Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30311 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. III, 21/11/2019, (ud. 08/05/2019, dep. 21/11/2019), n.30311

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 18964/2017 R.G. proposto da:

L.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Alfonso Amato,

domiciliato ex art. 366 c.p.c., comma 2, in Roma, piazza Cavour

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Comune di Grumento Nova, in persona del Sindaco pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avv. Franco Trivigno, domiciliato ex

art. 366 c.p.c., comma 2, in Roma, piazza Cavour presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

C.R.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Potenza depositata il 7

ottobre 2016;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’8 maggio 2019

dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo;

udito l’Avv. Alfonso Amato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Fresa Maria, che ha concluso chiedendo il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.R. conveniva dinanzi al Tribunale di Potenza il Comune di Grumento Nova, nonchè personalmente L.A., già sindaco del medesimo Comune, deducendo che il defunto marito P.S. aveva presentato una richiesta di contributo per la riparazione di un fabbricato; che tale richiesta era stata accolta, con lo stanziamento dell’importo di Lire 15.083.670; che il provvedimento di accoglimento non era stato tuttavia comunicato ad essa attrice, succeduta nell’istanza; che, a causa della mancata comunicazione, il contributo stanziato era stato devoluto ad altri beneficiari, collocati in posizioni successive in graduatoria; che per tali fatti il L. era stato condannato dal giudice penale per i reati di abuso d’ufficio e falso.

Tanto premesso, la C. chiedeva il risarcimento dei danni derivati dalla mancata comunicazione del provvedimento di stanziamento e dai fatti illeciti accertati in sede penale.

Il Tribunale di Potenza accoglieva parzialmente la domanda, condannando i convenuti al pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro 7.790,07, pari all’importo del contributo originariamente stanziato.

Il L. e il Comune di Grumento Nova impugnavano la decisione, ma la Corte d’appello di Potenza rigettava il gravame, confermando la pronuncia di primo grado.

Avverso tale sentenza L.A. ha proposto ricorso per cassazione articolato in otto motivi, illustrati da successiva memoria. Il Comune di Grumento Nova ha resistito con controricorso. C.R. non ha svolto, in questa sede, attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 Con il primo e il settimo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 38 c.p.c. Con il secondo motivo, invece, si invoca il difetto di legittimazione passiva del L..

I tre motivi sono connessi e possono essere trattati congiuntamente.

Il ricorrente sostiene che i giudici di merito, nel condannare il Comune di Grumento Nova ed il sindaco al pagamento della somma corrispondente al contributo che sarebbe originariamente spettato al marito dell’attrice, abbiano accolto la domanda subordinata di quest’ultima, relativa non al risarcimento del danno subito bensì alla corresponsione dei contributi di cui alla L. n. 219 del 1981. Conseguirebbe, pertanto, il difetto di giurisdizione del tribunale ordinario in favore del giudice amministrativo, nonchè il difetto di legittimazione passiva del L., risultando unico legittimato passivo il Comune di Grumento Nova.

La giurisdizione del giudice amministrativo si fonderebbe, inoltre, sulla statuizione del giudice penale che, nella sentenza di condanna, avrebbe riconosciuto la sussistenza di un danno consistente nella lesione dell’interesse legittimo, stante la mancata comunicazione del provvedimento di erogazione del contributo.

I motivi sono inammissibili.

1.2 Va premesso, anzitutto, che il ricorrente, deducendo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, ha erroneamente evocato l’art. 38 c.p.c., in quanto la norma che egli prospetta come violata dovrebbe essere invece l’art. 37 c.p.c. Ma si tratta di un errore materiale facilmente riconoscibile, che non incide sull’osservanza del requisito di ammissibilità del ricorso di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013, Rv. 627268 – 01).

1.3 Sempre in via preliminare, il ricorrente riferisce di non aver formulato tale eccezione nei precedenti gradi di merito, il che non osterebbe alla proposizione della censura per la prima volta in sede di legittimità, poichè il difetto di giurisdizione, a mente dell’art. 37 c.p.c., deve essere rilevato anche d’ufficio in qualunque stato e grado del processo.

Sennonchè il Comune di Grumento Nova ha controdedotto di aver espressamente formulato l’eccezione in esame già nella comparsa di costituzione e risposta di primo grado. Di ciò il ricorrente non fa menzione, omettendo così di chiarire un aspetto che invece è dirimente: infatti, se da un lato è vero che l’art. 37 c.p.c. consente di rilevare in ogni stato e grado il difetto di giurisdizione, è altrettanto vero che, qualora sulla questione vi sia stata una pronuncia in primo grado, anche implicita, i giudici delle fasi processuali successive possono essere investiti della questione di giurisdizione solo laddove essa sia stata riproposta come motivo di impugnazione, ostandovi altrimenti la formazione del giudicato interno (Sez. U, Sentenza n. 4109 del 22/02/2007, in motivazione).

Orbene, la pronuncia di primo grado è stata impugnata (anche) dal L., il quale ha investito la Corte d’appello del gravame, senza però proporre appello (neppure in via incidentale) sul profilo del difetto di giurisdizione (o comunque senza riproporre la relativa eccezione). Risulta dagli atti che la questione non è stata riproposta in grado d’appello neppure dal Comune di Grumento Nova.

Deve quindi concludersi che i motivi in esame sono inammissibili, in quanto sollecitano la pronuncia di questa Corte su una questione di giurisdizione implicitamente rigettata dal giudice di primo grado e che non ha costituito oggetto di specifica impugnazione in appello.

In alternativa, qualora la vicenda processuale si ponesse in termini diversi da quelli sopra indicati, i motivi sarebbero carenti di specificità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) in relazione ad un profilo decisivo in ordine all’ammissibilità della questione di giurisdizione.

1.4 In ogni caso, la censura non sarebbe fondata.

La pronuncia impugnata ripercorre a fondo il rapporto fra l’azione risarcitoria in sede civile e la pronuncia di condanna in sede penale, precisando come quest’ultima abbia efficacia di giudicato solo in ordine alla sussistenza di una condotta colposa contra legem, essendo invece devoluta al giudice civile ogni statuizione e valutazione in ordine alla sussistenza del danno e alla sua eventuale liquidazione.

Ciò posto, la corte territoriale ha inoltre chiarito “l’assoluta irrilevanza, ai fini dell’accertamento della sussistenza e dell’entità del danno risarcibile, del procedimento amministrativo riferito all’accesso al finanziamento pubblico” (pag. 11).

La sentenza ha più volte chiarito che la decisione del giudice civile ha avuto ad oggetto il solo accertamento della sussistenza di un danno, senza alcun riferimento al procedimento amministrativo e dunque alla verifica dei requisiti, oggettivi e soggettivi, necessari per il conseguimento del contributo amministrativo in esame.

Quindi, incontrovertibilmente i giudici di merito, nel condannare i convenuti al pagamento di una somma corrispondente al contributo di legge perso dalla C., hanno qualificato tale condanna a titolo di risarcimento del danno extracontrattuale, rispetto al quale l’importo del contributo assurge al ruolo di mero criterio di quantificazione del pregiudizio.

Non sussiste, pertanto, alcun profilo di giurisdizione del giudice amministrativo.

2.1 Con il terzo motivo si deduce, la violazione o falsa applicazione dell’art. 651 c.p.p. e dell’art. 2043 c.c.

In particolare, il ricorrente censura la pronuncia impugnata nella parte in cui quest’ultima ha fatto coincidere l’ammontare del risarcimento del danno da reato con l’importo originariamente stanziato in favore del marito dell’attrice a titolo di contributo di cui alla L. n. 219 del 1981.

Tale valutazione sarebbe in contrasto con le imputazioni mosse a carico del L. in sede penale, ove il ricorrente era stato condannato per i delitti di cui all’art. 323 c.p.c., comma 1 e art. 81 c.p. poichè, abusando del proprio ufficio, aveva comunicato tardivamente a P.S., marito dell’attrice, l’erogazione in suo favore del contributo di legge in esame, con ciò causandogli un danno ingiusto consistito nel non aver tempestivamente conseguito il contributo medesimo.

Osserva quindi il ricorrente che il danno ingiusto che il giudice civile avrebbe dovuto liquidare atteneva al ritardo nella comunicazione della erogazione del contributo, non alla mancata erogazione dello stesso. Ne conseguirebbe pertanto un errore dei giudici civili nella liquidazione del “danno da ritardo” in misura corrispondente all’intero importo del contributo di legge.

2.2 Il motivo è inammissibile.

L’art. 651 c.p.p. chiarisce che la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato, in sede civile di risarcimento del danno, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.

Fermo tale accertamento, tuttavia, ogni valutazione in ordine alla sussistenza del danno, al nesso di causalità tra condotta ed evento nonchè alla liquidazione del pregiudizio spetta esclusivamente al giudice civile.

Non risulta pertanto corretto, al fine di verificare l’esattezza del procedimento di liquidazione del danno compiuta dal giudice civile, prendere come parametro di riferimento (come, invece, ha fatto il ricorrente) il capo di imputazione formulato in sede penale. Tale imputazione esaurisce infatti la propria rilevanza in sede penale.

La liquidazione del danno in sede civile, viceversa, segue criteri differenti, in quanto il giudice civile deve, in primo luogo, verificare che la condotta penalmente rilevante abbia cagionato alla vittima un danno, inteso quale lesione della sfera personale o patrimoniale del soggetto idonea ad assurgere al rango di violazione costituzionalmente rilevante.

Le doglianze del ricorrente in ordine alla presunta divergenza tra ammontare del danno liquidato in sede civile, da un lato, e capo di imputazione formulato in sede penale, dall’altro, risultano pertanto prive di pregio.

3.1 Con il quarto e il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c.

Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, liquidando il danno da ritardato conseguimento del contributo in misura pari all’intero ammontare dello stesso, avrebbe – di fatto equiparato il danno da ritardato conseguimento al danno da mancato ottenimento del contributo in esame.

Osserva tuttavia il ricorrente che, in sede penale, il Tribunale di Potenza aveva rilevato come la tardiva comunicazione della erogazione del contributo fosse autonomamente lesiva dell’interesse legittimo al provvedimento da parte del destinatario, nonchè come fosse “di assoluta evidenza il danno che derivi dal ritardo nella effettuazione dei lavori, tanto in termini di maggiori costi per la naturale lievitazione dei prezzi, quanto in quelli di mancato godimento dell’immobile così ristrutturato”.

Partendo da tali affermazioni, il ricorrente invoca l’orientamento di questa Corte secondo cui, fermo restando il diverso ambito di accertamento rispettivamente richiesto al giudice penale e civile in materia di risarcimento del danno da reato, qualora il giudice penale “non si sia limitato a statuire solo sulla potenzialità dannosa del fatto addebitato al soggetto condannato e sul nesso eziologico in astratto, ma abbia accertato e statuito sull’esistenza in concreto di detto danno e del relativo nesso causale con il comportamento del soggetto danneggiato, valgono sul punto i principi del giudicato. In questo senso è stato affermato che con la sentenza di condanna generica il giudice può non limitarsi ad accertare l’esistenza di un fatto potenzialmente idoneo a produrre un danno, ma può accertare anche la reale entità dello stesso, lasciando quindi impregiudicata soltanto la sua liquidazione, purchè nell’ambito della causa petendi” (Sez. 3, Sentenza n. 329 del 11/01/2001, Rv. 543061 – 01).

Pertanto, avendo il giudice in sede penale circoscritto la sfera del danno al solo ritardo nella comunicazione del contributo, il giudice civile non si sarebbe potuto discostare, liquidando il danno in misura pari all’intero importo del contributo tardivamente corrisposto, come se l’avente diritto non l’avesse mai stato percepito. Parimenti, il giudice civile non avrebbe potuto liquidare un danno alla lesione di un diritto soggettivo pieno, laddove il giudice penale aveva limitato il danno alla lesione di un interesse legittimo.

3.2 I motivi sono inammissibili.

Il ricorrente non ha rappresentato, infatti, di aver compiutamente formulato la censura anche nei precedenti gradi di merito. Neppure dal tenore della sentenza della Corte d’appello risulta che la questione sia stata specificatamente prospettata nei gradi di merito.

Pertanto, trattandosi di una questione nuova, formulata per la prima volta in sede di legittimità, la stessa è inammissibile.

Qualora, invece, questo aspetto abbia fatto parte del thema decidendum nei giudizi di merito e il ricorrente abbia omesso di riferire tale circostanza, i motivi risulterebbero inammissibili per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6.

3.3 I motivi sono carenti di specificità anche rispetto al contenuto della sentenza pronunciata dal giudice penale, il cui contenuto – per quel che concerne l’individuazione del danno risarcibile – viene riportato solamente mediante la riproduzione di brevi frasi o di singole parole che, estrapolate dal contesto, si prestano a molteplici letture.

Pertanto, il ricorso non consente neppure di verificare se il giudice penale abbia davvero circoscritto il danno risarcibile nei termini sostenuti dal ricorrente e se tale accertamento sia stato svolto in termini tali da aver determinato la formazione di un giudicato sul punto.

Poichè la sentenza penale costituisce, rispetto al giudizio civile, un mero antecedente storico, questa Corte non può neppure supplire all’incompletezza dell’esposizione del ricorrente accedendo direttamente al documento.

Per queste ragioni, i motivi sono inammissibili ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

4.1 Con il sesto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c. La censura si rivolge contro liquidazione equitativa del danno (fatta coincidere dal Tribunale, così come dalla Corte d’appello, nell’intero ammontare del contributo spettante al P.), sostenendo come nel caso di specie sussistessero i presupposti per una liquidazione effettiva del danno, tale da escludere il carattere sussidiario della liquidazione ex art. 1226 c.c. In sede penale, infatti, il danno sofferto dalla vittima era stato individuato nel “ritardo nella effettuazione dei lavori, tanto in termini di maggiori costi per la naturale lievitazione dei prezzi, quanto in quelli di mancato godimento dell’immobile così ristrutturato”.

4.2 Il motivo presta il fianco alle medesime osservazioni svolte nel paragrafo precedente.

Viene, infatti, in rilievo il difetto di autosufficienza del ricorso, in quanto, in relazione al contenuto della sentenza penale, il L. si limita a riportare piccolissimi stralci che non consentono di verificare quale fosse il contenuto dell’eventuale accertamento svolto in quella sede in ordine all’ammontare del danno.

Tale incompletezza espositiva, oltre ad essere causa in sè di inammissibilità del motivo, non consente di stabilire quale fosse l’effetto, più o meno vincolante, che l’accertamento compiuto in sede penale potesse avere per il giudice civile.

5. Con l’ottavo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1224 e 1277 c.c. Il ricorrente sostiene che la pronuncia impugnata avrebbe – di fatto – condannato i convenuti alla corresponsione del contributo di cui alla L. n. 219 del 1981: trattandosi, pertanto, di un debito di valuta e non di valore, la sentenza sarebbe erronea nella parte in cui ha riconosciuto in favore dell’appellata il diritto alla rivalutazione monetaria.

Il motivo è manifestamente infondato, in quanto poggia sull’assunto che la condanna abbia avuto ad oggetto il pagamento dell’importo del contributo di cui si è detto. Ed invece è univoco come messo in evidenza anche nelle pagine precedenti – che la condanna del ricorrente sia stata pronunciata a titolo di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., equitativamente determinato, e che l’ammontare del contributo di cui alla L. n. 219 del 1981 abbia costituito solamente un parametro di riferimento per l’esercizio, da parte dei giudici di merito, del potere di liquidazione equitativa.

6. Infine, è opportuno aggiungere che i fatti nuovi dedotti per la prima volta con le memorie difensive sono irrilevanti, dal momento che con tali memorie non possono essere introdotti nuovi elementi di giudizio.

7. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Comune controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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