altrove, togliendo ogni risalto e valore alle decadenze proprie del processo civile.

3.1 Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 61 e 66 e dell’art. 2901 c.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, inoltre, si invoca l’omessa motivazione su un fatto decisivo del giudizio.

La censura concerne il capo della sentenza impugnata in cui si afferma che gli atti dispositivi oggetto di revocatoria non avevano recato pregiudizio al credito della Servizi Consortili Costa Smeralda S.p.a., stante la natura di obbligazione propter rem di tale credito.

Il motivo è inammissibile.

A prescindere dagli argomenti di diritto illustrati nel ricorso, risulta tranciante il rilievo che la circostanza sopra riferita, già fatta propria dal giudice di primo grado, non ha costituito oggetto di specifica impugnazione in appello, come risulta dalla lettura della sentenza gravata (pag. 9, rigo 2). Si tratta, pertanto, di una questione che, non avendo costituito oggetto dell’effetto devolutivo in appello, non poteva essere più proposta in questa sede.

3.2 Parimenti inammissibile è l’altra censura dedotta nell’ambito del medesimo motivo, incentrata sul vizio di cui al art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 La Curatela sostiene che, dalla mancata assunzione degli elementi probatori sopra indicati sarebbe conseguito l’omesso esame dei requisiti dell’eventus damni e del consilium fraudis.

A prescindere dall’aver formalmente invocato un vizio di motivazione (non più previsto fra i motivi di ricorso per cassazione per le sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012), oggetto dell’omesso esame non sarebbe di un fatto storico, primario o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831 – 01), bensì una valutazione in diritto consistente nella qualificazione giuridica di una fattispecie.

Ad ogni modo, il “fatto omesso” non risulta dedotto nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ossia indicando puntualmente il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (v. ancora Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831 – 01).

4. Con il quarto motivo si invoca, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 2697 c.c.

Costituisce oggetto di censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda subordinata di risoluzione dei contratti di vendita sul presupposto dell’avvenuto versamento del prezzo pattuito, così come risultante dalla quietanza di pagamento rilasciata negli atti notarili. Osserva la Curatela che tale ragionamento sarebbe errato, poichè, ai sensi degli artt. 1453 e 2697 c.c., la dimostrazione dell’avvenuto adempimento grava sul debitore convenuto, il quale dovrebbe fornire la prova (positiva) del fatto estintivo senza potersi avvalere a tal fine della quietanza in atti.

Il motivo è infondato.

Infatti, la circostanza che spetti al debitore l’onere di fornire la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa non implica affatto che, ai fini probatori, costui non possa avvalersi di documenti in atti: l’onere della prova incombente sul convenuto non comporta necessariamente la produzione di documenti nuovi, da esso unilateralmente provenienti, attestanti l’avvenuto pagamento, qualora tale circostanza già risulti positivamente dai documenti in atti.

Pertanto, ben poteva la società convenuta avvalersi della quietanza di pagamento contenuta nel rogito notarile prodotto dalla Curatela attrice e, a quel punto, in virtù dell’art. 2697 c.c., sarebbe spettata a quest’ultima dedurre l’inidoneità di quella quietanza, superandone l’evidenza.

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Considerate le ragioni della decisione, fondata su questioni processuali che hanno precluso l’esame delle domande della curatela nel merito, si ravvisano giusti motivi per compensare integralmente le spese processuali del giudizio di legittimità fra le parti.

Poichè risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere stata ammessa al Patrocinio a spese dello Stato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 144 non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

rigetta il ricorso il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali fra le parti.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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