Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3031 del 11/02/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 3031 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 7195-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

3677

VAGNI ROBERTA C.F. VGNRRT63T46A462W, domiciliata in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA

DI

CASSAZIONE,

rappresentata

e

difesa

Data pubblicazione: 11/02/2014

dall’avvocato PUGLIA MARIA RITA, giusta delega in
atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 292/2012 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 15/03/2012 r.g.n. 49/20101tv-1

udienza del 12/12/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato PUGLIA MARIA RITA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE, che ha concluso per
il rigetto e in subordine accoglimento del ricorso per
quanto di ragione.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G. 7195/2013

1.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 40 del 2009 il Giudice del lavoro del Tribunale di Ascoli
Piceno, in parziale accoglimento della domanda proposta da Roberta Vagni nei

contratto di lavoro concluso tra le parti per “necessità di espletamento del
servizio in concomitanza di assenze per ferie”, per i periodo dal 5-7-2000 al
30-9-2000, con la conseguente sussistenza di un rapporto a tempo
indeterminato e condannava la società al ripristino del rapporto stesso.
La società proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la
riforma, con il rigetto integrale della domanda di controparte.
Anche la lavoratrice proponeva appello lamentando l’omissione della
pronuncia di condanna al pagamento delle retribuzioni a titolo di risarcimento
del danno.
La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza depositata il 15-3-2012, in
parziale riforma della pronuncia di primo grado, condannava la società al
pagamento, a titolo di indennità onnicomprensiva ai sensi dell’art. 32 1. n.
183/2010, di otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con cinque
motivi.
La Vagni ha resistito con controricorso.
La società ha poi depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente censura l’impugnata sentenza nella parte
in cui ha respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso
1

confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine apposto al

tacito, nonostante la mancanza di una qualsiasi manifestazione di interesse alla
funzionalità di fatto del rapporto, per un apprezzabile lasso di tempo anteriore
alla proposizione della domanda e la conseguente presunzione di estinzione del
rapporto stesso, con onere, in capo al lavoratore, di provare le circostanze atte a

Il motivo è infondato.
Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini
del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un
termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla base del
lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass. 10-11-2008 n.
26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché da
ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n.
16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a
termine, quindi, “è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione
del rapporto per mutuo consenso” (v. da ultimo Cass. 15-11-2010 n. 23057,
Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca
tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la
volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni
rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass.
1-2-2010 n. 2279, Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887).
2

contrastare tale presunzione.

Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli art. 1372 e 1321
c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente

ou

ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei
comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara

rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e
neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto.
Orbene nel caso in esame la Corte di merito, dopo aver affermato che “il
contrarius consensus è pur sempre fattispecie negoziale, seppure non soggetta
ad oneri di forma”, ha rilevato che nella specie, al di là del mero decorso del
tempo, alcun comportamento significativo nel senso di una volontà risolutoria
del rapporto, è stato allegato dalla società, neppure essendo al riguardo
sufficienti le generiche richieste istruttorie da questa avanzate.
Tale accertamento di fatto, conforme ai principi sopra richiamati, risulta
altresì congruamente motivato e resiste alla censura della ricorrente.
Con il secondo motivo la società censura, sotto il profilo del vizio di
motivazione, l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto inammissibile
il motivo di gravame concernente il rispetto del limite percentuale (c.d.
clausola di contingentamento), in quanto l’appellante principale si era limitata
a sostenere “apoditticamente che la documentazione prodotta era idonea a
fornire la dimostrazione del detto rispetto”.
Al riguardo la ricorrente ribadisce di aver “correttamente evidenziato che
in atti vi era documentazione di per sé sufficiente a fornire la prova sul rispetto
della percentuale”, a fronte della decisione del primo giudice che, trascurando

3

manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del

tale documentazione, si sarebbe limitato ad affermare l’insufficienza della
prova testimoniale.
Il motivo risulta assolutamente generico e privo di autosufficienza, e come
tale inammissibile, giacché la ricorrente non specifica alcunché in ordine alla

meno ne riporta il contenuto.
Peraltro, a ben vedere, la Corte d’Appello ha anche espressamente valutato
i “conteggi prodotti” giacché, confermando la decisione sul punto del primo
giudice, ne ha disatteso il criterio di computo perché dichiaratamente basato
“sulla considerazione dei contratti a tempo parziale col criterio c.d. fui time
equivalent, che ne implica la considerazione unitaria fino a concorrenza della
durata dell’orario di lavoro pieno”.
Con il terzo e il quarto motivo la ricorrente censura, poi, la sentenza
impugnata nella parte in cui, appunto, ha ritenuto infondato il criterio di
computo del numero delle assunzioni a tempo determinato ai fini del rispetto
del limite percentuale, da un lato applicando l’art. 1, comma 1 bis, del d.lgs. n.
368 del 2001 e dall’altro ritenendo “non utilmente richiamabile” anche nel
raffronto in esame (finalizzato al rispetto del detto limite) l’art. 6, comma 1, del
d.lgs. n. 61 del 2000 come sostituito dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 100 del
2001.
In particolare la ricorrente rileva la erroneità delle argomentazioni svolte
dalla Corte d’Appello, essendo entrambe le norme indicate successive al
contratto de quo e, quindi, inapplicabili nella fattispecie in esame ratione
temporis.

4

“documentazione” che a suo dire sarebbe stata sufficiente al riguardo e tanto

Pur essendo evidente che il contratto in causa (del 5-7-2000) non è
regolato dal d.lgs. n. 368 del 2001, bensì dall’art. 8 del ceni del 1994, in virtù
della “delega in bianco” fissata dall’art. 23 della legge n. 56 del 1987, osserva
il Collegio che la decisione dei giudici di merito risulta comunque conforme al

sul punto, deve essere soltanto corretta la motivazione dell’impugnata sentenza
ex art. 384 ultimo comma c.p.c..
La detta norma, infatti, richiamata dalla stessa ricorrente, stabilisce che “il
numero dei lavoratori assunti con contratto a termine non potrà superare la
quota percentuale massima del 10% rispetto al numero dei lavoratori impegnati
a tempo indeterminato”.
Il chiaro e univoco riferimento letterale al “numero dei lavoratori assunti
con contratto a termine” rispetto a quelli “impegnati a tempo indeterminato”
non lascia spazio alcuno alla tesi della società, secondo cui i contratti a tempo
determinato part time andrebbero considerati unitariamente fino alla
concorrenza dell’orario pieno.
Le parti collettive hanno chiaramente ancorato il raffronto al “numero dei
lavoratori” a termine ed ai singoli relativi contratti, prescindendo da ogni altra
considerazione.
D’altra parte, a ben vedere, la stessa società con il ricorso si limita a
ribadire la propria tesi, senza però offrire alcun elemento concreto a sostegno
della stessa.
In tali sensi vanno quindi respinti anche il terzo e quarto motivo,
correggendosi la motivazione, sul punto, dell’impugnata sentenza.

5

chiaro dettato della norma collettiva applicabile nella fattispecie, di guisa che,

Con il quinto motivo la società censura la sentenza impugnata nella parte
in cui ha determinato in otto mensilità della retribuzione mensile di fatto la

plía

indennità di cui all’art.32 comma 5 della legge n. 183/2010. Sostiene la
ricorrente che la Corte di merito avrebbe omesso qualsivoglia valutazione dei

l’applicabilità nel caso di specie della riduzione del limite massimo a sei mesi
ai sensi del comma sesto del citato articolo 32, avendo essa società “fin dal
2006 sottoscritto con le 00.SS. accordi volti alla stabilizzazione dei rapporti di
lavoro convertiti a seguito di provvedimenti giudiziali ed a costituire una
graduatoria dalla quale attingere in ipotesi di necessità”. In particolare la
ricorrente sostiene che, in base all’interpretazione letterale della norma, il fatto
oggettivo della adozione di detti accordi, a prescindere dalla estensibilità o
meno degli stessi in concreto nel caso in esame, sarebbe sufficiente a ritenere
applicabile la riduzione alla metà del limite massimo dell’indennità de qua.
Tale motivo in parte è inammissibile e in parte è infondato.
Come è stato precisato da questa Corte (v. Cass. 29-2-2012 n. 3056)
l’indennità in esame “configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice
offerta dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 303 del 2011, una sorta di
penale “ex lege” a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo,
ed è liquidata dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dal citato art.32 (che
richiama i criteri indicati nell’art. 8 1. 604/1966), a prescindere dall’intervenuta
costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno
effettivamente subito dal lavoratore, trattandosi di indennità “forfetizzata” e
“onnicomprensiva” per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo

6

criteri di cui all’art. 8 1. n. 604/1966 ed erroneamente avrebbe escluso

cosiddetto “intermedio” (dalla scadenza del termine alla sentenza di
conversione del rapporto)”.
In senso conforme a quanto già affermato dalla Corte Costituzionale e da
questa Corte di legittimità è stata poi emanata la legge n. 92 del 28-6-2012 (in

interpretazione autentica, ha così disposto: “La disposizione di cui al comma 5
dell’art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, si interpreta nel senso che
l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore,
comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo
compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il
quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”.
Ciò posto, sulla base di tali premesse e dei principi generali sul sindacato
di legittimità, in specie ex art. 360 n. 5 c.p.c., ritiene il Collegio che ben può
affermarsi che, anche nella fattispecie in esame (al pari di quanto più volte
affermato da questa Corte con riguardo all’indennità di cui all’art. 8 della legge
n. 604 del 1966 —v. Cass. 5-1-2001 n. 107, Cass.15-5-2006 n. 11107, Cass. 146-2006 n. 13732), la determinazione tra il minimo il massimo della misura
dell’indennità de qua spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di
legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria.
Orbene nel caso in esame la Corte di merito ha affermato espressamente
che “avuto riguardo da un lato al numero dei dipendenti occupato ed alle
dimensioni della grande impresa che ha proceduto all’assunzione, ma
dall’altro, sotto il profilo del comportamento e delle condizioni delle parti, alla
breve durata del contratto, all’età della lavoratrice ed al tempo intercorso tra la
scadenza del termine illegittimamente apposto e l’iniziativa dell’interessata,
7

G.U. n. 153 del 3-7-2012), che all’art. 1 comma 13, con chiara norma di

appare giustificata la determinazione di detta indennità in ragione di otto
mensilità di retribuzione globale di fatto”.
In tal modo la Corte territoriale non è incorsa né nel vizio di assenza di
motivazione, né in alcuna illogicità o contraddittorietà (che peraltro neppure

La censura pertanto risulta infondata, risultando peraltro inammissibile,
nel contempo, la revisione del “ragionamento decisorio” sul punto, in sostanza
proposta dalla ricorrente, comunque non sussumibile nel “controllo di logicità
del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 n. 5 c.p.c.” (v., fra le altre, Cass. 76-2005 n. 11789, Cass. 6-3-2006 n. 4766).
Circa, poi, il mancato riconoscimento della riduzione alla metà del limite
massimo della indennità in oggetto ex art. 32, comma sei citato, la censura non
coglie nel segno.
A parte la infondatezza della tesi interpretativa sostenuta dalla ricorrente
(giacché la “presenza” di contratti o accordi collettivi “che prevedano
l’assunzione anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con
contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie”, deve essere effettiva
in relazione alla fattispecie concreta e non ipotetica o astratta), va rilevato in
particolare che la sentenza impugnata ha affermato che nella fattispecie “non vi
è prova” della presenza di tali accordi.
Orbene la società, a ben vedere, si limita a ribadire la sussistenza di tali
accordi senza indicare specificamente quali accordi, quando e con quale atto
siano stati depositati davanti ai giudici di merito.
Tanto basta per rigettare anche la censura in esame.

8

viene dedotta).

Il ricorso va pertanto respinto integralmente e la ricorrente, in ragione
della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese in favore della
Vagni.
Infine, trattandosi di ricorso notificato successivamente al termine previsto

sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del
2002, introdotto dall’art.1, comma 17, della citata legge n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente a pagare alla Vagni le
spese liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro 3.500,00 per compensi, oltre
accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13,
comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17 della
legge n. 228 del 2012.
Roma 12 dicembre 2013

dall’art. 1, comma 18, della legge n. 228 del 2012, deve darsi atto della

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA