Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30309 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. III, 21/11/2019, (ud. 27/03/2019, dep. 21/11/2019), n.30309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18368-2015 proposto da:

PROVINCIA RELIGIOSA DI S PIETRO ORDINE OSPEDALIERO DI S, GIOVANNI DI

DIO FATEBENEFRATELLI, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE

II 229, presso lo studio dell’avvocato GIULIANO MARIA POMPA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ CATTOLICA DI ASSICURAZIONE COOP ARL, in persona del

procuratore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE,

38, presso lo studio dell’avvocato PIERFILIPPO COLETTI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

CARIGE ASSICURAZIONI SPA, D.P.A., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5302/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 2/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/03/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per cassazione con rinvio

(accoglimento del ricorso);

udito l’Avvocato POMPA GIULIANO;

udito l’Avvocato COLETTI PIERFILIPPO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.P.A.R. (o A., come indicato nel ricorso per cassazione), D.P.F., D.P.R. e D.P.V., in proprio e nella qualità di eredi della madre, t.m., e del marito di costei, Di.Pi.Mi., proposero appello avverso la sentenza n. 18605/10 emessa dal Tribunale di Roma, con la quale era stata rigettata, per carenza di legittimazione attiva, la domanda avanzata dagli stessi nei confronti della Provincia Religiosa S. Pietro dell’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli, volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti per il decesso della madre per asserita responsabilità professionale dei medici.

Il Tribunale adito, in particolare, aveva rilevato che gli attori non avevano provato nè la qualità di eredi legittimi, nè la qualità di congiunti rispetto a t.m., che detta qualità costituiva un presupposto dell’azione e che in tale materia non poteva trovare applicazione il principio di non contestazione.

Con autonomo atto T.I., T.L., T.C., V.D., T.M., Te.Ma., te.ma., questi ultimi quattro nella qualità di eredi di T.D., intervenuti nel corso del giudizio di primo grado, proposero, a loro volta, gravame avverso la medesima sentenza chiedendo che, previo accertamento del comportamento colposo dei sanitari per il decesso di t.m., fossero condannati, in solido, la struttura sanitaria e le due compagnie di assicurazioni chiamate in causa (la Società Cattolica di Assicurazione cooperativa a r.l. e la Carige Assicurazioni S.p.a.).

Si costituì la Provincia Religiosa S. Pietro dell’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli, chiedendo il rigetto dell’impugnazione ex adverso proposta e impugnando, con appello incidentale, il capo della sentenza del Tribunale relativo alle spese, chiedendo la condanna delle predette compagnie assicuratrici alla rifusione delle spese di primo grado, previo accertamento della validità della garanzia.

Si costituì la Società Cattolica di Assicurazione cooperativa a r.l., la quale chiese la conferma della sentenza impugnata e propose appello incidentale condizionato, ribadendo l’inoperatività della garanzia assicurativa già eccepita nel procedimento di primo grado.

Si costituì anche la Carige Assicurazioni S.p.a. chiedendo il rigetto dell’appello e reiterando, comunque, l’eccezione di inoperatività della garanzia assicurativa.

La Corte di appello di Roma, con sentenza pubblicata in data 2 settembre 2014, in riforma della sentenza appellata, condannò la Provincia Religiosa di S. Pietro dell’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli a pagare, in favore di D.P.A.R., la somma di Euro 284.750,00, oltre interessi compensativi, come indicati nella motivazione di quella sentenza, ed interessi legali dalla decisione al saldo; in favore di D.P.F., D.P.R. e D.P.V. la somma di Euro 258.750,00 ciascuno, oltre interessi compensativi come in motivazione di quella sentenza, in favore di T.I., T.L. e T.C. nonchè di V.D., T.M., Te.Ma. e te.ma., questi ultimi quattro quali eredi di T.D., la somma di Euro 94.182,00 pro quota ereditaria, oltre interessi compensativi come indicato nella motivazione di quella sentenza ed interessi legali dalla decisione al saldo; condannò la Provincia Religiosa di S. Pietro dell’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli a pagare, in favore degli appellanti, le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito, da distrarre in favore degli avvocati Gianmarco Di Raimo e Alessandro Testa, antistatari; rigettò l’appello incidentale della predetta Provincia Religiosa proposto nei confronti della Società Cattolica di Assicurazione cooperativa a r.l. e condannò l’appellante incidentale alla rifusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito; condannò la Carige Assicurazioni S.p.a. a tenere indenne la Provincia Religiosa di S. Pietro dell’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli di quanto avrebbe dovuto pagare in forza di quella sentenza nei limiti ed alle condizioni di polizza.

Avverso la sentenza della Corte di merito e nei confronti della sola Società Cattolica di Assicurazione cooperativa a r.l., la Provincia Religiosa di S. Pietro dell’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli ha proposto ricorso per cassazione sulla base di

cinque motivi.

Ha resistito con controricorso Società Cattolica di Assicurazione cooperativa a r.l..

Sia la ricorrente che la controricorrente hanno depositato memorie.

Con O.I. n. 29564/17, depositata il 7 dicembre 2017, questa Corte, accogliendo l’istanza al riguardo presentata dalla ricorrente, ha disposto la rinnovazione della notifica del ricorso nei confronti di D.P.A.(o A.R.), D.P.F., D.P.R., D.P.V., in proprio e nella dedotta qualità di eredi di t.m. e Di.Pi.Mi., nonchè nei confronti di T.I., T.L., T.C., V.D., T.M., Te.Ma., te.ma., gli ultimi quattro nella qualità di eredi di T.D., entro il termine di giorni novanta dalla comunicazione di quella ordinanza, e ha rinviato la causa a nuovo ruolo, disponendone la trattazione in pubblica udienza.

La ricorrente ha provveduto all’incombente posto a suo carico ma gli intimati non hanno comunque svolto attività difensiva in questa sede.

La ricorrente in prossimità dell’odierna udienza ha depositato ulteriore memoria.

Altra memoria è stata depositata dalla Società Cattolica di Assicurazione cooperativa a r.l..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Non va disposta un’ulteriore rinnovazione della notifica del ricorso nei confronti di D.P.A. (o A.R.), D.P.F., D.P.R., D.P.V., in proprio e nella dedotta qualità di eredi di t.m. e Di.Pi.Mi., nonchè nei confronti di T.I., T.L., T.C., V.D., T.M., Te.Ma., te.ma., gli ultimi quattro nella qualità di eredi di T.D., per essere stata la stessa effettuata da ultimo presso i procuratori domiciliatari degli stessi dopo l’anno dalla pubblicazione della sentenza impugnata, venendo in questa sede in discussione i rapporti tra la ricorrente e la controricorrente ed essendo stata all’evidenza la rinnovazione già disposta ai sensi dell’art. 332 c.p.c..

2. Va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse ex art. 100 c.p.c., in quanto la ricorrente è risultata soccombente, seppur parzialmente, in secondo grado e l’interesse ad impugnare postula comunque una soccombenza, anche parziale, intesa in senso sostanziale e non formale (Cass., sez. un., 6/02/2003, n. 1729; Cass. 4/05/2012, n. 6770; Cass. 20/10/2016, n. 21304).

3. Con il primo motivo si lamenta “Violazione e falsa applicazione art. 1341 c.c., comma 2 (“condizioni vessatorie”) in relazione alle plurime fattispecie di vessatorietà individuate nella norma (e non nella sola “limitazione di responsabilità”), art. 1917 c.c., comma 1 (“assicurazione per la responsabilità civile”), art. 1353 c.c., (“contratto condizionato”), connesse all’errata interpretazione della “condizione” claims made, di cui all’art. 8 della polizza Cattolica n. (OMISSIS), anche con riferimento all’art. 16 stessa polizza, con riferimento agli artt. 1362, 1363, 1364, 1365, 1366, 1369, 1370, 1371 stesso codice, pure violati in relazione alla negata natura di “condizione” della clausola “claims made” e così della sua “vessatorietà”, pur integrando tutte (o quasi) le fattispecie di cui alla norma violata (art. 1341 c.c., comma 2) e conseguente inefficacia per non essere stata specificamente sottoscritta (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

4. Il secondo motivo è così rubricato: “Violazione art. 1341 c.c., comma 2, in relazione alla negata “vessatorietà” e connessa “inefficacia” della condizione (art. 8 della polizza de qua) per errata interpretazione della stessa, anche con riferimento all’art. 16 della polizza che consente a Cattolica Ass.ni il recesso dal rapporto anche prima della scadenza, con riferimento alle norme relative all’interpretazione del contratto; art. 360 c.p.c., n. 3″.

5. Con il terzo motivo si deduce “Violazione art. 1341 c.c., comma 2 in relazione alla negata vessatorietà della condizione “claims made” in relazione alle plurime fattispecie previste nella norma, segnatamente alla “restrizione della libertà contrattuale” che ne deriva all’assicurato (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

6. Con il quarto motivo si lamenta “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e più precisamente dell’art. 2965 c.c., nullità della condizione claims made (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

7. Il quinto motivo è così rubricato: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1175 e 1375 c.c.) con riferimento al principio cardine del nostro diritto, per essere la clausola 8 della polizza (la “claims made”) contraria a BUONA FEDE (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

8. I motivi, che per connessione possono essere esaminati congiuntamente, vanno disattesi.

8.1. La stessa ricorrente evidenzia a p. 6 del ricorso che con tale atto “pressochè in ogni sua parte, si censura l’impugnata sentenza per non avere ritenuto vessatoria a(i) sensi dell’art. 1341 c.c., comma 2 la condizione contenuta nella polizza Cattolica n. (OMISSIS)”.

8.2. Al riguardo si osserva che il modello delle clausole claims made ha ormai trovato di recente, in tema di assicurazione delle strutture sanitarie per la responsabilità civile verso i terzi e i prestatori d’opera e dei professionisti espresso riconoscimento legislativo, a seguito degli interventi recati, in particolare, dalla L. 8 marzo 2017, n. 24, art. 11 e dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 3, comma 5, lett. e), (convertito, con modificazioni, dalla L. 14 novembre 2011, n. 148), come novellato dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 26, norme, queste, che non sono applicabili al caso di specie – risultando accertato dal giudice del merito (v. sentenza impugnata p. 11) che la polizza di cui si discute in questa sede ha avuto termine in data 31 dicembre 2005 e tale affermazione non risulta essere stata espressamente censurata – ma dalle quali risulta comunque, in generale, la compatibilità delle clausole in questione con il nostro ordinamento giuridico ritenuta dallo stesso legislatore.

8.3. Inoltre, va pure posto in rilievo che, in tema di clausole claims made, le Sezioni Unite di questa Corte si sono più volte negli ultimi anni pronunciate con le sentenze del 6/05/2016, n. 9140, del 2/12/2016, n. 24645 e del 24/09/2018, n. 22437.

8.4. Con l’arresto da ultimo richiamato, le Sezioni Unite hanno affermato il principio secondo cui “Il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis”, quale deroga convenzionale all’art. 1917 c.c., comma 1, consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c., comma 2, ma alla verifica, ai sensi dell’art. 1322 c.c., comma 1, della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale. Tale indagine riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto – sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti -, ma non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale (in cui occorre verificare l’osservanza, da parte dell’impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto delle “claims made”) e quella dell’attuazione del rapporto (come nel caso in cui nel regolamento contrattuale “on claims made basis” vengano inserite clausole abusive), con la conseguenza che la tutela invocabile dall’assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati”.

Con la stessa sentenza, le Sezioni Unite, per quanto rileva in questa sede, hanno altresì affermato che: “è da assumersi l’approdo nomofilattico della citata sentenza n. 9140 del 2016 sulla assicurabilità dei rischi pregressi, là dove si pone in risalto, segnatamente, che “il rischio dell’aggressione del patrimonio dell’assicurato in dipendenza di un sinistro verificatosi nel periodo contemplato dalla polizza si concretizza progressivamente, perchè esso non si esaurisce nella sola condotta materiale, cui pur è riconducibile causalmente il danno, occorrendo anche la manifestazione del danneggiato di esercitare il diritto al risarcimento”. Sicchè, la liceità della claims made con “garanzia pregressa” si apprezza “perchè afferisce a un solo elemento del rischio garantito, la condotta colposa posta già in essere e peraltro ignorata, restando invece impregiudicata l’alea dell’avveramento progressivo degli altri elementi costitutivi dell’impoverimento patrimoniale del danneggiante-assicurato””.

Le medesime Sezioni Unite hanno pure aggiunto che: “Ove, poi, si riconduca ancora nell’area del concetto di rischio assicurabile l’argomentazione giuridica, le conclusioni anzidette trovano ulteriore conforto in quel successivo passaggio della sentenza in cui la clausola claims made (seppure con uno sguardo incentrato su quella “impura”, ma in base ad assunti già spesi in linea più generale) è vista in termini di delimitazione dell’oggetto del contratto (con conseguente esclusione, quindi, della natura vessatoria della clausola ai sensi dell’art. 1341 c.c., in quanto non limitativa della responsabilità: approdo, questo, di un’interpretazione nomofilattica che va anche qui ribadito), correlandosi l’insorgenza dell’indennizzo, e specularmente dell’obbligo di manleva, alla combinata ricorrenza della condotta del danneggiante (la vicenda storica determinativa delle “conseguenze patrimoniali” di cui “l’assicurato intende traslare il rischio”: cioè, del “danno”) e della richiesta del danneggiato”.

8.5. La sentenza impugnata in questa sede, nel ritenere non vessatoria la clausola in questione, in quanto in essa “non sussiste una limitazione di responsabilità bensì una regolamentazione del rischio ad opera delle parti nell’esercizio della propria autonomia contrattuale in cui l’oggetto della copertura assicurativa rimane il comportamento colposo che diventa rilevante solo se la richiesta di risarcimento danni pervenga all’assicurato nel periodo di vigenza della polizza”, si è, in sostanza, mossa nell’alveo di quanto affermato di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte e sopra riportato in tema di esclusione della natura vessatoria della clausola predetta ai sensi dell’art. 1341 c.c..

8.6. Sono poi inammissibili le censure veicolate solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con cui si lamenta l’errata interpretazione, da parte della Corte di merito, della clausola claims made, risolvendosi esse nella mera sollecitazione di una nuova valutazione di merito non consentita in questa sede.

Mette conto al riguardo ricordare che, secondo il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione (nei limiti, peraltro, in cui l’allegazione è oggi consentita dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), vizi, questi ultimi neppure invocati nella specie.

Pertanto, onde far valere in cassazione tali vizi della sentenza impugnata, non è sufficiente che il ricorrente per cassazione faccia puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma è altresì necessario che egli precisi in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato ovvero ne abbia dato applicazione sulla base di argomentazioni censurabili per omesso esame di fatto controverso e decisivo (v. Cass. 20/08/2015, n. 17049; 09/10/2012, n. 17168; 31/05/2010, n. 13242; 20/11/2009, n. 24539); con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche – come nel caso all’esame – o sul vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26/10/2007, n. 22536).

Sul punto, va altresì ribadito il principio secondo cui, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che l’interpretazione data alla dichiarazione negoziale dal giudice del merito sia l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma è sufficiente che sia una delle possibili e plausibili interpretazioni.

Nella specie, non si ricava dalla motivazione della sentenza alcuna affermazione che si ponga in contrasto con i criteri legali di ermeneutica negoziale.

Piuttosto, le censure mosse col ricorso si risolvono, come detto, nella prospettazione di questioni di merito, comunque eccedenti dai limiti in cui al riguardo ne è consentita la deduzione, limitandosi a proporre un esito diverso dell’attività esegetica riservata al giudice del merito e legittimamente nella specie compiuta, e risultano, peraltro, pure inammissibili per difetto di specificità, non essendo stato, tra l’altro, riportato in ricorso l’integrale tenore letterale delle ulteriori clausole contrattuali richiamate (ad. es. art. 1 e 16) nè potendosi sopperire a tanto con le memorie, che hanno valore meramente illustrativo, o con depositi di stralci di polizze ben successivi (27 aprile 2017) al deposito del ricorso stesso (28 luglio 2015).

8.7. A quanto precede va poi aggiunto che, nella specie, non si verte in tema di decadenza, sicchè l’invocazione della violazione dell’art. 2965 c.c. risulta non pertinente ed eccentrica.

8.8. Infine, la ricorrente non ha dedotto di aver tempestivamente sollevato nel giudizio di merito le questioni poste con il quinto motivo, evidenziandosi al riguardo che: a) delle stesse non vi è cenno nella sentenza impugnata, b) la controricorrente ha eccepito che esse sono state inammissibilmente sollevate solo in sede di comparsa conclusionale di appello dall’attuale ricorrente, c) quest’ultima, pure in ricorso, ha fatto riferimento al riguardo solo alla predetta sua comparsa, senza precisare se e in quali precedenti atti del giudizio di merito la questione ora in esame e quella connessa, relativa alla violazione dell’obbligo di informativa e alla quale si fa esplicito riferimento nella terza memoria della ricorrente, fossero state già tempestivamente poste.

Da tanto consegue l’inammissibilità in questa sede delle predette censure.

9. Conclusivamente, alla luce di quanto precede, il ricorso deve essere rigettato.

10. Tenuto conto dei recenti interventi delle Sezioni Uniti in tema di clausole claims made successivi alla data di notifica del ricorso all’esame, le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate per intero tra le parti.

11. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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